Siria, sei anni di guerra: così è cambiato il volto del paese...




Oggi, 15 marzo, si celebra il sesto anniversario della crisi che ha sconvolto la Siria. Una guerra devastante sia per la sua violenza che per i gravi effetti collaterali.



Oggi, 15 marzo, si celebra il sesto anniversario della crisi che ha sconvolto la Siria. Una guerra devastante sia per la sua violenza che per i gravi effetti collaterali che rischiano di passare inosservati. Sei anni di brutale conflitto che hanno profondamente cambiato l’azione medica in Siria. E mentre i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità continuano a rimanere impuniti, le diverse organizzazioni internazionali si sono spese in queste ore con iniziartive e appelli per richiamare l’attenzione del mondo sul dramma vissuto dai siriani.

La campagna di Amnesty International. Amnesty International ha lanciato una campagna per chiedere ai leader mondiali di agire per assicurare giustizia, verità e riparazione a milioni di vittime del conflitto. La campagna, intitolata “Giustizia per la Siria”, chiede ai governi di porre fine all’impunità e avviare l’accertamento delle responsabilità sostenendo e finanziando il meccanismo d’indagine approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre e applicando la giurisdizione universale per indagare e processare persone sospettate di crimini di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel corso del conflitto siriano. “Dopo sei anni terribili, non c’è più alcuna scusa per lasciare impuniti gli orrendi crimini di diritto internazionale che vengono commessi in Siria”, dichiara Samah Hadid, direttore delle campagne presso l’ufficio regionale di Amnesty International a Beirut. E prosegue: “I governi hanno già a disposizione gli strumenti giuridici per porre fine all’impunità che ha causato la morte di centinaia di migliaia di siriani e la fuga di milioni di persone. Ora è il momento di usarli”. 
Amnesty ricorda che tutti gli stati possono esercitare la giurisdizione universale su crimini di diritto internazionale come i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. Essa permette di indagare e processare nei tribunali nazionali persone sospettate di essere responsabili di detti crimini, così come di quelli di tortura, genocidio e sparizione forzata, a prescindere dallo stato dove siano stati commessi e della nazionalità della persona sospetta o di quella della vittima. 
Attualmente, sono 147 i paesi che possono esercitare la giurisdizione universale su uno o più crimini di diritto internazionale. Indagini sui crimini commessi in Siria sono in corso in vari paesi europei tra cui Francia, Germania, Norvegia, Olanda, Svezia e Svizzera. 
L’appello di Terre des Hommes. Un appello perché si arrivi presto a una risoluzione del conflitto tra le parti in causa in Siria e sia assicurato accesso incondizionato ai servizi di base a tutta la popolazione civile, in qualsiasi luogo si trovi e a qualsiasi comunità faccia parte. Lo ha lanciato Terre des Hommes a sei anni dall’inizio della guerra in Siria, "che ha visto innumerevoli massacri di bambini e un numero imprecisato di minori mutilati e permanentemente segnati nel corpo e nell’anima". Impegnata nell’iniziativa “No Lost Generation” nell’assicurare protezione, salute e istruzione ai bambini, "le vittime più vulnerabili della guerra", l'organizzazione ha assistito dall’inizio della guerra un milione e mezzo di persone, in maggioranza bambini, sia all’interno della Siria che nei paesi limitrofi (Libano, Giordania e Iraq).
La trasformazione dell’assistenza medica. In un rapporto pubblicato ieri, Medici senza Frontiere sottolinea i problemi e le sfide delle strutture mediche che, in Siria, operano sotto la minaccia costante dei bombardamenti.
Per Msf “la precarietà della situazione non solo impedisce alla popolazione di avere accesso all’assistenza medica, ma limita anche l’efficacia e la portata delle cure che possono essere offerte”. Msf è riuscita a mantenere una presenza sul campo in gran parte della Siria, ma con enormi difficoltà, nello sforzo di continuare a fornire direttamente o indirettamente servizi medici essenziali. L’organizzazione ha dovuto mettere in discussione i propri standard d’intervento e adottare le operazioni e le pratiche sanitarie alla brutale realtà del conflitto siriano. Nei casi in cui è riuscita a restare operativa, ha dovuto ridurre drasticamente i servizi offerti alla popolazione, nonostante il bisogno sempre più acuto di assistenza medica, specie in campo traumatologico. Le prestazioni mediche non urgenti sono state ridotte, e “ciò ha permesso a patologie prevenibili e curabili di trasformarsi in malattie mortali”.
Il personale sanitario si è drasticamente ridotto con l’evolversi del conflitto. Molti medici e infermieri sono stati uccisi o feriti a seguito di attacchi alle strutture sanitarie. Le attività di assistenza medica si sono dovute adattare alle capacità disponibili e questo ha portato non solo a una drammatica riduzione dell’offerta di servizi sanitari, ma anche a sostanziali modifiche nei livelli di assistenza.
Gli ospedali sono diventati posti da evitare. “Pazienti e personale medico – si legge – vogliono passare meno tempo possibile nelle strutture sanitarie, perché sono a rischio attacchi”. “L’inevitabile tendenza a preferire le cure domestiche e fai da te rispetto alle cure ospedaliere ha ripercussioni rilevanti nella prescrizione di medicinali”. E così come le visite in ospedale son o pericolose per i malati cronici, le ripetute visite necessarie alla vaccinazione dei bambini sono un rischio. E così si mettono a rischio i bambini di contrarre malattie infantili prevenibili.
Oxfam: “Siriani in trappola, servono corridoi umanitari”. Secondo l’organizzazione allo stato attuale ci sono 78 mila siriani bloccati al confine con la Giordania, centinaia di migliaia respinti alla frontiera con la Turchia, 640 mila in Siria, sotto l’assedio militare imposto dal governo e i suoi alleati, dai gruppi armati di opposizione e dall’Isis. “Invece di porre fine alle incredibili violenze che affliggono la Siria da 6 anni, si impedisce ai siriani di mettersi in salvo da quelle stesse violenze. È il generale consenso che accomuna il mondo oggi. – ha detto Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia – Il risultato è che centinaia di migliaia di persone vivono nelle aree di guerra o in un paralizzante stato di assedio, mentre in tantissimi non hanno nessuna speranza di reinsediamento in altri paesi o di ritorno a casa, a causa di un conflitto che sembra non dover finire mai".

La Caritas e il riscatto dei giovaniIn Siria dopo sei anni di guerra la situazione resta drammatica: la maggior parte dei giovani dichiara di vivere in povertà, in famiglie con seri problemi economici. Una delle principali cause della povertà è la mancanza di lavoro ( ben l’84,5 dei giovani vivono in famiglie con forti problemi di disoccupazione). A questo si aggiungono altri drammi molto gravi, legati direttamente alla guerra: famiglie divise dal conflitto, famiglie con vedove o orfani e altissimo risulta essere anche la percezione di “disordini post traumatici da stress”. Lo dice uno studio condotto da Caritas Siria e Caritas Italiana, in collaborazione con Avsi, Engim, Vis e il Patriarcato Armeno, tra gennaio e febbraio 2017.
Nello specifico, il 53,3 per cento degli intervistati segnala di aver subito torture o abusi negli anni del conflitto. Dalla ricerca emerge anche una fotografia di giovani che, nonostante la guerra, cercano di vivere una vita il più normale possibile, al pari di molti loro coetanei. Il loro impegno si concretizza, soprattutto, in attività sociali in favore dei giovani che coinvolgono il 64,4 per cento degli intervistati (in gran parte volontari), mentre il 30,3 per cento è impegnato in attività di “orientamento e consapevolizzazione dei giovani”. Anche le attività legate all’animazione ed educazione religiosa, che vedono impegnati il 55,3% degli educatori, raccontano una generazione che non rinuncia ai propri valori, alle tradizioni e alla spiritualità. Nonostante le problematiche dovute al conflitto, non mancano attività di “promozione della pace e della nonviolenza”, che vedono coinvolto il 13,6% degli intervistati...

(Globalist)

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