Affogamenti e coperte di ghiaccio Le tecniche della Cia per interrogare...
Proibite da Obama, le «misure di interrogatorio rafforzato» oggetto di indagini sono state a lungo in uso
La tortura è proibita, la Cia non può
ricorrere a certi metodi. Questa la linea decisa da Obama dopo gli abusi
durante la presidenza Bush, all’indomani dell’11 settembre. Una pratica che è
stata al centro di discussioni infinite. Sulla legalità e sull’efficacia.
La posizione ufficiale, in
seguito a un’inchiesta del Congresso, è che le violenze sui
terroristi di Al Qaeda non hanno dato il risultato sperato. Non sono servite e
avrebbero indotto le vittime a fornire informazioni infondate solo per mettere
fine alle sofferenze. Paura e dolore li hanno costretti a raccontare frottole.
Giudizio non condiviso, però, da alcuni esponenti repubblicani e da qualche
007, convinti che in certe situazioni tutto è giustificato. Polemica rilanciata
all’indomani dell’uccisione di Osama Bin Laden. C’è chi ha sostenuto che
l’intelligence è arrivata al nascondiglio di Abbottabad, in Pakistan, grazie al
trattamento riservato a uno dei collaboratori del leader jihadista.
Nel film Zero Dark Thirty,
girato da Kathryn Bigelow, che ha avuto accesso a informazioni
della stessa Cia, c’è una scena dura dove un terrorista è rinchiuso dentro una
«scatola», una specie di sarcofago. Una tecnica che, secondo le testimonianze
raccolte, è stata impiegata nei confronti degli estremisti. E non certo
l’unica. C’era un pacchetto di misure autorizzata dai legali dell’agenzia nel
2002 e poi proseguite per molto tempo. Con adattamenti a seconda dei casi.
Episodi spesso avvenuti in centri segreti creati in Paesi amici, dall’Egitto
fino alla Thailandia. Per spezzare la resistenza dei sospetti si è iniziato con
la privazione del sonno: luce sempre accesa nella cella, il prigioniero scosso
continuamente. In alcune occasioni è stato spogliato nudo, in altre il
pavimento del loculo è stato trattato con l’acqua. Un jihadista ha svelato il
sistema del «ghiaccio»: chiuso in una coperta di plastica all’interno della
quale hanno versato acqua gelida. In alternativa detenuti sono stati rinchiusi
in ambienti dove l’aria condizionata era «sparata» al massimo.
Molto temuto dagli estremisti
il famigerato «waterboarding». Il target è sottoposto a un
trattamento che simula le condizioni dell’annegamento, con l’acqua versata sul
volto coperto. Dicono che la sola minaccia avrebbe indotto Khaled Sheikh
Mohammed, uno dei pianificatori della strage delle Torri Gemelle, a collaborare.
All’inizio della detenzione — venne arrestato nel 2003 — il criminale avrebbe
tenuto testa ai funzionari che lo interrogavano, ma avrebbe ceduto quando
questi sono passati «alle cattive», per quasi un mese, con l’ospite del carcere
tenuto sveglio, semi affogato, percosso.
Durante gli anni bui della
lotta al terrore, i seguaci di Al Qaeda sarebbero stati
picchiati duramente con schiaffi sul volto e sulla nuca, colpi sul petto e
sulla testa. Talvolta li hanno lasciati in piedi per lunghi periodi. Altri ancora
li hanno appesi con le mani in alto, legate a una sbarra. Varianti hanno
obbligato il detenuto a posizioni di stress, lungo una parete. Ispirandosi a
«invenzioni» cinesi, nord coreane, giapponesi, mediorientali, gli americani
hanno cercato di strappare dati al nemico. Sembrava una storia passata e invece
potrebbe essere di nuovo attuale, anche se tra i collaboratori di Trump, a
partire dal segretario alla Difesa Mattis, c’è chi si oppone. Un ostacolo
speriamo decisivo...
(Corriere della Sera Esteri)
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