Carceri, armi spuntate contro la radicalizzazione...
Il fondamentalismo prolifera grazie alla esclusione sociale.
Garantire la libertà religiosa può contrastarlo. Ma non senza un'assistenza
qualificata. Che spesso le carenze croniche del sistema non permettono.
Marginalità, esclusione
sociale e infine carcere: i luoghi in cui crescono i nuovi attentatori
fondamentalisti stanno cambiando e ora le prigioni, sovraffollate, dove covano
rabbia e frustrazione, e all'interno delle quali si mischia ogni forma di
violenza – sopruso, criminalità, estremismo religioso – sembrano diventate uno
dei centri di reclutamento favoriti dal fondamentalismo. È di certo una
religione spuria quella che alleva i nuovi militanti, autentici o semplici
imitatori dell'Isis di al Baghdadi, un coacervo di convinzioni spesso poco
ortodosse che parlano di vendetta, di sangue. È questo anche il caso
dell'attentatore di Berlino, Anis Amri, entrato appunto in contatto con il
radicalismo a sfondo religioso nelle carceri siciliane dove è rimasto per alcuni
anni per poi far perdere le sue tracce.
CONTROLLI CRESCENTI NELLE
MOSCHEE CLANDESTINE. I luoghi di preghiera improvvisati, le
moschee 'clandestine', o a volte riconosciute, sono al contrario sempre più
controllate, in parte dalle forze di sicurezza, in parte ormai dagli stessi
imam che prendono le distanze dai loro confratelli più estremisti o lanciano
l'allarme quando individuano personalità pericolose. Anche le comunità di fede
o tradizione musulmana cercano spesso di rendere nota la loro estraneità di
fronte a episodi efferati. Da una parte temono ritorsioni, dall'altra non si
riconoscono nel gesto nichilista estremo che cancella forme di convivenza ormai
acquisite (il caso dell'attentato di Nizza del 14 luglio scorso è il più
clamoroso: vi trovarono la morte infatti una trentina di musulmani, cioè in
gran parte di francesi di fede islamica).
SEMPRE PIÙ CONDANNE DAGLI IMAM. E poi ci sono accordi come quello che la
Francia ha stretto con il Marocco, per la formazione di imam che siano lontani
da una visione fondamentalista. Da non sottovalutare, inoltre che, nel corso
dell'ultimo anno, si è assistito a un salto di qualità nella critica e nella
condanna sollevate dalle comunità musulmane europee contro gli attentatori più
o meno kamikaze che hanno devastato il Belgio, la Francia e ora la Germania.
Non più una presa di distanza formale, ma una condanna assoluta per quella che
da molti viene giudicata una sorta di perversione diabolica dell'Islam,
un'eresia. Qualcosa si è visto l'estate scorsa, il 26 luglio, quando vicino
Rouen, nella parrocchia di Saint Etienne du Rouvray, è stato ucciso in chiesa
padre Jacques Hamel, sacerdote amico da sempre dei musulmani della regione che
infatti ha partecipato in massa alle sue esequie separandosi così, in modo
pubblico, dal fondamentalismo marcato Isis.
Il
Consiglio d'Europa ha messo a punto delle linee guida «per i servizi carcerari
in materia di radicalizzazione ed estremismo
Tutto
questo complica non poco il problema del proselitismo da parte dei gruppi
radicali; il giornale cristiano libanese L'Orient le jour, attento osservatore del mondo arabo,
qualche anno fa, quando l'Isis cominciò a diffondere le immagini delle
raccapriccianti esecuzioni che metteva in atto, parlò di una strategia
costruita sulla «pornografia della violenza». Non a caso l'attentatore di
Nizza, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, si nutriva di questo materiale, aveva
trascorso anche lui un periodo in prigione ed era a tutti gli effetti noto
nella sua stessa comunità,nel suo quartiere e fra i suoi vicini di casa, come
un emarginato. Anche la Chiesa, che vanta una ramificata presenza di cappellani
e volontari nelle carceri, ha affrontato il tema della radicalizzazione nelle
prigioni.
IL VERTICE EUROPEO DI GIUGNO. Già nel giugno scorso, un nutrito gruppo
di sacerdoti cattolici che operano nei penitenziari, insieme a cappellani di
chiese ortodosse e protestanti e operatori pastorali di fede musulmana, con
rappresentanti del Consiglio d'Europa, si sono ritrovati a Strasburgo, su
invito del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), per concordare
una strategia comune. Nel frattempo lo stesso Consiglio d'Europa – organismo
del quale sono membri 47 Stati – ha messo a punto delle linee guida «per i
servizi carcerari e di libertà vigilata in materia di radicalizzazione ed
estremismo violento», segno che il problema è sentito eccome. Il nodo da sciogliere
resta quello di condizioni di vita nelle prigioni spesso proibitive alle quali
si aggiunge, trovando terreno fertile, la diffusione di propaganda
fondamentalista.
IL NODO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
IN CARCERE. Per questo viene sollevata la questione
della libertà religiosa nei penitenziari: garantirla significa contrastare il
fondamentalismo, instaurare rapporti fra operatori religiosi, volontari e
detenuti. Non a caso le linee guida del Consiglio d'Europa, si spiega nel
documento redatto dai cappellani dei penitenziari, «incoraggiano la creazione
di accordi con le denominazioni religiose al fine di consentire a un certo
numero di rappresentanti religiosi approvati, opportunamente formati, di
entrare nelle istituzioni; sottolineano l'effetto benefico del coinvolgimento
di rappresentanti religiosi, volontari, colleghi e familiari in vista di un
efficiente reinserimento di coloro che hanno commesso un reato». Il testo
elaborato dall'organismo europeo nel 2016, insomma, è un primo riferimento
importante.
La
libertà religiosa nelle carceri è inattuabile senza l'assistenza dei rispettivi
rappresentanti
Il
tema naturalmente non è nuovo: il carcere che trasforma il detenuto, magari
arrestato per piccoli reati come furti o danneggiamenti, in criminale a tutto
tondo, capace di commettere atti impensabili, con la spinta psicologica
derivata da confuse e perverse motivazioni religiose. In questo contesto,
osservano i cappellani delle prigioni appartenenti a varie confessioni, «la
libertà religiosa nelle carceri è inattuabile senza l'assistenza dei rispettivi
rappresentanti religiosi. Questa assistenza è essenziale affinché i detenuti
possano esercitare i loro diritti religiosi. Secondo la nostra esperienza, il
rispetto del diritto alla libertà religiosa non solo è compatibile con le
condizioni di vita in carcere, ma rappresenta anche un fattore decisivo nella
lotta contro l'estremismo violento».
LE CARENZE CRONICHE DEL
SISTEMA. Personale religioso qualificato, ruolo
dei cappellani cristiani nel dialogo con queste persone e gruppi, anche i più
violenti, presenza di esponenti qualificati di altre fedi, percorsi
riabilitativi, tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, denuncia dei
maltrattamenti subiti in carcere, capacità di seguire l'iter delle persone più
pericolose anche fuori dalla prigione (cosa che, stando alle prime
ricostruzioni, non è avvenuta proprio nel caso di Anis Amri): è un percorso
complesso quello di cui c'è bisogno, che si scontra con carenze croniche anche
dei nostri sistemi penitenziari o più semplicemente con l'incomunicabilità fra
i diversi settori dell'amministrazione o fra i Paesi europei e i loro alleati
(dopo la strage del Bataclan nella capitale francese si rincorsero le notizie
relative al fatto che la Turchia e altri Paesi avevano avvertito – senza esito
- Parigi della pericolosità di alcuni individui) .
UN BRODO DI COLTURA PERICOLOSO. Tuttavia, come emerge sempre di più
dalla ormai lunga serie di violenze terroristiche fondamentaliste, marginalità
sociale e clandestinità, assenza di ogni forma di cittadinanza e di dialogo
come comunità musulmane e rappresentanti religiosi islamici (chiamati ad
assumere insieme ai diritti anche i doveri) diventano il brodo di coltura
migliore per le organizzazioni jihadiste...
(Lettera 43)
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