Attacco alla Siria, nel mirino centri di stoccaggio: “Ma niente segni di sostanze chimiche nell’aria”...


Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa, spiega: “Le armi proibite erano già state disperse. Se il bombardamento le avesse colpite nei depositi, ci sarebbe stato un disastro ambientale, di cui per ora non c’è traccia”.


Luigi Grassia
Torino
Americani, britannici e francesi dicono di avere colpito o distrutto non solo centri di produzione di armi chimiche, ma anche depositi (per lo meno uno, quello di Homs). Ma che cosa significa, di preciso, distruggere un deposito di armi chimiche bombardandolo? Se smaltisci le armi chimiche con apposite procedure è un conto, ma se le distruggi facendole esplodere che conseguenze ci sono? Quando bombardi un deposito di carri armati, poi i carri armati non ci sono più e al loro posto resta della ferraglia; ma se bombardi un deposito di armi chimiche, al suo posto che cosa resta? Una nuvola di sostanze tossiche che poi ammazzano migliaia di civili?

Questo è stato uno dei dubbi che a suo tempo frenarono Obama dall’opzione del bombardamento sulla Siria, e lo indussero (in alternativa) a negoziare con Assad lo smaltimento del suo arsenale chimico. Con Trump e soci le cose sono andate diversamente, ma adesso sui depositi di armi chimiche siriani «distrutti» staziona oppure no un pennacchio velenoso? E se no, come mai non c’è? 
Giriamo la domanda a un dei maggiori analisti militari italiani Pietro Batacchi, direttore di Rid (Rivista italiana difesa): «Dipende da che cosa hanno veramente colpito. Se si tratta di centri di produzione, saranno state bombardate e disperse nell’ambiente certe quantità di precursori poco tossici delle armi chimiche. Se invece gli alleati occidentali avessero colpito davvero dei depositi di stoccaggio, la situazione dovrebbe essere diversa. Ma al momento in cui parlo non mi risulta niente del genere, e questo si spiega col fatto che le armi proibite erano state già disperse in centri sicuri e lontano dai grandi depositi».

Lei ipotizza un accordo sottobanco? Un avvertimento americano prima di bombardare, per non fare sfracelli?  
«Un avvertimento segreto del genere può esserci stato, ma a indurre i siriani a disperdere le loro armi sarebbero bastate le ripetute minacce pubbliche americane di bombardamento che si sono sentite nei giorni scorsi. Gli americani 
non avrebbero mai colpito se ci fosse stato il rischio di provocare un disastro ambientale e una catastrofe umanitaria di cui poi sarebbero stati considerati responsabili dall’opinione pubblica interna e internazionale. Invece quello che è successo, il bombardamento limitato, sta bene a tutte le parti, compreso il governo siriano. Si è sbloccata una situazione che sembrava senza sbocco».

Tutti contenti allora, tranne i ribelli siriani?  
«Ma quelli ormai non si illudono più di vincere».

In queste ora torna in voga l’ipotesi che il disastro chimico di Douma sia stato in realtà fasullo, una provocazione organizzata proprio dai ribelli, guarda caso subito dopo che Trump aveva preannunciato il ritiro americano dalla Siria. I ribelli, si dice, speravano così di scatenare una reazione occidentale molto più violenta di quella che c’è stata. Lei che cosa ne pensa
«In Siria sia Assad sia i ribelli hanno armi chimiche, e Assad continua a usarle perché la sua posizione, nonostante l’appoggio russo e iraniano e le ripetute vittorie militari, resta precaria. Il suo esercito ha subito gravi perdite, e la sua base di reclutamento per colmare i vuoti è limitata, perché non può fidarsi di arruolare gli abitanti delle zone riconquistate né di armare i sunniti, può contare solo sulle minoranze etniche e religiose. Perciò sul terreno spesso è tentato di forzare la mano ricorrendo alle armi proibite, che del resto si sono dimostrate efficaci nel piegare le resistenza dei ribelli. Chi dice che Assad non userebbe mai le armi chimiche, sulla base del ragionamento che non gli conviene farlo, non mi convince».

In conclusione, dopo il bombardamento americano l’arsenale chimico di Assad è intatto
«Si può rispondere di sì, per quanto riguarda questo specifico raid, ma con due riserve. Punto uno: la maggior parte delle armi chimiche di Assad sono già state distrutte sotto controllo internazionale durante la presidenza di Obama, e adesso non ne restano molte. Punto due: non è detto che i bombardamenti americani siano finiti»...

(La Stampa Mondo)

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