I bambini orfani del Califfato...




A 55 chilometri da Raqqa, in Siria, il campo dei bambini dell’Isis orfani dei jihadisti senza patria, vivono con le madri vedove dei foreign fighter. L’indottrinamento, e a 11 anni l’addestramento militare.
Nella foto di copertina uno dei tanti bambini pronto a fare la fila per il cibo nel campo profughi di Ain Issa



Ad Ain Issa, alle porte di Raqqa
Una casetta in muratura a un margine dell’accampamento di tende nel campo profughi di Ain Issa, dove vivono una decina di bambini. «I bambini dell’Isis», li chiama Giordano Stabile, l’inviato della Stampa, l’autore del reportage, bambini nati nel Califfato, figli di combattenti stranieri e spose della jihad, senza patria e senza padri, tutti morti o fatti prigionieri i loro padri. Noi preferiamo chiamarli «Figli del Califfo», perché è da quella paternità folle che nasce la loro tribolata esistenza oggi. Assieme ai bimbi, uno di loro si chiama Ziad, il bamvbno della foto, e tre donne in rigoroso niqab nero, con la veletta sul naso. Le ‘fonti’ di questo racconto dal mondo intimo della jihad.
Ziad, bambino senza patria
Una delle tre donne è la mamma di Ziad, una libanese di 25 anni, moglie di tunisino che si è consegnato ai combattenti curdi all’inizio dell’assedio di Raqqa, assieme a due compagni e alle famiglie. Forse lui non sarà ucciso. Forse Ziad ritroverà una famiglia. Ma in quale patria? Ziad di fatto non esiste per nessuno anagrafe. É Figlio del Califfo.
I bambini del califfato, che hanno visto la luce negli oltre tre anni di regno di Abu Bakr al-Baghdadi, sono centinaia di migliaia, e forse diecimila quelli nati dai foreign fighters. La rivoluzione islamica e le ‘spose di guerra’, tra leggenda ed inganno che ha coinvolto anche molte giovani donne europee fuggite ‘al fronte’.
I figli di nessuno
Al campo di Ain Issa, i bambini come Ziad, i figli di ‘nessuno’, stranieri l’uno con l’altro e stranieri per tutti, sono gli emarginati tra i negletti. «Cercavamo il Paradiso in terra e abbiamo trovato solo il male», racconta a Giordano Stabile una tunisina, Kaddouja Homri, di 29 anni, la leader del piccolo gruppo.
Gli ‘eroici foreign fighters’, i convertiti giunti dai confini del mondo per la ‘rivoluzione islamica’: «Quelli volevano soltanto tre cose: l’imarat, l’argent e les femmes». Il potere, i soldi e le donne. Loro, la legione straniera della jihad, ci vengono raccontati come i veri capi dell’Isis, una «mafia» formata dagli sceicchi della tribù locale e dagli emiri stranieri, maghrebini, iracheni e del Golfo.
Avvenire sognato, morte raggiunta
Kaddouja è arrivata in Siria nel 2013 con suo marito, «professore di matematica». Tutti e due nati e cresciuti a Tunisi ma senza il ‘sogno di un avvenire’. La ‘rivoluzione’ siriana diventa il loro orizzonte: una società islamica giusta e uguale per tutti. Abu Baraka, il marito, si unisce subito all’Isis e tutti e due si trasferiscono ad Aleppo, dove nasce la loro figlia Baraa.
Daula, lo ‘Stato’, come nelle terre del califfato di chiamava Isis, controllava allora quasi tutta Aleppo, ma poi sono cominciati gli scontri con Ahrar al-Sham e Jyash al-Khor, l’Esercito libero siriano. Abu Baraka muore in battaglia e Kaddouja si ritrova da sola nel califfato nascente.
Nursery del buon jihadista
Kaddouja viene trasferita a Raqqa, appena stata conquistata e trasformata in capitale, lei e le altre vedove e orfani della jihad. Segregati al Panorama, un grande albergo, dove comandava una ‘emira’ marocchina. «Ci controllava, picchiava, e decideva tutto per noi, anche chi dovevamo sposare, il nostro primo compito era dare figli al califfato». Kaddouja si risposa con un altro combattente tunisino e insieme hanno tre figli.
Al Panorama -sempre il racconto di Alberizi- ci sono anche due italiane. Una nata da genitori maghrebini, un’altra, Silian, con padre italiano. «Ora sono scappate a Mayadin – racconta Kaddouja – i capi di Daula (lo Stato) sono tutti là assieme agli “immigrati” e le famiglie».
A scuola di jihad
«Daula controllava tutto, ed era interessantissimo ai bambini. C’erano scuole private, al costo di 4 mila lire siriane (8 dollari) al mese. Tutto era sorvegliato, prepararsi alla jihad era la prima cosa, poi lo studio del Corano, poi matematica, arabo, ma anche inglese e francese. C’erano anche le scuole normali, dove andavano i locali, ma sempre con lo stesso programma». Altro racconto Ahmad Ahmad, 42 anni, piccolo commerciante di Raqqa, cinque figli. «La prima cosa che hanno fatto è stato chiudere le scuole e arrestare tutti gli insegnanti che non si adeguavano alle loro idee. Potevi mandare i figli solo nelle loro madrase. Io sono riuscito a tenerli a casa. Meglio analfabeti che educati in quel modo, a uccidere».
L’indottrinamento
A quattro anni cominciavano i corsi per imparare ‘il vero islam’. A partire da 11 anni li portavano nei campi per insegnarli a sparare. «Molti bambini partivano per il fronte senza nemmeno salutare i genitori, sembravano impazziti, l’onore più grande era diventare ‘martiri’ ma il vero martirio lo abbiamo vissuto noi padri».
Fin dalla sua nascita, l’Isis ha portato avanti il suo progetto di indottrinamento. Per un ex combattente, ora «pentito» e in carcere, «ancora due anni così e si formerà un esercito di adolescenti che nessuno potrà più recuperare». Liberare Raqqa e quel che resta del califfato in Siria e Iraq prima che la legione dei ‘bambini dell’Isis’, i Figli del Califfo, diventi adulta...

(RemoContro)

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