Siria, è finita la guerra?...
Putin, l’Isis, il regime e le trattative
di pace: capire oggi il conflitto
di Davide Frattini
L’11 dicembre del 2011 Ehud Barak prediceva: «I giorni di
Bashar Assad sono contati». Da allora il ministro della Difesa israeliano è
andato in pensione e si è lasciato crescere la barba, il dittatore siriano è
ancora al potere e porta sempre gli stessi baffetti. Sono passati sei anni
dalle prime manifestazioni pacifiche per chiedere le riforme, i morti sono
quasi 500 mila (le Nazioni Unite hanno smesso di contarli), il presidente
potrebbe rimanere in carica fino al 2021. È la proposta dei russi e degli
iraniani, i potenti sponsor che gli hanno permesso di sopravvivere alle
rivolte: «La Costituzione va rispettata» dicono, anche se il voto del giugno
2014 è stato considerato una farsa. Come tutte le elezioni nei quarantasei anni
di dominio sulla Siria, da quando il padre Hafez si prese il potere con un
colpo di Stato militare. «La mia famiglia non possiede il Paese», commenta
Bashar a un gruppo di giornalisti belgi. Assicura di essere pronto a farsi da
parte, se i siriani dovessero scegliere un altro leader. Per ora dovranno
aspettare almeno quattro anni.
I russi finiranno impantanati?
Nell’autunno
del 1979 l’Unione Sovietica interviene in Afghanistan per sostenere il governo
comunista al potere. Vladimir Putin ha imitato in Siria le mosse di Yuri
Andropov, suo ex capo al Kgb, e cerca di evitarne gli errori. Il ritiro
dell’Armata Rossa, stremata dopo dieci anni a combattere sulle montagne attorno
a Kabul, è un ricordo troppo amaro per i russi. Così per pattugliare le strade
di Aleppo tolte agli insorti e per assaltare i villaggi nelle campagne lo zar
del Cremlino ha chiesto un favore a un alleato: Ramzan Kadyrov ha annunciato ai
2,3 milioni di seguaci su Instagram che i suoi ragazzi ceceni sono stati
dispiegati nel Nord della Siria «per proteggere la pace e l’ordine».Sono gli
spietati battaglioni delle forze speciali che il presidente-tiranno comanda
come un esercito personale. Da musulmani sunniti dovrebbero essere accolti
meglio dalla popolazione locale che considera invasori stranieri i miliziani
sciiti addestrati dall’Iran. Putin può consolidare le basi militari in Siria
che Assad gli ha garantito in cambio della protezione, senza dover impegnare i
soldati russi sul terreno. E allontanare il fantasma dell’Afghanistan.
Il Califfato
conserva ancora quella che considera la sua capitale in Siria, ma Raqqa sta
diventando una roccaforte senza regno. Le milizie dello Stato Islamico sono
ormai circondate nell’ultima città sotto il loro controllo a nord-ovest del
Paese: prima della guerra Al Bab era uno dei centri più importanti nella
provincia di Aleppo, adesso è l’obiettivo fondamentale per tagliare le vie di
rifornimento dell’Isis verso la Turchia che dista una ventina di chilometri. I
primi a raggiungere la periferia di Al Bab sono stati i ribelli siriani
appoggiati dai jet e dall’artiglieria turca, ieri le truppe di Assad hanno
bloccato l’unica via di accesso (o fuga) rimasta. L’assedio diventa anche un
test per la possibile (ma improbabile) cooperazione tra alcuni gruppi di insorti
e il regime con il traguardo comune di cacciare i fondamentalisti islamici.Che
stanno perdendo i territori dove spadroneggiano dalla primavera del 2014 e —
secondo un rapporto delle Nazioni Unite — anche le fonti per finanziare le
offensive del terrore. Il Califfato — scrivono gli analisti — opera con un
«budget di crisi».
La fine della guerra è possibile?
I negoziati
pianificati dalle Nazioni Unite sono stati ancora una volta rinviati. I
mediatori avrebbero dovuto incontrarsi oggi a Ginevra, gli sforzi per arrivare
alla fine del conflitto dovranno aspettare almeno 12 giorni. L’Onu subisce la
concorrenza diplomatica di Russia-Iran-Turchia che hanno organizzato il vertice
ad Astana di fine gennaio e stanno ancora discutendo nella capitale del Kazakistan
come regolamentare il cessate il fuoco. Che non tiene: continuano i raid russi
e del regime, continuano le azioni dei ribelli…
(Corriere
della Sera)
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