L’Etiopia e i segreti italiani nella valle dell’Omo...




ETIOPIA, AFFARI SEGRETI E REPRESSIONE –
Notizie contraddittorie dall’Etiopia. L’economia cresciuta del 10 per cento nell’ultimo decennio, Addis Abeba riempita di grattacieli, imprese straniere fanno la coda per investire. Un mese fa la prima ferrovia elettrificata del continente, dalla capitale a Gibuti, costruita degli ingegneri cinesi. L’Etiopia è uno dei primi paesi africani con cui l’Unione europea ha firmato accordi per fermare il flusso di  I SEGRETI DELLA VALLE DELL’OMO



Cresce l’economia, cresce la speranza di benessere per una piccola parte privilegiata della popolazione, ma diminuiscono le libertà personali e di gruppo. La contraddizione Etiopia descritta da Marina Forte su Internazionale, assieme ad alcuni segreti ancora da svelare compiutamente che coinvolgono anche l’Italia.
Un anno fa il progetto di espandere la capitale Addis Abeba ha suscitato la rivolta delle popolazioni rurali destinate a essere espropriate. Centinaia di manifestanti uccisi per le strade e migliaia arrestati.
Da allora il governo ha imposto lo stato d’emergenza in tutto il paese.
Arresti arbitrari e soppressione violenta di ogni dissenso. Basta dire che l’attuale primo ministro, Hailè Mariam Desalegn, ha vinto le elezioni politiche nel maggio 2015 con il 100 per cento dei voti e il suo partito, il ‘Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico’, al potere ininterrottamente dal 1991, occupa tutti i seggi del parlamento.
Come si tengono insieme grattacieli, investimenti e repressione?
Perché ogni Paese che opera in Etiopia conta di ricavarne forti utili. Italia compresa, che ha investito molto, dalle dighe ai progetti agroindustriali. Ma la ricchezza del Paese da dove viene?
Dalla sola cosa che ha l’Africa in abbondanza: la terra.
L’Etiopia, secondo paese africano per popolazione (ha 97 milioni di abitanti su una superficie di più di un milione di chilometri quadrati), è anche uno dei paesi più dipendenti dagli aiuti stranieri. Nell’ultimo decennio ha ricevuto 2-2,5 miliardi di dollari all’anno, che è più della metà del bilancio nazionale. E li ha saputi usare con profitto, per finanziare piani di sviluppo delle infrastrutture.
Un ambizioso piano di crescita e di trasformazione, «Sviluppo equo e democratico», il titolo. Sviluppo sì, democrazia manco a parlarne. Ma dietro a ciò che appare e abbiamo appena detto, si nasconde di peggio, e l’Italia, in qualche modo ne risulta coinvolta. Oggi un accenno prima di chiedere a Marina Forte di spiegarcelo con più dettagli.
Cosa c’è da nascondere nella valle dell’Omo?
Un’azienda italiana, Salini Impregilo, ha costruito due dighe sul fiume Omo, nella regione sudoccidentale dell’Etiopia. L’ultima è la diga Gilgel Gibe III: nel luglio del 2015 il presidente del consiglio Matteo Renzi era andato a inaugurarla insieme al premier etiopico: l’aveva definita “un orgoglio italiano”.
Ma la regione dove lavorano le aziende italiane, e dove anche la cooperazione italiana è attiva, è vietata a occhi esterni. Salvo due giornalisti impiccioni, Giulia Franchi e Luca Manes, che hanno pubblicate in un dossier svelando ‘Cosa c’è da nascondere nella valle dell’Omo’.
Semplicemente nascondere la rapina del fiume Omo.
L’acqua del fiume è la principale risorsa per i circa 700mila abitanti della valle che vivono di una economia rurale. L’agricoltura dipende dall’esondazione annuale, che lascia sul terreno un limo fertile. L’allevamento di capre, pecore e bovini è l’altra fonte di sopravvivenza, spiega sempre Marina Forti.
L’accaparramento della terra
Ma dal 2012 arrivano notizie di comunità locali mandate via a forza, in parte per la costruzione delle dighe, in parte per liberare terre assegnate a investitori stranieri per progetti agroindustriali.
Le testimonianze raccolte da Franchi e Manes parlano di persone cacciate via senza quasi alcun risarcimento, con un processo di “villaggizzazione” accompagnato da abusi e violenze. L’invaso della diga Gilbel Gibe III ha sommerso terre e pascoli. L’acqua disponibile per la popolazione locale a valle dell’impianto idroelettrico è diminuita, come pure i pascoli.
Nella valle dell’Omo si è instaurato un clima di intimidazione, soldati mandati a sgomberare il territorio, famiglie minacciate, percosse, violenza su donne e bambini, stupri.
Chi ha fatto opposizione esplicita è finito in galera. Gli abitanti parlano di violente operazioni contro questa o quella tribù che non accetta il trasferimento.
L’Italia è complice di questa violenza?
Nel 2004 il ministero degli esteri italiano, attraverso la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, ha approvato il credito di 220 milioni di euro, per la costruzione della diga Gilgel Gibe II, inaugurata nel 2010. Più tardi, con qualche obiezione in parlamento, il credito di 250 milioni per la Gibe III, la più importante finora. In entrambi i casi la commessa è andata a Salini Impregilo. Ora si discute di una Gibe IV.
Un altro investimento italiano è quello della Fri-El Green, impresa che nel 2007 si è aggiudicata la concessione di 30mila ettari di terreni arabili nella bassa valle dell’Omo, distretto di Omorate, per produrre olio di palma e di jatropha da esportare in Italia.
‘Land grab’, accaparramento di terre, con contratti d’affitto per 70 anni, per 2,5 euro l’ettaro di terre prima destinate all’uso della comunità. Pascoli e buone terre arabili sottratti all’agricoltura locale, senza che gli abitanti ricevano beneficio.
Le testimonianze dicono che scuole, ambulatori e altri servizi sono stati promessi, ma mai arrivati...

(RemoContro)

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