«Dov'è il mio nome», la campagna delle donne afghane per l'identità...
A partire dalla provincia di Herat, un gruppo di donne si batte contro l'usanza (e la legge) che vieta di chiamare le donne in pubblico con il loro nome
Non c’è il loro nome sugli inviti ai matrimoni. E non c’è nemmeno sulla loro tomba. Piuttosto sono “madri di”, “mogli di”, “figlie di”. Chiamare le donne in pubblico con il loro nome è considerato disdicevole e perfino in un insulto. Accade in Afghanistan dove, come sottolinea un report di Thomson-Reuters ripreso dalla Bbc, una legge impedisce che sui certificati di nascita dei figli venga indicato il nominativo della madre.
Volto, nome, voce e identità
Un gruppo di
attiviste locali ha deciso di battersi contro questa norma e contro usanze
discriminatorie e vessatorie al pari dell’uso del burqa. Il risultato è un
hashtag, #WhereIsMyName, che, dopo essere partito dalla provincia occidentale
di Herat, ora sta facendo il giro del mondo con oltre mille . Safiqeh Mohseni,
una delle donne che ha lanciato l’idea, ha spiegato che l’obiettivo «è rompere
un tabù e riportare il nome e l’identità delle donne al primo posto». «L’unico
modo per spezzare il silenzio sulla condizione delle donne è proprio dare loro
voce a partire dal nome», le ha fatto eco una collega. Basta dunque definirle
mamme di qualcuno, mogli di qualcun altro o sorelle di. A supportare la
campagna anche una star locale della musica, Farhad Darya, che ha condiviso una
sua foto su Facebook in compagnia della moglie Sultana. E se l’artista ha
raccontato di aver avuto problemi in passato per aver chiamato in pubblico la
compagna con il suo nome, i commenti al suo post sono stati quasi tutti
positivi. Non mancano però gli attacchi delle frange più conservatrici del
Paese, anche tra i giovani. «Il nome di mia madre, mia sorella e mia moglie è
sacro, come sacro è il loro velo, simbolo del loro onore», ha scritto sulla sua
pagina Facebook Modaser Islami, leader di un’organizzazione giovanile. «In
Afghanistan secondo le logiche tribali, il corpo di una donna appartiene a un
uomo. E con esso anche il volto e il nome che lo identifica», ha spiegato al New
York Times Hassan Rizayee, sociologo afghano.
E intanto in Giordania
E mentre in
Afghanistan si combatte anche solo per potersi sentire chiamare con il proprio
nome, in Giordania dopo più di mezzo secolo è stata cancellata la norma salva
stupratori che consentiva all'uomo di evitare il carcere sposando la sua vittima.
L'abrogazione dell'articolo 308 è avvenuta all'interno di una riforma generale
del codice penale che ha visto anche l'eliminazione del delitto d'onore. Anche
nel caso della Giordania la strada da fare è però ancora tanta. Nonostante un
orientamento politico pro-occidentale e la presenza di e'lite urbane
cosmopolite, molte aree del paese rimangono socialmente conservatrici, legate
al concetto dell'onore familiare. Secondo questo principio, la convinzione è
che avere una vittima di stupro in famiglia sia vergognoso e che tale
«vergogna» possa essere estinta solo attraverso il matrimonio...
(Corriere della Sera Esteri)
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