La Birmania e il terrore di andare in mille pezzi...




Non solo rohingya. Ci sono 87 mila kachin e 11 mila shan sfollati. Sono i conflitti a bassa intensità che dilaniano il Paese di Aung San Suu Kyi. Dove la pace è ancora un miraggio. L'articolo di pagina99.




Laiza, la “capitale” birmana degli insorti al confine con la Cina, le trincee si snodano su una collina non lontana dalla cittadina. Dall’altra parte della valle – coperta da una fitta foresta completamente minata, avvertono gli insorti – si allineano le postazioni dell’esercito ufficiale. Siamo su uno dei tanti fronti della guerra civile che vede le forze armate del Myanmar schierate contro una dozzina di gruppi ribelli in uno dei conflitti più intricati e lunghi del mondo le cui vicissitudini si sono intrecciate con quelle relative al supporto della Cia ai gruppi anticomunisti dell’Indocina, al traffico dell’oppio (il Myanmar è ancora oggi il secondo produttore mondiale) e all’estrazione di pietre preziose, di cui il Paese è ricchissimo.
GUERRE A BASSA INTENSITÀ. Quello che ha portato all’emergenza umanitaria dei rohingya, la minoranza musulmana che vive nella regione del Rakhine, è solo uno dei tasselli di questo intricato mosaico di guerre a bassa intensità che rischia di mandare in frantumi il Paese.

Indipendentismo: una spinta dalla fine della Seconda guerra mondiale

Fin dalla fine della Seconda guerra mondiale alcuni gruppi etnici - in Myanmar ce ne sono oltre 100 - hanno chiesto l’indipendenza o almeno una forma di federalismo che garantisse l’autogoverno delle province periferiche. I generali, formalmente al potere dal 1962 al 2011 e ancora oggi per molti versi più influenti delle autorità civili, si sono sempre opposti, temendo lo sgretolamento del Paese.
NE FANNO LE SPESE I CIVILI. A farne le spese sono stati soprattutto i civili: oltre ai rohingya, le Nazioni Unite stimano che ci siano oltre 11 mila sfollati nello stato Shan, a oriente, e 87 mila nello stato Kachin, nel Myanmar settentrionale, dove opera l’Organizzazione per l’indipendenza kachin (Kio), uno dei più importanti gruppi ribelli del Paese.
IL VECCHIO VILLAGGIO-CASINÒ. Laiza sorge nel territorio dei kachin ed è quasi abbandonata. Un tempo era uno dei villaggi-casinò che sfruttavano il divieto di giocare d’azzardo nella Repubblica popolare per attrarre scommettitori cinesi. Ma durante gli scontri del 2013 la cittadina finì sotto al tiro dell’artiglieria birmana e da allora i facoltosi clienti se ne sono andati.
PROFUGHI NELLE BARACCHE. Al loro posto sono arrivati migliaia di sfollati, vittime degli scontri fra esercito e miliziani Kio. Terrorizzati dall’idea di finire nelle mani dei militari birmani e bloccati alla frontiera dalle autorità cinesi che non hanno alcuna intenzione di accoglierli, questi profughi interni si sono organizzati per vivere in baracche di legno, formando grandi campi nella giungla.

Le difficoltà della giungla: senza acqua potabile ed elettricità

Le difficoltà sono molte: mancano acqua potabile ed elettricità, si sopravvive con razioni alimentari dell’Onu e si cucina accendendo grandi falò che d’inverno, quando sulle montagne cala il freddo, servono anche per scaldarsi. Eppure sono in pochi a prendere in considerazione l’eventualità di tornare a casa propria.
VIOLAZIONI CONTRO LE MINORANZE. L’accusa di aver collaborato con il Kio può essere molto rischiosa, come ricorda un recente rapporto di Amnesty International. L’esercito birmano spesso commette «violazioni contro i civili appartenenti alle minoranze», inclusi «arresti arbitrari, torture, esecuzioni extra-giudiziarie e sparizioni».

Il fallito cessate il fuoco: dietro c'è una strategia dell'esercito

La creazione di un governo semi-civile nel 2011 e la vittoria del Nobel per la pace Aung San Suu Kyi alle elezioni del 2015 avrebbero dovuto cambiare tutto questo, ma così non è stato. Grazie alla Costituzione varata dall’ex giunta militare nel 2008 le forze armate sono rimaste indipendenti dalle autorità civili e hanno autonomia nel gestire la guerra.
INTESA DI 8 GRUPPI SU 15. Gli ultimi anni hanno addirittura segnato un peggioramento, con nuovi scontri e un fallito tentativo di cessate il fuoco nel 2015, quando solo otto dei 15 gruppi invitati ad aderire hanno effettivamente firmato l’accordo. Questo a causa dell’intransigenza delle autorità, decise a non consentire a tre organizzazioni – l’Arakan Army (Aa), il Ta’ang National Liberation Army (Tnla) e il Myanmar National Democratic Alliance Army (Mndaa) – di prendere parte all’intesa.
COSÌ SI DIVIDE LA RESISTENZA. Molti temono che dietro a questa mossa si celi il vero obiettivo dell’esercito: frammentare la resistenza ed eliminarla pezzo dopo pezzo. «Gli accordi per il cessate il fuoco con singoli gruppi non hanno avuto successo perché pensiamo che si debba firmare collettivamente. Tutti i gruppi devono essere inclusi», ha spiegato U La Nan, il Segretario Generale del Kio, commentando le trattative per l’interruzione del conflitto.
LA PACE RIMANE LONTANA. Da alcuni mesi a questa parte, comunque, la situazione nello Stato Kachin si è andata relativamente calmando. Se la maggior parte dei combattimenti avviene nello Stato Shan, l’instabilità e le schermaglie continuano un po’ ovunque, a riprova del fatto che la pace rimane lontana. La moltitudine di gruppi etnici e d’interessi in gioco fa pensare che la situazione non è semplicemente difficile come la crisi con i rohingya lascia immaginare. È persino peggio.
Questo articolo è tratto dal nuovo numero di pagina99, "corpo a corpo con Trump", in edicola e in edizione digitale dal 27 ottobre al 2 novembre 2017
(Lettera43)

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