#OpenTheIslands...







Flore Murard-Yovanovitch

Non so il suo nome. Cerco di immaginarla. Ridente, piccola profuga, siriana, di cinque anni. Dietro le sbarre e i cordoni di polizia del campo di Moria. L'isola-prigione. E so che non sapremo mai la verità; nessuna comunicazione ufficiale è stata fatta dai gestori del campo. L'8 ottobre scorso è morta una bimba in uno degli hotspot europei. Sul territorio greco, silenzio stampa. Come se fosse normale, accettato, oggi, nel cuore dell'Europa del 21esimo secolo, morire di Frontiera, di maltrattamento, di respingimento, di Dublino, di accordi Ue-Turchia, di guardie, di indifferenza, di assenza delle cure. Morire di lager, come l'ha definito Human Rights Watch in un relazione di fronte alla Commissione Disabilità del Parlamento greco.
I genitori della bimba siriana senza nome, erano arrivati in Europa per cercare salute, protezione, civiltà. Hanno trovato le sbarre e i poliziotti, i manganelli e la cella fredda sovrappopolata. Corpi accatastati gli uni sugli altri. Dopo le bombe, il lager di Moria. E la coscienza morta dell'Europa. Di tutti noi.
I genitori avranno cercato aiuto nel campo. Avranno richiesto coperte, cibo caldo. Immagino già l'assenza di risposte che risuona nelle comunicazioni burocratiche: quelle che ho sentito ovunque nei campi, dove l'istituzione-detenzione gestisce corpi, come se non fossero umani. L'attesa senza fine, anche solo per la richiesta di poter essere visitati da un medico.
La negazione sistematica delle cure, in cui le vittime si moltiplicano, dai Cie agli hostpot, in modo esponenziale. Perché non è un caso unico oggi nel continente dell'eliminazione contemporanea. Sulle isole greche esseri umani muoiono chiamando al soccorso. Invano. L'inverno scorso, tra i 13 profughi e richiedenti asilo morti sulle isole greche, 6 sono deceduti sulla sola isola di Lesbos. Silenzio. Di freddo, di stenti, di malattie, di maltrattamenti. O vinti dalla stanchezza di aspettare nel limbo-tortura Europa.
Già il 26 settembre scorso, in un rapporto pubblicato sulle conclusioni delle sue visite effettuate in Grecia in aprile e luglio 2016, il Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) ha denunciato lo stato inumano degli hotspot delle isole del mare Egeo.
Il rapporto ha evidenziato il sovraffollamento di tali campi, l'insufficienza delle cure sanitarie essenziali, un'assistenza inadeguata per le persone vulnerabili e le scarse garanzie giuridiche. E ha contestato, in particolare, che i minori sono detenuti per periodi prolungati in condizioni di vita deplorevoli, senza che possano avere accesso alla protezione e alle cure necessarie, e una lunga serie di denunce nelle quali quei ragazzini hanno raccontato di gravi, ripetute violenze subite da parte della polizia.
Il CPT ha richiamato le autorità a rivedere il loro approccio al trattenimento "a fini di protezione" dei minori non accompagnati ed a porre fine alla loro detenzione amministrativa. Emerge insomma, da quel rapporto, una immagine incubo di quei luoghi di non diritto: coperte e materassi infestati dalle pulci, un'epidemia di varicella, livelli elevatissimi di sporcizia, liquami che fuoriescono dai bagni, cibo e acqua insufficienti, mancanza di cure mediche e medicinali.
Un mese dopo si continua a morire a Moria. Bimbi muoiono nel silenzio su isole-greche rese prigioni dalla Fortezza Europa. Isole greche.
E non è l'unica quella bambina senza nome. Ricordo, l'ho letto di sfuggita e mi ero promesso di fare un indagine. Ma la precarietà del giornalista freelance, le porte in faccia dalle redazioni ("Mica possiamo scrivere un articolo su una sola morte di frontiera") mi hanno fatto desistere. Il 28 settembre scorso, un'altra bimba di 9 anni, sfuggita con la famiglia da Aleppo, era deceduta durante un naufragio al largo dell'isola di Kastellorizo. Non si sa se per ipotermia o per le dinamiche del naufragio stesso. Una motovedetta di Frontex non era distante... Respingimento? Il fratello maggiore della piccola siriana, cieco, è ancora oggi in detenzione, con altri quattro sopravvissuti a Rhodes. Sopravvissuti a naufragi, in detenzione.
Allora mi tengo quei volti immaginati. I boccoli neri. Di bimbi belli. Me li custodisco dentro. E piango. Su noi tutti. Indifferenti. Macchiati. Colpevoli.
E con l'inverno alle porte che già si infila tra le fessure delle tende di plastica (destinate a gelare), dove migliaia di profughi sono parcheggiati dall'Europa come se non esistessero, so che dovrò, con altri colleghi, tornare nelle jungle e sotto i muri gelati e letali, per fare inchiesta su quest'orrore. Ci saranno quest'inverno 2017 altri morti da ipotermia, da pallottole, da caccia ai migranti, i nuovi desaparecido senza nome. Quest'eliminazione, a cui nessuno osa dare un nome. Nostro abisso.
E mentre finisco questo post, giunge la notizia di una ennesima vittima di Moria. Il 20 ottobre un cinquantenne curdo iracheno, una persona che avrebbe diritto all'asilo ma era detenuto da mesi nel campo di Moria, dopo aver cercato da giorni aiuto e una visita medicale, è morta nell'ospedale di Mitilene, la capitale di Lesbos, apparentemente per una crisi cardiaca, proprio il giorno in cui sono scoppiate intense proteste sull'isola per le condizioni mostruose di detenzione.
E il 30 ottobre scorso un richiedente asilo, salito su un tetto nel campo di Vial, sull'isola di Chios ha tentato il suicidio. Richiedenti asilo eliminati dalla negazione delle cure. Europa, ottobre 2017.
E mentre mando il post, dall'attivista Nawal Soufi giunge la notizia di continue deportazioni di profughi, dal campo di Moria, isola di Lesbos, verso la Turchia. Anche richiedenti asilo. Ma ormai la Convenzione di Ginevra è stata lacerata. L'asilo è morto...
(HUFFPOST)

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