Quando la rivoluzione è femmina...




Le tunisine hanno due giorni ogni anno per celebrare le loro conquiste e rivendicare i loro diritti: l'8 marzo e il 13 agosto



Giuliana Sgrena

Le tunisine, uniche al mondo, hanno due occasioni all’anno per celebrare le loro conquiste e rivendicare i loro diritti: l’8 marzo, giornata internazionale della donna, e il 13 agosto, anniversario della proclamazione dello statuto personale da parte del presidente Bourghiba nel 1956. La Tunisia fin da allora ha fatto da apripista per i diritti delle donne nel mondo arabo e musulmano. Il codice di Bourghiba infatti prevedeva l’abolizione della poligamia, il divorzio per uomini e donne, l’aborto, il suffragio universale e il diritto allo studio per le donne. La Costituzione tunisina del resto garantisce la parità uomo donna, ma questo non è sufficiente per garantire l’uguaglianza e non solo in Tunisia. La partecipazione delle donne alla vita sociale e politica, la loro organizzazione in associazioni estremamente determinate nel conquistare i loro diritti, il protagonismo nella rivoluzione dei gelsomini del 2011 ha dato corpo allo slogan: «la rivoluzione è femmina», sostenuto da molte donne nelle rivolte arabe . Non sempre con lo stesso risultato.

Nonostante l’irruzione del movimento islamista Ennahdha, legato ai Fratelli musulmani, e la loro vittoria nelle elezioni per la costituente, le tunisine sono riuscite a mantenere la parità di diritti nella nuova costituzione. Almeno sulla carta la parità era salva, ma nella realtà molta strada restava da fare, anche per contrastare le imposizioni degli islamisti che avrebbero fatto arretrare il paese sul terreno dei diritti e dei costumi.

Le tunisine non si sono mai arrese. Il 26 luglio è stata approvata la legge contro la violenza sulle donne che comprende anche l’abolizione dell’odioso articolo 227 bis del codice penale che garantiva il «perdono» agli stupratori che sposavano la loro vittima. Un successo che ha innescato una campagna internazionale per l’abolizione di leggi simili anche in altri paesi. E l’effetto Tunisia si è subito visto in Giordania e in Libano. L’1 agosto in Giordania è stato abolito il famigerato articolo 308, che risaliva agli anni 60 del secolo scorso e che garantiva l’impunità allo stupratore se sposava la vittima. La Giordania tuttavia non è ancora riuscita a eliminare la piaga del delitto d’onore i cui dati ora si confondono con il femminicidio, ma che alla base ha sempre il concetto che un maschio (marito, padre, fratello) può disporre del corpo di una donna. In Libano, dopo otto mesi di dibattito in parlamento – durante i quali le donne hanno manifestato in piazza con abiti da spose – finalmente, il 17 agosto, è stato eliminato l’articolo 522 che garantiva l’impunità dello stupratore in cambio del matrimonio riparatore. Che invece continua a essere in vigore in altri paesi come l’Algeria (che pure ha approvato una legge contro la violenza domestica), l’Iraq, la Siria e altri.

Neppure nella più avanzata Tunisia la parità era raggiunta, occorreva rompere un tabù legato al Corano: il diritto all’eredità che per le femmine è la metà del maschio. In nessun paese musulmano questa disparità è mai stata toccata eccezion fatta per Ataturk in Turchia, ma anche lì con lo strapotere di Erdogan che vuole riportare il paese alla ferrea osservanza della legge islamica, non si sa mai. Per Erdogan il compito delle donne è esclusivamente quello di partorire figli.

Le tunisine avevano posto proprio la parità nell’eredità e la possibilità di sposare un non musulmano (i maschi possono sposare donne appartenenti alle religioni del libro, ma le donne no) al centro delle loro rivendicazioni. Una risposta è arrivata dal presidente della repubblica Beji Caid Essebsi che, durante la celebrazione della giornata della donna il 13 agosto, ha annunciato la creazione di una commissione speciale con il compito di redigere un testo di legge adeguato per raggiungere l’uguaglianza dell’eredità tra i due sessi, presieduta da Bochra Belhaj Hmida, avvocata, femminista e una delle fondatrici dell’Associazione tunisina delle donne democratiche. Il tabù dell’eredità finalmente è crollato ma non sarà facile realizzare una legge paritaria per l’opposizione innanzitutto degli islamisti, ma non solo. Il presidente ha sostenuto anche che è necessario emendare il decreto 73 che impedisce alle tunisine di sposare un non musulmano.

In estate non poteva mancare uno scontro sul costume da portare in spiaggia: se a Marsiglia si rivendica il diritto a portare il burkini, sull’altra sponda del Mediterraneo le algerine si organizzano attraverso Facebook (oltre 3.600 iscritte al gruppo nascosto) per fare il bagno in bikini – che non è vietato – ma viene osteggiato dagli islamisti. Lo scontro si è trasferito sui social: #io mi bagno con il mio hijab, lascio la nudità agli animali. Le sostenitrici del bikini rispondono con #io mi bagno con il mio costume...

(Globalist)

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