Sport, insabbiata la legge sul limite dei mandati dei presidenti di federazione. Su 45, più della metà oltre il tetto previsto di otto anni...
La proposta di legge, già approvata al Senato, che introduce un limite temporale massimo di otto anni per le cariche dirigenziali del Coni e delle federazioni sportive, ha festeggiato il suo primo semestre di “insabbiamento” a Montecitorio, dove non è stata messa una sola volta all'ordine del giorno in commissione. A differenza di altri provvedimenti, però, per questo nessuno degli osservatori, nemmeno il più ingenuo, si era spinto a vedere un futuro che non fosse un parcheggio su un binario morto dove aspettare la fine della legislatura. D'altra parte, l'eufemismo con cui il presidente del Coni Giovanni Malagò si era presentato in audizione a Palazzo Madama (“ritengo che il nostro mondo non sia pronto a recepire un limite di due mandati”) lasciava pochi dubbi sull'atteggiamento che avrebbero avuto i diretti interessati e i loro referenti in Parlamento.
Tra i 45 presidenti delle federazioni sportive affiliate al Coni, 23 sono in carica da più di otto anni. Abbondano casi misconosciuti che sarebbe estremamente riduttivo definire di “attaccamento alla poltrona” e che rientrano piuttosto nella categoria patologica delle pulsioni monarchiche.
Difficile interpretare in altro modo la surreale parabola del presidente della Federbocce Romolo Rizzoli, 76 anni di vita, di cui 51 (vale a dire due terzi) passati negli organismi dirigenziali della federazione, che guida dal 1993. Eppure è tutto vero, e la meraviglia se possibile aumenta quando si scopre che la poltrona di Rizzoli resiste non solo alle decadi ma anche agli scandali, come quello scoppiato quando si è scoperto che il titolare della società a cui era stato affidato in gestione il centro tecnico federale di Roma era Andrea Rizzoli, figlio del presidente, a sua volta dipendente della federazione judo, lotta e arti marziali. Quando è stato contestato da alcuni coraggiosi iscritti anche per presunte violazioni allo statuto in sede di elezione, Rizzoli ha compreso che per uscire dall'accerchiamento occorreva fare qualcosa, e con una mossa da politico navigato ha nominato un commissario ad acta per la revisione dello statuto stesso e fissato nuove elezioni a marzo, alle quali, come se vi fosse stato qualche dubbio, ha annunciato di voler partecipare.
E che dire allora di Sabatino Aracu, ex-deputato di Forza Italia, condannato in primo grado per la sanitopoli abruzzese (poi prescritto), presidente anch'esso dal 1993 della Federazione Hockey e Pattinaggio, che a suo tempo non recepì il codice di condotta del Coni che gli avrebbe imposto di sospendersi cautelativamente dopo la prima sentenza? Da plurindagato Aracu è riuscito a difendere, oltre allo scranno nazionale, anche quello di presidente della Firs, la federazione internazionale degli sport su rotelle, mentre ha dovuto mollare la carica di presidente del comitato organizzatore dei XVI Giochi del Mediterraneo.
Tra gli immortali figura anche Vincenzo Iaconianni, fresco di una rielezione (la quinta) alla presidenza della federazione motonautica ottenuta da candidato unico col 95 per cento dei voti, che lo ha proiettato nel ventesimo anno di mandato, con ottime possibilità di arrivare alle nozze d'argento con gli off-shore. Alle nozze d'argento ci arriverà di sicuro Luciano Rossi, senatore alfaniano e presidente dal 1993 della plurimedagliata Federazione tiro a volo. La “specialità” di casa Rossi è di aver scelto di intraprendere un'attività imprenditoriale parallela a bassissimo rischio d'impresa: produrre piattelli. Guarda caso, gli unici omologati e come tali gli unici a poter essere impiegati nelle gare federali, indette dalla federazione da lui stesso diretta. Quando la cosa è venuta fuori, Rossi non ha fatto una piega e ha minimizzato il titanico conflitto d'interesse parlando di un'”eccellenza italiana” da difendere coi denti, o magari col fucile.
Ma la lista degli highlander dello sport italiano non si ferma ai casi-limite appena citati (ai quali vanno aggiunti Francesco Purromuto e Siro Zanella al timone rispettivamente delle federazioni Handball e Squash dal 1997) e comprende altre storie di potere meno folkloristiche ma più rilevanti da un punto di vista politico ed economico, poiché riguardano gli sport maggiori. Per capire quanto il problema sia strutturale e urgente, basta riflettere su un dato. Come detto, 23 federazioni su 45 sono governate da un presidente in carica da ben più degli otto anni previsti dalla proposta di legge. Se si facesse la media generale degli anni di mandato, il risultato sarebbe un bel dieci netto.
Difficile non pensare a situazioni come quelle del presidente della Fipav Carlo Magri, in carica dal 1995, o al dominus del nuoto Paolo Barelli, appena entrato nel diciassettesimo anno di regno, esattamente come Angelo Binaghi, signore incontrastato del tennis italiano dal 2000. Anche i presidenti delle prestigiose federazioni scherma e ciclismo, Giorgio Scarso e Renato Di Rocco, in carica dal 2005, sembrano lanciatissimi verso l'eternità, per non parlare del presidente della Federgolf Franco Chimenti, capace di regnare dal 2002 e di portare a casa una pioggia di milioni per la Ryder Cup che si svolgerà a Roma nel 2022, si presume con lui ancora in sella. E a quanto pare non è bastata a smuovere le acque l'introduzione, nella legge in discussione in Parlamento, di una norma transitoria che non applicherebbe il tetto ai mandati ai presidenti in carica al momento dell'approvazione.
Il fatto è che la nuova normativa non ammetterebbe più i tre pilastri su cui si regge il meccanismo che ora consente in pratica la rielezione a vita: la possibilità di essere rieletto senza limiti di mandato qualora si ottenga più del 55 per cento dei voti degli iscritti, la possibilità del voto multiplo per delega, e infine la non obbligatorietà del voto segreto. Malagò, compresso tra l'esigenza di non passare come il difensore dello status quo e quella di non alienarsi la base di un consenso tanto faticosamente acquisito ai tempi dell'elezione a presidente del Coni, ha incontrato due settimane fa il neoministro dello Sport Luca Lotti, per trovare una via d'uscita governativa all'impasse, sempre in attesa che arrivi quel momento in cui la nutrita pattuglia dei padroni dello sport italiano si sentirà “pronta” ad allinearsi al resto del mondo occidentale. La cosa, però, appare per il momento improbabile...
(L'Huffington Post)
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