Tutto il mondo contro Duterte: pioggia di critiche sulla guerra alla droga...




La senatrice Leila de Lima scende da un furgone della polizia dopo aver presenziato a un'udienza al tribunale di Muntinlupa, municipalità di Manila. Filippine, 24 febbraio 2017. REUTERS/Erik De Castro


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Lo scorso 23 febbraio la signora Leila de Lima è stata arrestata a Manila, nelle Filippine, accusata di corruzione e narcotraffico, diventando la più famosa detenuta del Paese, in patria e all'estero. Leila de Lima è una senatrice del Parlamento della Repubblica delle Filippine, già Ministro della Giustizia con il precedente governo, e negli ultimi mesi si è distinta per essere un'accanita oppositrice al presidente Rodrigo Duterte, criticandolo fortemente e accusandolo di responsabilità dirette nelle esecuzioni extragiudiziali di “spacciatori” e “drogati”: oltre 7.000 cadaveri dal 1 luglio ad oggi, secondo i numeri snocciolati dallo stesso governo filippino (la vice-presidente Robredo ha di recente corretto il numero parlando di 8.000 morti).

“Per me è un onore essere imprigionata per le idee per cui mi batto. […] Duterte è un sociopatico serial killer” ha dichiarato alla stampa pochi minuti prima di consegnarsi alla polizia, rigettando ogni accusa rivoltale dal dipartimento di Giustizia delle Filippine e dal ministro Vitaliano Aguirre II, uno dei fedelissimi di Duterte: Leila de Lima è accusata di aver ricevuto tangenti dai boss del narcotraffico quando era ministro della Giustizia, tra il 2010 e il 2015, per un totale di 5 milioni di pesos (meno di 100.000 Euro). Un reato che nelle Filippine è punito con l'ergastolo.
Secondo la senatrice filippina le accuse che il Dipartimento di Giustizia le rivolge sarebbero state montate ad arte sulla base di testimonianze false, estorte dagli inquirenti in cambio di sconti di pena a detenuti per narcotraffico e corruzione: “È la vendetta di Duterte per le mie indagini sulle squadre della morte usate a Davao, quando ero presidente della Commissione per i diritti umani. […] Negli ultimi 7 mesi sono morte più persone che in 14 anni di regime di Marcos” ha detto de Lima in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook prima dell'arresto.
Leila de Lima è il primo prigioniero politico della presidenza di Rodrigo Duterte ma non è l'unica a temere per la propria incolumità: il senatore Antonio Trillanes IV ha dichiarato di recente che “Duterte mi vuole morto”. Il proibizionismo nelle Filippine “si conferma come una potente e mortale museruola. Chi è contro la guerra alla droga è un nemico della sicurezza del popolo e, se non direttamente coinvolto o comunque coinvolgibile nel traffico, deve esser sequestrato fisicamente per zittire ogni voce critica” ha dichiarato a IBTimes Italia Marco Perduca dell'Associazione Luca Coscioni, ed ex-senatore Radicale, che partecipa proprio in questi giorni alla 60° Conferenza ONU sulle Droghe di Vienna.
La guerra alla droga lanciata da Duterte sul piano nazionale è caratterizzata dalla brutalità degli squadroni della morte, che ogni notte uccidono senza pietà chi è accusato di reati connessi al traffico o al consumo di droghe. In questa guerra non è importante il sesso, non è importante l'età e, sopratutto, non è importante la presunzione d'innocenza o il caso: trovarsi di fronte uno di questi squadroni, per un cittadino filippino, significa molto probabilmente finire in una cassa di legno e sono molti ad essersi ritrovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. In centinaia di migliaia, sopratutto tossicodipendenti e spesso sostenitori di Duterte, si sono consegnati più o meno spontaneamente alle autorità per paura di fare una brutta fine e questo non ha fatto altro che aggravare le già terribili condizioni delle carceri delle Filippine, oltre a non rappresentare una garanzia di sopravvivenza per chi decide di consegnarsi.
Ma la guerra alla droga di Duterte è in realtà una guerra per la sopravvivenza dei corrotti. Come sottolineato da Perduca sono ben 160.000 gli agenti della Polizia Nazionale richiamati in servizio da Duterte lo scorso gennaio dopo che erano stati temporaneamente sospesi perché accusati di corruzione: diverse inchieste giornalistiche e reportage hanno inoltre dimostrato come buona parte del corpo di Polizia, e un gran numero dei membri degli squadroni della morte, fino alla precedente legislatura erano ben contenti di prendere soldi dai narcotrafficanti in cambio di silenzio e connivenza; la vittoria di Duterte alle elezioni ha ribaltato lo scenario generale e molti, per paura di finire imbrigliati nella repressione sanguinaria del neo-Presidente, hanno tradito le stesse persone che un tempo coprivano. Le esecuzioni extragiudiziali sono, in tal senso, la salvezza dei corrotti: i morti, si sa, non parlano e nessuno potrà così accusarli in un processo di essere stati a libro paga dei trafficanti.

La domanda a questo punto è: se Duterte riuscisse davvero a “ucciderli tutti” dopo a chi toccherà morire? “Molto spesso la guerra alla droga è un elemento, magari tra i più evidenti, di come i governi discriminino, a volte penalizzando o perseguitando, la libertà di scelta dei cittadini […] purtroppo "tutto si tiene" nel silenzio dei paesi democratici che molto spesso investono in programmi di "amministrazione della giustizia"” ha ricordato Perduca a IBTimes Italia.
                                        
In verità la guerra alla droga di Duterte, che indigna mezzo mondo, sta incrinando gli equilibri politici anche all'interno delle Filippine: alla riunione della Commissione ONU di Vienna è intervenuta anche la vice-presidente delle Filippine Leni Robredo, che ha sorprendentemente criticato le priorità del presidente Duterte in materia di guerra alla droga“È un problema complesso che non si risolve solo con le pallottole” ha dichiarato in un video “e deve essere considerato per ciò che è veramente: un complesso problema di salute pubblica legato a povertà e disuguaglianze sociali”.
Quello che Robredo racconta nel video trasmesso a Vienna è sconcertante e va oltre le esecuzioni extragiudiziali, descrivendo un clima di terrore assoluto: oltre alle migliaia di morti ci sono cittadini pestati dalla Polizia per estorcere informazioni, parenti di ricercati arrestati al posto dei sospetti, mandati di cattura inesistenti, rastrellamenti nei quartieri più poveri e tra le comunità rurali, pestaggi e sevizie, abusi di ogni tipo sugli arrestati. Un terrore diffuso sempre di più anche tra chi ha sostenuto e continua a sostenere Duterte: “Il nostro popolo ha lottato a lungo per i diritti e la libertà e non torneremo certo indietro ora” ha detto Robredo nel video, trasmesso il 13 marzo durante un incontro organizzato dall'Associazione Luca Coscioni a margine della Conferenza ONU, con il sostegno dell'Internazionale liberale e della Drug Policy Alliance, oltre che in collaborazione con la DRCNet Foundation.
“Pare che la commissione droghe delle Nazioni unite approvi, ma a maggioranza, una dichiarazione generica contro la pena di morte e le esecuzioni extragiudiziali. L'Alto Commissario per i diritti umani dell'ONU ha criticato chiaramente le uccisioni, senza imputarle a nessuno, e ha invitato le autorità ad aprire delle indagini. Non mi risultano démarche nelle capitali europee ne' tantomeno qualcuno che abbia richiamato l'ambasciatore” afferma Perduca riflettendo sul ruolo che la comunità internazionale può avere in questo semi-conflitto: “Diverso il quadro se si parla di organizzazioni non-governative, come Amnesty International, Human Rights Watch e ora anche Non C'è Pace Senza Giustizia e l'Associazione Luca Coscioni” che sono invece molto attive, nei limiti delle possibilità, nell'indagare e denunciare i crimini della guerra alla droga di Duterte.
Ieri (15 marzo) diversi senatori e deputati italiani hanno rilanciato un appello#FreeLeila, lanciato proprio dall'Associazione Luca Coscioni, da Radicali Italiani e da Non C'è Pace Senza Giustizia affinché la senatrice filippina Leila de Lima venga scarcerata. Una battaglia sempre più aspra e sempre più ampia condotta dentro e fuori dell'arcipelago delle Filippine, che sopperisce oggi ciò che la comunità internazionale non riesce a fare: cercare di fermare i crimini di Duterte contro il suo stesso popolo...
(International Business Times)

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