Il villaggio in Kenya per sole donne...
Nel villaggio di Umoja gli uomini non sono ammessi. Vivono qui solo 47 donne e i loro bambini, in fuga da violenze domestiche e matrimoni forzati.
Ntipaiyo stava raccogliendo legna per il fuoco quando fu circondata da tre soldati britannici. La spinsero a terra e la violentarono, uno dopo l’altro. Da allora, ogni volta che si ricorda di quella notte, la donna sente nuovamente un’acuta fitta al petto.
Dopo essere stata stuprata dai soldati Ntipaiyo iniziò ad avere problemi con suo marito, che non accettava l’idea di una moglie che – seppur contro la sua volontà – avesse avuto un rapporto sessuale con altri uomini. Nella cultura locale, una donna stuprata è una donna impura.
Ntipaiyo fu costretta a lasciare il suo villaggio e si rifugiò a Umoja, dove ha vissuto per gli ultimi 15 anni. Qui trascorre le sue giornate solamente con altre donne e bambini. Si sente al sicuro, perché nel villaggio non ci sono uomini che potrebbero minacciarla o abusare di lei.
Umoja è un villaggio che ospita donne e ragazze vittime di stupro, oppure in fuga da matrimoni forzati, violenza domestica e mutilazioni genitali femminili. Il nome significa unità in lingua Swahili. Si tratta di un’oasi protetta, dove la presenza maschile è estremamente limitata e controllata.
Si trova nella provincia di Samburu, nella regione centrale del Kenya, sulle rive del fiume Uaso. Il villaggio di Umoja fu fondato nel 1990, su iniziativa di Rebecca Lolosoli, una donna kenyota che decise di creare un gruppo di supporto per le donne che erano state violentate dai soldati britannici che stazionavano nella zona. L’idea le venne in mente mentre si trovava ricoverata in ospedale, dopo essere stata picchiata da un gruppo di uomini che volevano punirla per aver istigato le altre donne a ribellarsi ai soprusi e lottare per i propri diritti.
Oggi a Umoja vivono 47 donne e 200 bambini. Le donne sono libere di entrare e uscire dal villaggio. Nel 1995 un gruppo di loro ha deciso di fondare una comunità separata nella stessa regione, chiamata Nachami Women’s Group, e di recente altre donne si sono spostate nel villaggio di Unity.
Per sopravvivere senza uomini, le donne di Umoja sono riuscite a creare un piccolo business. Gestiscono un campeggio poco lontano dal villaggio, dove ospitano turisti che poi partono per un safari nel parco naturale di Samburu. Le donne fanno pagare una tassa simbolica a chi vuole visitare il loro villaggio, dove vendono coloratissimi gioielli fatti a mano e altri oggetti di artigianato.
Jane ha 38 anni ed è una delle donne rifugiate a Umoja. Fu violentata da tre uomini in uniforme, mentre pascolava le capre e le pecore di suo marito. Sul suo corpo porta ancora le cicatrici della violenza subita.
“Mi vergognai così tanto che non riuscivo a raccontarlo a nessuno. Mi fecero delle cose terribili”, racconta Jane in un’intervista con The Guardian. “Confessai a mia suocera che stavo male, per spiegarle le mie ferite e la mia depressione. Le medicine tradizionali che presi non sortirono alcun effetto. Quando lei disse a mio marito che ero stata stuprata, lui prese un bastone e mi picchiò. Fu in quel momento che decisi di rifugiarmi a Umoja, insieme ai miei bambini”.
La comunità era inizialmente composta da 15 donne, tutte di etnia Samburu, una tribù di pastori semi-nomadi discendenti dai Maasai. I Samburu hanno una società fortemente patriarcale: le donne sono escluse dalle decisioni importanti all’interno del villaggio e sono considerate proprietà del marito, che può scegliere di prendere in moglie anche ragazze giovanissime.
Le donne non sposate non possono avere bambini, ma non si utilizzano contraccettivi. In caso di gravidanza indesiderata, le altre donne della comunità obbligano la futura madre ad abortire. “Fuori da qui le donne sono governate dagli uomini e non possono cambiare nulla nella loro vita”, dice Seita Lengima, una delle donne anziane del villaggio. “Ma le donne a Umoja sono libere”.
Libertà, nel villaggio, vuol dire anche poter avere relazioni sessuali non protette fuori dal matrimonio. Nella cultura Samburu, i figli sono considerati il dono più grande. Per non rinunciare a diventare madri, le donne di Umoja visitano altri insediamenti della zona o – di nascosto – invitano i loro amanti a passare la notte con loro.
Ci sono inoltre alcuni uomini che entrano regolarmente a Umoja, per prendersi cura degli animali e aiutare le donne per i lavori più pesanti. Samuel, un uomo che abita in un villaggio vicino, racconta a The Guardian che “la maggior parte degli uomini ha tre o quattro mogli a Umoja”. Questo spiega l’altissimo numero di bambini nel villaggio.
“Nella nostra cultura non è ammesso avere figli fuori dal matrimonio, ma non averne è ancora peggio. Senza bambini non siamo nulla”, spiega una giovane donna in un’intervista con The Guardian.
Nonostante siano passati 25 anni dalla creazione di Umoja, il ricordo della sua fondazione e delle violenze perpetrate dai soldati britannici non scompare. Nel 2003 un gruppo di donne del villaggio ha incontrato gli avvocati di Leigh Day, studio legale del Regno Unito specializzato in diritti umani che si stava occupando degli indennizzi per le vittime delle mine lasciate dall’esercito britannico.
Le donne denunciarono casi di stupro avvenuti nell’arco di 30 anni. I soldati le attaccavano anche alla luce del sole, quando andavano a raccogliere la legna o a prendere l’acqua. Lo studio legale Leigh Day presentò le prove delle violenze alla Royal Military Police, istituzione dell’esercito britannico, che difese i soldati dicendo che tutte le prove erano state fabbricate. Dichiarò inoltre che non era possibile verificare il Dna dei bambini nati in seguito agli stupri, perché in quell’arco del tempo tra i 65mila e i 100mila soldati avevano vissuto in Kenya.
La documentazione fu poi fatta sparire e da allora il caso è stato abbandonato: “Volevamo chiedere una compensazione per le donne e le ragazze che hanno subito abusi da parte dei soldati. Le loro vite furono rovinate”, spiega uno degli avvocati di Leigh Day, spiegando che ora, senza la documentazione che avevano raccolto, sarà estremamente difficile riavviare le indagini.
Sin dall’epoca coloniale ci sono state denunce per centinaia di casi di stupro, violenze e torture sulla popolazione locale da parte delle truppe straniere, ma non esistono statistiche ufficiali sul fenomeno. Il Regno Unito continua ad avere una forte presenza militare in Kenya, che dal 1895 al 1963 fu una sua colonia e che in epoca post-coloniale è rimasta parte del Commonwealth.
Un accordo siglato nel 2015 permette al Regno Unito di far addestrare ogni anno circa 10mila soldati in Kenya, nei cinque campi di preparazione militare presenti nel Paese. Nel rinnovo degli accordi militari tra i due Paesi, i casi di violenza e le eventuali ricompense per le vittime non sono mai stati discussi...
(The Post Internazionale)
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