La battaglia è finita, i militari di Mosca entrano ad Aleppo...




L’evacuazione di civili e ribelli verso il confine turco segna la fine di quattro anni di guerra senza quartiere


GIORDANO STABILE

La partenza degli ultimi pullman verdi con i ribelli e i civili portati verso il confine turco, e l’arrivo in città di 400 uomini della polizia militare russa, segnano la fine della battaglia di Aleppo. E il marchio di Vladimir Putin sulla più importante vittoria dell’esercito siriano nel conflitto cominciato quasi sei anni fa. Il presidente Bashar al-Assad, giovedì, ha sottolineato il contributo di Russia e Iran, per un successo che è «anche il loro». Ieri il presidente russo ha ribadito il concetto, rilanciato i colloqui di pace a tre, fra Mosca, Ankara e Teheran, per arrivare a una tregua in tutta la Siria. Si terranno ad Astana. Assad rimane ai margini in quelle che saranno trattative per i futuri assetti del Medio Oriente, ma non è mai stato così saldo al potere e questo può bastare.  

La battaglia è durata 4 anni, 5 mesi e 3 giorni, dal 19 luglio 2012 al 22 dicembre 2016. I morti, secondo il Violations Documention Center in Syria, vicino all’opposizione, sono stati 31 mila. Il totale nel conflitto siriano è di 320 mila. In base ai dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, che però si riferiscono all’intera Siria, un terzo delle vittime sono civili, circa il 40 per cento militari, un altro terzo combattenti ribelli. Uno su dieci è un bambino. La suddivisione ad Aleppo non dovrebbe variare molto. 

Aleppo era rimasta neutrale nella prima fase della guerra. La città era a maggioranza musulmana sunnita, con un significativa minoranza cristiana, e pochi alawiti. La spaccatura era all’interno dei sunniti, di carattere sociale più che settario. I quartieri residenziali occidentali erano abitati dalla borghesia commerciale e industriale, da funzionari governativi, militari, in genere favorevoli ad Assad. A Nord-Ovest c’erano i quartieri armeno e curdo, alleati del regime. I quartieri Est avevano invece accolto gli immigrati dalle campagne povere, sunniti più conservatori, con vaste simpatie per i Fratelli musulmani.  

L’insurrezione dell’estate del 2012 aveva quindi coinvolto soprattutto la parte orientale. A dar manforte ai ribelli erano arrivati combattenti dal Nord e l’Est del Paese, e anche migliaia di «volontari» dai Paesi arabi. Gli oppositori «laici» si erano ritrovati quasi subito ai margini. Già all’inizio del 2012 Al Qaeda comincia a infiltrarsi fra i ribelli. Il leader dell’allora Isi (Islamic State of Iraq), Abu Bakr al-Baghdadi, invia Mohammed al-Joulani a creare una branca locale, Jabat al-Nusra. Alla nascita dell’Isis, nell’aprile 2013, Al-Joulani rompe con Al-Baghdadi e rimane fedele ad Al Qaeda. Le province di Aleppo e Idlib sono le sue roccaforti. Altri gruppi salafiti, come Ahrar al-Sham e Jaysh al-Islam, emergono con forza, riforniti di armi e uomini da Turchia e Paesi del Golfo. Il gruppo più moderato, Jaysh al-Khour, l’Esercito libero siriano, diventa minoranza. 

Con queste caratteristiche la ribellione non poteva conquistare i quartieri Ovest. La maggioranza della popolazione, un milione e mezzo di persone, rimane con Assad, contro trecentomila a Est. La città è divisa in due per quattro anni. Nel settembre 2015 l’intervento dell’aviazione russa rompe lo stallo. A luglio 2016 l’ultima via di rifornimento dei ribelli, la Castello Road, viene chiusa e comincia l’assedio finale. Sono i raid a causare il più alto numero di vittime civili. Ma anche a stroncare la resistenza dei ribelli. Ospedali e scuole, trasformati dai salafiti in centri di comando e depositi di armi, vengono distrutti senza pietà. L’Onu denuncia «crimini di guerra», ma anche i ribelli estremisti colpiscono civili e scuole ad Aleppo Ovest con i mortai chiamati «cannoni dell’inferno». 

Il 21 novembre i ribelli collassano. Le pressioni internazionali favoriscono l’evacuazione dei quartieri orientali: in un mese 13 mila ribelli e 80 mila civili lasciano la città. Si evita un bagno di sangue finale ma non sporadiche vendette a opera di milizie sciite. Il bilancio materiale, come quello umano, è terribile. La Città Vecchia, patrimonio dell’Unesco, è gravemente danneggiata. Il 40 per cento degli edifici di tutta la città distrutto, così come il quartiere industriale di quello che era uno dei motori economici del Medio Oriente, la «Milano siriana». Assad ha vinto ma a caro prezzo...

(La Stampa Esteri)

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