Turchia, caccia al giornalista, arrestato direttore di Cumhuriyet...




Prosegue in Turchia l’ondata di arresti di giornalisti. E’ toccato stamani a Oguz Guven, direttore del sito di Cumhuriyet, giornale di opposizione laica al presidente Erdogan. Secondo l’agenzia Anadolu, il mandato d’arresto è stato emesso per un articolo sulla morte sospetta nei giorni scorsi in un incidente d’auto del magistrato Mustafa Alper.
E nella nuova Turchia del superpresidente Erdogan, vietato sospettare.



Ancora arresti di giornalisti in Turchia. Uno più uno meno dovremmo essere a 150, che è una bella redazione in gabbia. Stamani è toccato a Oguz Guven, direttore del sito di Cumhuriyet, giornale di opposizione laica al presidente Recep Tayyip Erdogan. Lo ha annunciato lo stesso reporter con un tweet. Secondo l’agenzia di Stato Anadolu -attenzione perché è divertente- il mandato d’arresto è stato emesso per un articolo sulla morte sospetta nei giorni scorsi in un incidente d’auto del magistrato Mustafa Alper, che avviò la prima indagine contro la presunta rete golpista di Gulen dopo il fallito putsch del 15 luglio scorso.
Sospetti vietati nella nuova Turchia presidenziale del superpresidente Erdogan. Sopratuttto se sono sospetti in una certa direzione. Da oltre 6 mesi, altri 12 giornalisti e amministratori di Cumhuriyet sono in carcere, tra cui il direttore Murat Sabuncu. L’ex direttore Can Dundar, già arrestato in passato e tuttora ricercato, è riparato in Germania.
Ed è Can Dündar che dall’esilio denuncia: «In Turchia non c’è nessun libertà d’espressione, censura e autocensura sono imperanti nel mondo dei media». Giornalisti in prigione ne sono finiti 156, anzi, con oggi 157, più di ogni altro Paese al mondo, una ventina dei quali sono accusati di «insulti al presidente».
L’atmosfera di tensione che circonda le realtà giornalistiche turche si riflette nelle classifiche sulla libertà di stampa. Se già l’anno scorso Ankara veniva classificata come «non libera» dal rapporto di Freedom House e collocata al 150° posto su 180 Paesi nell’indice “World Press Freedom” di Reporters Without Borders, quest’anno la sua posizione è precipitata ulteriormente fino al 155° posto.
Nella breve nota esplicativa la Turchia viene definita «la più grande prigione al mondo per chi lavora nel settore dei media» e viene detto che il governo ha utilizzato, a partire dal fallito golpe della scorsa estate, «la lotta al terrorismo come pretesto per una purga senza precedenti».
La libertà di espressione in Turchia è peggiorata drasticamente dopo lo stato d’emergenza imposto in seguito del tentato golpe di luglio, denuncia Amnesty International. Giornalisti arrestati e 184 organi di informazione sono stati chiusi. È aumentata la censura su Internet. Almeno 375 ong, comprese quelle per i diritti delle donne, le associazioni di avvocati e le organizzazioni umanitarie, sono state chiuse con decreto esecutivo a novembre.
Secondo i dati raccolti da alcune organizzazioni internazionali, tra cui il Committee to Protect Journalists, la Turchia è diventato il paese con il maggior numero di giornalisti in carcere, superando anche la Cina: i dati vanno presi comunque con una certa cautela, perché è molto difficile ottenere informazioni precise di questo tipo relative a regimi autoritari, come quello cinese.
In Turchia nella maggior parte dei casi le accuse riguardano una qualche tipo di presunta vicinanza a un movimento terroristico. Esempio raccontato dal New York Times: scrivere “militante” al posto di “terrorista” per riferirsi a un membro del PKK. Le autorità possono considerare prova di simpatia per il terrorismo anche la mancata citazione del numero di persone uccise durante il tentato colpo di stato di luglio, che potrebbe essere letta come un modo per prendere le parti dei golpisti.
Sempre dal New York Times: si possono passare dei guai pubblicando una foto in cui Erdoğan è venuto male.
Povera amata e laica Turchia tradita...

(RemoContro)

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