Congo, l’inferno del Coltan e la manodopera della disperazione...
È un minerale indispensabile per i nostri smartphone. Si estrae nelle miniere del Congo, controllate dai signori della guerra. Che danno «lavoro» a milioni di schiavi «volontari»
Il coltan è un minerale di
superficie e per estrarlo non bisogna fare costosi tunnel di chilometri. È
raro, si trova in Congo e in pochi altri Paesi. E soprattutto è indispensabile
per i nostri smartphone e per l’industria aerospaziale. Facile, prezioso, utile:
tre vantaggi che ne fanno il bancomat della giungla, disponibile per chi abbia
un esercito privato, sia guerrigliero o militare corrotto. La manodopera della
disperazione è semplice da «creare». Basta razziare nelle province vicine,
uccidere, violentare. La gente scapperà e verrà a scavare proprio per il
«Signore della guerra» che controlla il coltan. Senza che lui investa un
centesimo per allestire la miniera, la gente si organizzerà in clan di 30-40
persone. Gli uomini estrarranno le pietre con le vanghe, le donne e i bambini
le laveranno a mano nell’acqua e le trasporteranno al mediatore più vicino. A
volte cammineranno anche due giorni nella foresta con trenta chili sulle
spalle. I minerali verranno imbarcati per la Cina o la Malesia dove i due metalli
del coltan (columbine e tantalio) verranno separati per essere venduti
all’industria high tech. A ogni passaggio il Signore della guerra prende una
tangente e si arricchisce sulla miseria altrui. Può essere un ribelle, un
colonnello dell’esercito o un poliziotto.
Il Congo è pieno di schiavi
volontari al servizio di uomini forti. Milioni, senza neppure la dignità
di una statistica attendibile: bambini analfabeti, orfani, condannati
tramandare da una generazione all’altra la maledizione delle miniere. Rapporti
Onu parlano di 11 milioni di morti legati al controllo di questo business. Di
chi è la colpa? Di un Paese troppo ricco di risorse e troppo povero di capitale
umano. Dell’era coloniale. Del post colonialismo. Del neoliberismo. Della
corruzione. Del fallimento dello Stato. Dei nostri smartphone e missili
spaziali. Quasi l’80 per cento del minerale per i telefonini proviene dalla
Repubblica Democratica del Congo, l’intero Paese, invece di arricchirsi, ne è
sconvolto e per di più, boicottare l’uso del metallo sarebbe come condannare
alla fame milioni di persone.
Suor Catherine delle sorelle
del Buon Pastore, in missione a Kowesi, nell’ex
provincia congolese del Katanga si sforza di spiegare la corsa al coltan. «La
gente non scava nelle miniere artigianali per diventare ricca. Lì si
abbrutiscono, si prostituiscono, si ubriacano, si ammalano e muoiono. Chi
comincia sa già quale sarà il suo destino. Eppure arrivano di continuo. C’entra
il fatto che sono stati scacciati dalle loro terre, ma anche altro, come
spiegare a un europeo?». Nella cornetta si sente un coccodé e Suor Catherine si
illumina. «Ecco forse così potrete capire: lo fanno perché non hanno le
galline. Questa gente ha fame, in un paradiso ricco d’acqua e piante
meravigliose come il Congo, non sono in grado di coltivare o allevare un pollo,
sanno solo scavare».
«È la maledizione della
ricchezza — sostiene il funzionario Onu Maurizio Giuliano, grande conoscitore
dell’Africa —. Da 20 anni a questa parte sono quasi scomparse per ragioni
politiche le grandi compagnie minerarie che offrivano un certo welfare ai loro
operai. C’era paternalismo sì, ma la privatizzazione delle concessioni in
assenza di un aiuto alternativo ha distrutto la coesione sociale. Signori della
guerra controllano decine di migliaia di lavoratori in schiavitù volontaria.
Stupri di massa e abusi di ogni genere sono la regola. E chi non scava o spara,
muore di fame». Bambini di 5 anni in miniera, bambine di 11 nei bordelli delle
bidonville minerarie, madri abbandonate con 5-10 figli che muoiono di fatica e
malattia a trent’anni, orfani, schiavi volontari per un uovo al giorno.
Questi minatori «artigianali»,
dentro la giungla, guadagnano 3-4 dollari al giorno. Donne e trasportatori 2. I bambini anche
meno. «Però così riescono almeno a mangiare — insiste ancora suor Catherine —.
Il cibo in Congo è carissimo perché importato. Uova dallo Zambia, fagioli dalla
Namibia, cavoli e mele dal Sud Africa». Chi compra il minerale dai minatori è
spesso lo stesso che gli vende il cibo riprendendosi gli spiccioli che gli ha
appena dato. «Basterebbero delle galline a dare un’alternativa».
Per aiutare i bambini minatori
del Congo sarebbe, forse, utile un altro Leonardo DiCaprio. Il suo film Blood diamond (Diamanti di sangue) aiutò a incrinare il legame tra pietre
preziose e guerre perché da sempre si cercano gemme per comprare armi, ma è con
le armi che ci si impossessa delle gemme. Lo stesso sta accadendo con i metalli
per l’High-Tech. Anche grazie a DiCaprio le regole internazionali sono cambiate
in meglio. Il commercio dei diamanti non si è convertito in un esercizio di
virtù, ma almeno chi vuole comprare pietre pulite oggi può farlo. Vale lo
stesso per gli smartphone che abbiamo in tasca? «Da due anni a questa parte —
spiega Cristina Duranti, della Fondazione Internazionale Buon Pastore — la
catena di approvvigionamento dei metalli rari ha ricevuto maggiore attenzione.
È entrata in vigore la riforma di Wall Street, la Dodd-Frank Act, che impone di
controllare che le materie prime non alimentino i conflitti del Congo. Ci sono
stati dei passi avanti, ma resta grande il problema del contrabbando e delle
milizie».
Karen Hayes è la direttrice del
programma «dalla miniere al mercato» della Ong Pact finanziata dalle
industrie che usano il coltan e dal governo olandese. «Dal 2010 — racconta —
abbiamo catalogato 800 miniere, mappato le zone di conflitto, distribuito
computer e insegnato agli Stati a sorvegliare la catena dell’export. Oggi
possiamo dire che le armi sono scomparse dalle miniere, anche se restano i
bambini minatori e la povertà». Pochi però, vedono come Pact, il bicchiere
mezzo pieno. Amnesty International sostiene che la Dodd-Frank Act ha solo
scalfito il problema e la maggioranza delle società non ha neppure tentato di
ottemperare alla Legge soprattutto per la parte del business che avviene nella
giungla.
Una compagnia privata, la
Fairphone, si vanta di produrre esclusivamente
telefonini «senza guerra». «Controlliamo direttamente tutte le fasi
dell’approvvigionamento — spiega Laura Gerritsen, responsabile del programma —.
Così evitiamo il boicottaggio e non danneggiamo l’economia del Paese basato
sulle miniere». Dalla parte opposta dell’etica del lavoro, società cinesi,
kazake o comunque non quotate a Wall Street, ignorano qualsiasi procedura e
comprano coltan da chiunque senza voler sapere come l’ha estratto. Il problema
è enorme come il Congo, 80 milioni di abitanti, un governo conteso e un livello
di scolarità che invece di crescere diminuisce.
«Non è più solo un problema di
sfruttamento internazionale — dice il professor Luca Jourdan dell’Università di Bologna —. È
peggio oggi il fallimento dello Stato. Le autorità hanno assunto una forma
violenta e predatoria. Le istituzioni si mostrano efficienti quando
distribuiscono concessioni minerarie ai famigli del potere e le proteggono con
la forza. Quando invece si tratta di difendere i diritti basici delle persone,
dai bambini, alle donne, ai lavoratori, lo Stato smette di esistere. Il
risultato sono intere generazioni perdute, un popolo ridotto in schiavitù»…
(Corriere della Sera Esteri)
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