Nessun uomo è illegale, sono le frontiere ad essere illegali e assassine...




Intervista collettiva a Imed Soltani che con l'associazione La Terre pour tous si occupa dei dispersi nel Mediterraneo.



Questa intervista è stata realizzata a Tunisi nel marzo del 2015. Erano passati pochi giorni dall'attentato del Bardo. Imed Soltani per parlare con noi, in una piccola stanza del Dar Lakhdar in Rue El Marr, aveva chiuso il suo piccolo negozio... Ecco il pezzo ripubblicato oggi in occasione della giornata della memoria dei migranti morti in mare...



Imed Soltani vive nel cuore della Medina e per vivere ha un laboratorio dove aggiusta cellulari e telefoni. Sulla serranda c'è scritto grande Gsm. Ma durante i giorni del Forum, Imed quella serranda la tiene chiusa, il lavoro di tutti i giorni può aspettare, prima vengono i dispersi e l'associazione "La Terre pour tous", che è stata fondata quattro anni fa proprio per avere risposte sul destino di tanti ragazzi scomparsi durante il viaggio dalla Tunisia verso l'Italia.

"Ho passato gli ultimi quattro anni alla ricerca dei nostri ragazzi dispersi. Questa è diventata la mia attività principale. Mi occupo con l'associazione sia di chi è partito ed è scomparso dopo l'arrivo in Italia, sia di chi non è stato salvato in mare e non ha mai visto la terra europea". Il suo volto è segnato da una stanchezza infinita, i suoi occhi scuri scrutano gli interlocutori con severità. La sua voce resta bassa. Parla francese, quando nel cuore l'emozione crea un tumulto passa all'arabo.

FUGGIRE.
"Questa parte della Medina, proprio questa dove siamo, si chiama Bab Jedid, Porta Nuova, è un luogo di emarginazione sociale, è il cuore del movimento verso l'emigrazione. I giovani chiamano la partenza verso l'Italia: fuggire. Ed è importante sapere che sempre si fugge da qualche parte e che ci sono motivi per fuggire, per cercare una vita diversa. Queste zone emarginate producono quella che viene chiamata emigrazione illegale. Ma che è illegale a causa dalle politiche nazionali tunisine, appoggiate dalla politica europea. Governi vecchi e nuovi. Le politiche non sono cambiate. Gli aiuti economici in Tunisia si fermano altrove, nelle mani della politica e non arrivano nelle zone dove servirebbero. Fuggire vuol dire che la gente scappa dalla povertà, dalla miseria, dall'emarginazione".

IL SOGNO.
"Il termine fuggitivo per chi parte è stato affibbiato ai migranti dal governo tunisino. Perché sia un reato partire, andarsene dal Paese, cercare qualcosa che qui non c'è in Europa. Perché si scappa dalla miseria, ma anche sull'onda di un sogno. Di qualcosa che i nostri giovani vedono in televisione e che qui non hanno. Non può essere illegale avere il desiderio di fare la stessa cosa che fanno i giovani dell'Occidente. I nostri ragazzi vorrebbero vedere Roma. Visitare l'Europa per conoscerla, e anche per poter guardare la Tunisia da fuori. Non può essere considerato un reato viaggiare e conoscere. Un sogno legittimo di tanti giovani".

ILLEGALITÀ
"I nostri giovani non fanno niente di illegale. Il fatto che si chiami emigrazione illegale nasce dal fatto che le frontiere sono chiuse. E l'Europa non dà visti. Sono decisioni politiche: io giovane che cerco la libertà non sono illegale come persona, voi della politica avete detto che è illegale partire per cercare di realizzare il mio sogno. Parlando delle cause: si tratta di emarginazione, ma anche di sogni".

MORIRE IN MARE.
"Morire nel mare o morire qui che differenza fa? Il sogno è quello di andare via per stare meglio: per vincere fame e miseria, per la libertà, per essere uguale a qualunque altro giovane europeo". Ma la prima differenza è il confine troppo sottile tra vita e la morte e quello ancora più sottile tra il diritto vivere e l'indifferenza, quella malattia potente e radicata che nell'Occidente impedisce di vedere fino in fondo il dramma di questo mare di morte, il dramma di quella che è stata la culla della cultura e che ora è un cimitero senza speranze.
"Nessun Governo, né locale né europeo, cerca di salvare questi nostri giovani. Le politiche diventano sempre più disumane e chi paga sono proprio i nostri figli. I ragazzi che muoiono in mare, che non vengono salvati, che spariscono tra i flutti così come nelle maglie della burocrazia italiana."
MARZO 2011.
Nelle pieghe di questa situazione l'Associazione presieduta da Imed lavora per capire che fine facciano i tanti giovani che partono e non arrivano da nessuna parte. L'associazione ha fatto tre cause in italia.
Una per capire se la polizia nel 2011 ha sparato contro il gommone di migranti. Una per omissione di soccorso per un naufragio del 2012 dove tutti i migranti sono morti in mare. La terza causa riguarda un caso ancora più misterioso: dove sono andati a finire i fuggiaschi del marzo 2001. "In quel mese sono partiti dalla Tunisia migliaia di migranti. Di questo ne siamo sicuri. Così come siamo sicuri che non c'è traccia di loro in nessun archivio in Italia. Come associazione siamo andati ad Agrigento con l'avvocato e anche a Roma: siamo andati a vedere negli archivi le fotografie di chi arriva, dei cosiddetti illegali che sbarcano. Non fidandoci dei nomi, perché la trascrizione dall'arabo all'italiano spesso crea confusione, abbiamo pensato di cercare attraverso le foto. E abbia- mo scoperto che esistono foto e impronte di tantissimi migranti, ma non esiste niente sul marzo 2011. Come se nessuno fosse partito o arrivato. Come è possibile? Che cosa può essere accaduto? Noi siamo certi di quello che diciamo e di quello che abbiamo visto."

IL GIALLO DEL 2011.
"Noi pensiamo che nel 2011 il governo italiano abbia preso dal mare delle persone e le abbia smistate in luoghi ignoti. C'era Berlusconi,
chissà che cosa è successo". Imed mostra fascicoli con foto e studi per dimostrare che tanti ragazzi arrivati in Italia risultano dispersi, ossia sono arrivati ma non si sa più niente di loro... Come i desaparecidos argentini.

IL CAMPIONE DI LOTTA.
Accanto a Imed c'è Hamed Rihemi, 51 anni. Per lavoro aggiusta tele- visioni e apparecchi elettronici. Ha un figlio in Italia dal 2008, Sofian. E Wesam, il secondo figlio, disperso. Non morto, precisa, disperso. "Aveva 19 anni quando è partito per raggiungere il fratello. Era il 29 marzo del 2011. All'arrivo a Lampedusa mio figlio ha contattato telefonicamente la madre: tu come stai? Tutto bene? Poi la linea è caduta. E nessuno ha saputo più niente né di lui né degli altri ragazzi". Hamed tira fuori foto e immagini tratte da telegiornali che mostrano i naufraghi salvati dalle motovedette al momento dell'arrivo a Lampedusa. "Ecco, questo è mio figlio", dice, indicando un ragazzo sulla barca. "Era arrivato in Italia. Non si sa più niente. E anche degli altri ragazzi riconosciuti dalle madri nelle immagini non si sa più niente". Per attirare l'attenzione sul problema del figlio disperso la mamma si è data fuoco pubblicamente. Si è autoimmolata per far sentire la sua voce al mondo indifferente. Perché il mondo è indifferente. Parla di politiche di respingimento armato come se quei ragazzi in viaggio non fossero figli, fratelli, esseri umani, ma come se fossero numeri di un'emergenza da risolvere con un bel pacco di disumanità.

RIVOLUZIONE.
"La rivoluzione tunisina a dire il vero comincia nel 2008 con la rivolta contro Ben Alì che comincia da Gafsa dove ci sono miniere di fosfato.
Una rivolta finita con le armi di Ben Alì contro i giovani. Quei ragazzi sono stati spinti a partire per evitare repressioni maggiori. Ben 32 di loro sono arrivati in Italia e hanno contattato i loro familiari. Ma queste persone sono state schedate come terroristi. Quindi sono spariti anche loro dal 2008". Imed ha raccolto tutto questo e ha presentato a Bruxelles tutte le carte per sollevare la questione dei dispersi.
Desaparecidos del Mediterraneo. Donne e uomini fuggiti sull'onda di un sogno di libertà, per povertà estrema, per sottrarsi dalla repressione. Scomparsi in mare. O dopo l'arrivo in Italia. Forse deportati in Libia e chissà dove dimenticati. Se sono ancora vivi. E le madri, le sorelle, i padri chiedono verità. Non indifferenza e menefreghismo. Chiedono solo di sapere come sono morti e se sono morti questi giovani che solcavano il Mediterraneo.


Intervista collettiva a Imed Soltani, presidente di "La Terre pout tous", associazione che si occupa dei migranti dispersi durante il viaggio verso l'Europa e dopo il loro arrivo. Questa testimonianza è stata raccolta a Tunisi da Salah Ibrahim, Antonio Cipriani, Valentina Montisci, Barbara Monaco e Hassan Akhy.



Clicca sull'immagine per sfogliare il reportage corale su Tunisi, sulle tragedie del mare, sui migranti scomparsi.


(Globalist)

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