L'inferno spalanca le sue porte ai migranti al confine tra Marocco e Algeria...




L'emblematica storia di 34 persone bloccate lungo una striscia di terra senza alcun tipo di aiuto



Se il Mediterraneo, come ama dire qualcuno, da mare che unisce è diventato per centinaia di migranti una tomba a cielo aperto, per altri disperati che hanno attraversato il Sahara, ma non hanno potuto ancora raggiungere la sponda nord del continente, si sono spalancate le porte di un limbo terribile, abbandonati a se stessi, senza alcun aiuto e, soprattutto, senza vedere un futuro.
Sono quelli che, giunti ad un passo dal potere salire sui barconi degli schiavisti del terzo millennio, sono bloccati tra Paesi che non intendono assumersi la responsabilità di assisterli o, nella migliore delle ipotesi, accoglierli.
E' quanto sta accadendo ad un gruppo di 34 persone, provenienti da Guinea, Camerun, Mali, Senegal e Costa d'Avorio, che si trovano lungo la linea di confine tra Marocco ed Algeria senza che nessuno dei due Paesi si voglia assumere la responsabilità di prestare loro assistenza. E loro, come centinaia di altri disperati, ora vivono in rifugi di fortuna sulle rive del fiume Jorgi, in una comunità in cui sono presenti migranti provenienti da quasi tutti i Paesi subsahariani. Un microcosmo la cui composizione muta, con la morte di questo, la fuga di quell'altro, l'arresto di un altro ancora, il ricovero, quando non il suicidio di chi non ce l'ha fatta a resistere.
Una dimensione infernale per questi profughi, tra i quali ci sono anche dodici minori. Il gruppo aveva cercato di ottenere da parte delle autorità marocchine di Oudja i documenti di regolarizzazione, che però tardano ad arrivare. Così per loro sono state attivate le procedure per l'accompagnamento alla frontiera algerina, nella speranza che le relative autorità dessero luce verde per il loro ingresso in Algeria. Ma questo non è accaduto e i 34 migranti - che speravano di potere raggiungere la città algerina di Maghnia - sono ancora lì, a cavallo di una frontiera sempre molto calda, e non solo in senso meteorologico, non sapendo se il loro futuro sarà al di qua o al di là del confine.
La situazione di stallo, come sottolinea la stampa algerina, è apparentemente in contrasto con quanto annunciato dal sovrano marocchino, Mohammed VI, che, poche settimane fa, aveva annunciato che il Marocco avrebbe proceduto ad una nuova campagna di regolarizzazione dei ''sans papiers'', così come accaduto nel 2014 quando 25 mila immigrati, provenienti dai poverissimi Paesi dalla fascia subsahariana, riuscirono ad ottenere il permesso per risiedere nel Regno.
Un rifiuto da parte delle autorità marocchine bollato come ''totalmente inspiegabile'' da parte di alcune ong, come il Gadem, Gruppo antirazzista d'accompagnamento e di difesa degli stranieri e migranti, secondo il quale in questa politica si lega alle tensioni che si registrano alle porte delle enclaves spagnole di Ceuta e Melilla. Secondo il Gadem, la pratica di accompagnamento di migranti dal Marocco alla frontiera algerina era inapplicata ormai da tre anni e non si comprende bene il perché della sua riattivazione.
I migranti, senza assistenza e, quindi, senza cibo o acqua, vivono in una condizione pericolosissima e, secondo quanto hanno loro stessi riferito ad alcuni testimoni, citati dalla stampa algerina, prima di essere portati alla frontiera sono stati depredati di passaporti, denaro e telefoni cellulari. E qualcuno parla anche di violenze gratuite subite dagli agenti di sicurezza marocchini, che li avrebbero pestati a colpi di manganello. Una testimonianza sulla cui attendibilità restano i dubbi che sempre accompagnano le parole dei migranti, che talvolta, per accrescere l'aspetto emozionale delle loro vicende, parlano di violenze subite, senza fornire elementi per verificare la portata delle loro dichiarazioni. Comunque, a sostegno di queste ultime denunce, c'è la circostanza che alcuni dei migranti sono stati soccorsi e medicati, per le violenze subite, al posto di frontiera algerino.    
Finiti i pochi alimenti che erano riusciti a portare con loro, i migranti sono stati costretti a cibarsi di piante, che crescono nella ''terra di nessuno'' tra i territori dei due Stati, lungo le rive di un fiume nel cui letto non scorre nemmeno l'acqua...

(Globalist)

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