Come si contano i morti nel Mediterraneo...
Dai resti fisici delle persone ritrovate in mare e incrociando più informazioni possibili sui dispersi: ma sono dati non sempre precisi, e vanno maneggiati con cautela
Nei primi giorni di settembre si era diffusa la notizia secondo cui ad agosto i morti nel tratto di mare fra Italia e Libia erano rimasti più o meno gli stessi dell’anno precedente, nonostante il netto calo delle partenze dalla Libia. I dati citati erano forniti dal progetto Missing Migrants dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), una rispettata organizzazione internazionale che si occupa di migrazioni e che dall’anno scorso fa parte dell’ONU. La Stampa ha usato questi dati per ridimensionare l’efficacia delle misure prese in Libia dal governo italiano: «Gli sbarchi diminuiscono, le tragedie continuano», si leggeva in un’analisi pubblicata il 12 settembre. Qualcosa però non tornava: l’UNHCR, l’agenzia dell’ONU che si occupa dei rifugiati, non aveva registrato alcun naufragio di grandi dimensioni nel periodo considerato.
In pratica, secondo i dati di Missing Migrants ad agosto le persone morte nel tentativo di arrivare in Italia dalla Libia sono state 143; per l’UNHCR solamente una ventina. Com’è possibile che due agenzie dell’ONU forniscano dati così diversi?
«Questo è un caso veramente particolare», ha spiegato al Post Federico Fossi, uno dei portavoce di UNHCR per l’Italia, che fra le altre cose si occupa di aggiornare i database pubblici sui naufragi verso l’Italia. «Siamo in contatto continuo con loro, ci passiamo le informazioni a vicenda», ha continuato Fossi parlando dell’OIM. Trovare una discrepanza fra i due database è piuttosto raro. In questo caso però «loro hanno registrato – cosa che noi per ora non abbiamo fatto per cautela – un presunto naufragio avvenuto davanti alle coste tunisine verso fine agosto, di un’imbarcazione di cui ci sarebbe un solo sopravvissuto». Trovare un solo sopravvissuto a un naufragio così grande è molto raro. Fossi ha aggiunto di non essere riuscito a trovare conferme dai suoi colleghi dell’UNCHR in Libia e di avere avuto dubbi anche sulla provenienza della notizia (l’agenzia stampa statale turca, che a sua volta aveva intervistato un membro della croce rossa tunisina). «Non me la sono sentita di registrare 120 dispersi finché non avessimo ricevuto altre conferme».
Mettere insieme dati di questo genere, soprattutto in un periodo in cui vengono diffusi e commentati quotidianamente da giornalisti, politici e attivisti, è un lavoro particolarmente delicato: fra 20 e 143 morti la differenza è parecchia, e può indurre un politico a cambiare idea sull’efficacia di alcune misure o un gruppo di attivisti a mobilitarsi o protestare contro un governo. Saperne di più sulla metodologia con cui vengono messi insieme questi dati può aiutare a capire che andrebbero maneggiati con qualche cautela in più.
Ogni settimana l’UNHCR compila dei report sulla situazione nella rotta centrale del Mediterraneo, cioè nel tratto di mare fra Libia e Italia. I dati dei report confluiscono in un database pubblico sugli sbarchi e i morti in tutto il Mediterraneo. Ma lo strumento più completo per tracciare i migranti che muoiono o scompaiono durante il loro tragitto rimane Missing Migrants, che raccoglie dati da 190 paesi e aggiorna quotidianamente un database dato per buono da governi e quotidiani in tutto il mondo (e finanziato prevalentemente da un fondo governativo del Regno Unito).
Il numero di morti nei più gravi incidenti nel Mediterraneo dal 2014 al 2017 (Missing Project)
L’OIM ha deciso di iniziare il progetto Missing Migrants dopo il grave naufragio avvenuto a Lampedusa il 3 ottobre 2013, in cui morirono almeno 368 migranti: fu una delle più grandi stragi di migranti nella storia recente, e la sua portata convinse il governo italiano ad approvare l’operazione umanitaria “Mare Nostrum”. La rotta del Mediterraneo Centrale era aperta solo da qualche mese, ma l’OIM avvertì l’esigenza di creare un database che tenesse traccia delle morti che avvenivano in quella zona e in altre frontiere del mondo. L’interesse dell’OIM non fu puramente statistico, come hanno spiegato alcuni loro ricercatori in un recente studio (PDF) sulla raccolta di dati nel Mediterraneo:
«Ottenere dati migliori sui migranti scomparsi può fare la differenza per le famiglie dei paesi d’origine, che possono ottenere maggiori informazioni sui loro parenti scomparsi. Allo stesso tempo, saperne di più sulle persone che intraprendono viaggi così pericolosi può informare meglio i politici sulle ragioni dietro le migrazioni»
Nel database di Missing Migrants confluiscono due tipi di dati diversi: quelli sui migranti sicuramente morti, di cui le autorità hanno trovato dei resti fisici, e le stime su quelli scomparsi. In Italia esistono delle procedure precise per la sepoltura e l’identificazione dei migranti che vengono ritrovati morti, e nei paesi di partenza dei barconi si fa riferimento soprattutto alla Croce Rossa o alle autorità sanitarie locali. I problemi iniziano quando vengono fatte delle stime sui migranti che non si trovano più, cioè nella maggior parte dei casi.
I responsabili di Missing Migrants, così come quelli del database di UNHCR, cercano di raccogliere questi dati da fonti diverse, per avere il maggior numero di informazioni possibili o confermare dati che già conoscono. I dati più affidabili provengono dai governi coinvolti nella rotta: spesso però vengono diffusi solo in occasione di incidenti molto gravi, oppure sono parziali e bisogna insistere per ottenerne di più precisi.
Altre informazioni utili possono essere ricavate dai corpi armati come la guardia costiera o la polizia di frontiera, che però hanno un’accuratezza variabile e che spesso si limitano a conteggiare i corpi ritrovati. Nel caso specifico della Guardia costiera libica, inoltre, ci sono buone ragioni per fidarsi poco delle stime fornite, visto che secondo diverse ricostruzioni giornalistiche questo corpo è composto da milizie private in combutta coi trafficanti. Ci sono poi le testimonianze dei sopravvissuti, che vengono raccolte dalle ong o dai funzionari dell’UNHCR o dell’OIM presenti sul campo. Sono molto utili in assenza di stime o rapporti ufficiali, ma anche difficili da verificare: l’UNHCR, per esempio, cerca spesso di incrociare le testimonianze fra di loro per aumentarne la solidità ed evitare di contare due volte lo stesso dato. Nel caso di testimonianze diverse, l’OIM usa invece sempre quella col numero più basso di dispersi.
Può capitare che un naufragio non venga registrato perché non è sopravvissuto nessuno, e perché le autorità o le ong non si sono accorte di niente. In quel caso non c’è modo di sapere quante persone siano morte, e fare delle stime è praticamente impossibile. In base al numero di corpi che vengono ritrovati sulle spiagge di Libia e Tunisia, e che non vengono associati a nessun naufragio in particolare, l’OIM si limita a constatare che «molte morti rimangono ignote». In tutto il 2016 furono ritrovati 32 corpi sulle spiagge di Libia e Tunisia; fra gennaio e giugno del 2017 siamo arrivati a 303, probabilmente anche a causa del fatto che naufragi e operazioni di soccorso avvengano molto più vicino alle coste libiche rispetto al passato (ma non possiamo dirlo con certezza).
«Spieghiamo sempre che i nostri dati sono delle stime», ha raccontato al Post Marta Sánchez Dionis, un’analista che lavora al centro che analizza i dati sulle migrazioni dell’OIM e che è responsabile del progetto Missing Migrants. «Calcolare il numero di morti in mare fra i migranti pone molti ostacoli, fra cui il fatto che spesso abbiamo delle discrepanze nei nostri dati. Di conseguenza non sarà mai possibile avere delle stime confermate e precise delle persone morte o disperse nel Mediterraneo», ha spiegato Sánchez Dionis.
Nel caso del presunto naufragio del 30 agosto, che l’UNHCR non si era fidata a includere nel proprio database, Sánchez Dionis ha detto che l’OIM ne aveva ricevuto notizia dalla Croce Rossa tunisina, e che «alcuni colleghi del nostro ufficio di Zarzis [Tunisia] avevano incontrato il sopravvissuto, un nigeriano di 32 anni». Il sopravvissuto aveva raccontato di essersi imbarcato da Zuwara, in Libia, il 27 agosto insieme a 120 persone, fra cui 25 donne. Dopo due giorni in mare, la barca si era ribaltata e lui era stato l’unico a nuotare e ad essere salvato da una barca di pescatori. La sua testimonianza era stata ritenuta credibile, e il dato dei 120 dispersi era stato inserito in Missing Migrants.
Oggi i numeri del’UNHCR e di Missing Migrants sono molto simili: per l’UNHCR i morti nel Mediterraneo in tutto il 2017 sono stati 2.561, mentre per Missing Migrants2.556. Missing Migrants però non ha ancora ancora conteggiato il centinaio di dispersi nel naufragio avvenuto pochi giorni fa al largo di Sabratha, in Libia, di cui invece ha dato notizia l’UNHCR...
(il Post)
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