Profughi e trafficanti africani riaprono la rotta tunisina...




Guardia costiera e milizie impediscono le partenze dalla Libia. Da Bruxelles 1,2 miliardi in quattro anni per favorire la stabilità



INVIATO A TUNISI
«Il mare restituisce cadaveri ogni giorno, non c’è più spazio per seppellirli. Ora vogliamo acquistare un terreno, ci piacerebbe anche allestire un locale in cui fare i riconoscimenti. Perché queste persone, prima di morire, erano esattamente come noi. Meritano dignità». Mongi Slim è il presidente della Mezzaluna Rossa nella regione di Médenine, nel Sud della Tunisia. Ha da poco lanciato una raccolta fondi online per acquistare un terreno vicino a Zarzis e trasformarlo in un cimitero di migranti. «Il Comune ci aveva messo a disposizione una discarica - dice - ma è già piena». 

Settembre 2017, al termine dell’estate che ha segnato la frenata degli sbarchi in Italia, nel Mediterraneo si continua a morire. La scorsa settimana un migrante è stato trovato solo, stremato, mentre cercava di rimanere a galla al largo delle acque di Ben Guardane. Ha raccontato che sulla barca con lui c’erano 120 persone. Erano partite dalla costa di Sabratha. Poi la barca si è rovesciata, si è salvato solo lui.  

Ma in Tunisia, dalla Libia, non arrivano solo cadaveri via mare: si è aperta una nuova rotta che attraversa la frontiera terrestre. «Tra gli immigrati in Libia sta iniziando a circolare la voce. Sanno che la Guardia Costiera e le milizie impediscono le partenze dalla costa e così puntano alla Tunisia», spiega Reem Bouarrouj, responsabile immigrazione di Ftdes, una Ong tunisina che si occupa dei diritti economici e sociali. Sta lavorando a un dossier con le testimonianze dei migranti che hanno varcato il confine. «Spesso lo fanno da soli - dice - senza l’aiuto di passeur». Ma fonti di sicurezza del posto ammettono che alcuni trafficanti potrebbero dirottare i loro viaggi della disperazione. Teoricamente i confini tunisini sono blindati. «Teoricamente - racconta una fonte diplomatica -, ma nella pratica le cose sono molto diverse. Dopo l’assalto del 2016 a Ben Guardane, il governo tunisino aveva sigillato la frontiera. Però le comunità locali tunisine che vivono al confine hanno come unica forma di sostentamento il contrabbando. Benzina, tabacco. Per qualche mese si sono trovati senza lavoro e così, piano piano, Tunisi ha riaperto le frontiere e chiuso gli occhi». 

Nei giorni scorsi la Guardia Costiera tunisina ha fermato sette migranti al largo di Sfax. Più di venti - in due separate operazioni - sono stati invece bloccati a Biserta, nel Nord. Anche se con numeri decisamente inferiori rispetto al passato, le partenze dei tunisini non si sono mai interrotte. Lo dimostrano gli arrivi, sempre più frequenti, sulle coste dell’Agrigentino. L’ultimo un paio di giorni fa: erano una sessantina. Si tratta principalmente di tunisini, ma il timore è che la nuova rotta che arriva dalla Libia si agganci a questo sistema già collaudato di imbarchi. 

La Tunisia è quindi sempre più un partner decisivo per l’Europa. Per questo l’Ue ha raddoppiato gli stanziamenti verso il dirimpettaio. Da Bruxelles arriverà un finanziamento di 300 milioni di euro l’anno, per i prossimi quattro anni. Un miliardo e duecento milioni in totale. Nei giorni scorsi il Commissario alle Politiche di Vicinato, l’austriaco Johannes Hahn, è andato a Tunisi proprio per firmare due accordi: uno per sostenere la riforma della pubblica amministrazione (20,5 milioni) e uno per il settore sanitario (70,3 milioni). Agli occhi dell’Europa, la Tunisia rappresenta un’ancora democratica tra i Paesi del Nordafrica. E c’è la necessità di conservarne la stabilità.  

I segnali che arrivano dalla parte opposta del Mediterraneo sono positivi. Rispetto ai suoi vicini, la Tunisia ha voglia di emanciparsi, di aprirsi al mondo occidentale, e di farsi promotrice di un islam più moderno, in uno Stato democratico. Il presidente Beji Caid Essebsi, ad agosto, ha fatto due annunci giudicati rivoluzionari. Cambierà la legge sull’eredità: le figlie femmine avranno diritto alla stessa quota dei loro fratelli maschi. E poi le donne tunisine potranno sposare anche i non musulmani. Oggi è richiesta la conversione del marito, pena nullità del matrimonio. 

Certo, la transizione non è facile e i passi da fare sono ancora molti: proprio in questi giorni è in corso un rimpasto del governo. L’ottavo governo dal 2011, l’anno delle Primavere Arabe. «E smettetela di chiamarle così. Noi non siamo arabi, siamo tunisini» si spazientisce Emna Jeblaoui, direttrice dell’Istituto per lo sviluppo dell’Uomo. In prima linea nelle battaglie per la modernizzazione del suo Paese e dell’Islam, sta lavorando a un progetto di de-radicalizzazione dei jihadisti. Dalla Tunisia sono partiti circa 6.000 foreign fighter, ora però stanno tornando. Negli ultimi sei anni ne sono stati arrestati 3.600. Molti altri - questo è il timore - potrebbero infiltrarsi nella nuova rotta migratoria...

(La Stampa Mondo)

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