Un principe saudita apre alle donne alla guida: "È giunto il momento"...





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“È giunto il momento che le donne saudite comincino a guidare le loro auto”. Come un fulmine nel deserto, il principe saudita Al-Walid bin Talal, imprenditore a capo della Kingdom Holding Company - una delle più grandi del mondo - e 41esimo uomo più ricco del pianeta (Forbes quantifica il patrimonio personale del principe in 17 miliardi di dollari e spiccioli, Bloomberg resta poco al di sotto dei 20 miliardi), ha rotto con una delle tradizioni più secolarizzate del mondo arabo saudita e aperto alla possibilità che anche le donne possano guidare.
Il 'Warren Buffett d'Arabia' è il nipote del fondatore e primo sovrano Saudita, Ibn Saud, e del defunto re Abdullah ed è anche imparentato con il primo primo ministro della storia del Libano Riyad al-Sulh, suo nonno materno assassinato in Giordania nel 1951. Bin Talal è un personaggio molto conosciuto e controverso in Arabia Saudita: negli anni Ottanta vendette il suo yacht (tra i 60 yacht più grandi del mondo) all'allora magnate e investitore Donald Trump, ma dopo il secondo fallimento di questi, che aveva ribattezzato la barca Princess Trump, Al Walid lo riacquistò. Nel marzo del 2006 è stato colpito da una fatwa, accusato da un professore di diritto islamico di diffondere dittami inopportunie non in linea con la morale del Regno; nel 2001 offrì alla città di New York, dopo gli attentati dell'11 settembre, 10 milioni di dollari in donazioni che furono rifiutati dal sindaco Rudolph Giuliani; nel 2005 ha donato 20 milioni al Louvre e 30 milioni per i primi soccorsi ai terremotati nel Kashmir; nel luglio dello scorso anno, durante il mese di Ramadan, ha annunciato di voler devolvere l'intero suo patrimonio personale ai bisognosi, ispirandosi alla Bill&Melinda Gates Foundation. E troppe ancora ce ne sarebbero da raccontare.
“Impedire a una donna di mettersi alla guida di un'auto, oggi, è una questione di diritto simile a quella che ha proibito alle donne di ricevere una formazione o di avere un'identità indipendente” ha scritto Bin Talal sul suo sito personale, elencando numerosi fattori - economici, finanziari, sociali, religiosi, politici, etc - in sostegno della propria tesi. “Sono tutti atti ingiusti imposti da una società tradizionale, molto restrittiva, ancor più di quanto non siano i precetti religiosi”. La sua è una tesi controversa, persino innovativa in una cultura secolarizzata come quella araba, e che potrebbe attirare sul principe saudita nuove critiche, forse persino una nuova fatwa. Chissà. Sicuramente lo scontro interno alla famiglia Saud avverrà eccome, visto che ad esempio il Vice Principe Ereditario Mohammed bin Salman Al Saud, che è nato nel 1985 ed è anche secondo vice primo ministro e il più giovane ministro della Difesa al mondo, si è detto “poco convinto” dell'opportunità di concedere il permesso alle donne di guidare, citando ragioni sociali e non religiose.
L'Arabia Saudita è l'unico Paese al mondo nel quale alle donne è interdetta la guida: le restrizioni per la vita femminile sono innumerevoli, spesso soffocanti, ma secondo il principe Bin Talal le donne alla guida sono “una necessità, non un lusso sociale” e addirittura farebbero aumentare i posti di lavoro (e se a dirlo è uno degli uomini più ricchi del mondo c'è da crederci, forse). In che modo?
Attualmente le donne saudite, che non possono assolutamente nemmeno sedersi al posto del conducente, utilizzano dei driver, degli autisti, per i loro spostamenti: molte famiglie, ha scritto nel suo testo il principe Bin Talal, arrivano a spendere l'equivalente di 1.000 dollari al mese per il lavoro dell'autista, che spesso è un maschio straniero non-saudita, immigrato nel Paese in cerca di lavoro e che invia buona parte di ciò che guadagna a casa: la sostituzione di questi autisti stranieri con delle donne saudite “sarebbe una spinta per l'economia nazionale” e permetterebbe l'espulsione di molti lavoratori immigrati in Arabia. Ma non è tutto oro quello che luccica nelle dichiarazioni clamorose del principe Al-Walid bin Talal.
Il suo testo infatti contiene anche alcuni “elementi di moderazione” che servono fondamentalmente a indorare la pillola del cambiamento ai tradizionalisti: alle donne dovrebbe essere comunque impedito di guidare fuori città o di condurre autocarri, camion, furgoni e qualsiasi altro veicolo diverso dall'automobile. Donne dovranno inoltre essere le vigilesse e le poliziotte della stradale, che si occuperanno delle altre donne eventualmente coinvolte in incidenti o infrazioni del Codice della strada, e per questo bisognerà far partire una campagna di assunzioni.
Nel bel mezzo della crisi petrolifera, che sta rapidamente asciugando le riserve valutarie saudite, i Saud le pensano tutte, ma proprio tutte. L'obiettivo è rendersi indipendenti dall'oro nerodiversificare un'economia rigida come un blocco di cemento, attirare investimenti e quindi, necessariamente, ammodernare la propria società: già il compianto Re Abdullah, nel 2013, ha dato il via a moltissime aperture nei confronti del mondo femminile. Su tutte queste il diritto al voto e, non scontato, la possibilità per le donne di candidarsi alle elezioni locali.
Secondo il vice principe ereditario Bin Salman il cambiamento non può essere forzato, “spetta alla società saudita”: questa sembra oramai pronta, visto che dopo quelle elezioni diverse centinaia di donne sono state votate e di conseguenza entrate per la prima volta nelle istituzioni saudite...
(International Business Times)

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