Israele, arrestata coppia che si era unita all'Isis: la storia...





Wissam e Sabareen Zbeidat sono tra i pochissimi israeliani ad essersi arruolati nello Stato islamico. Partiti con i tre figli nel 2015, sono scappati dalla dura vita imposta dai milizani. Ma ora le famiglie si vergognano di loro.



Sono pochissimi i cittadini israeliani ad essersi uniti allo Stato islamico negli ultimi quattro anni, secondo alcune stime si aggirano intorno alle 50 unità. Ancor meno quelli che sono tornati in Israele per raccontare la loro storia.
Tra questi, Sabareen Zbeidt, 30 anni, e il marito Wissam, 42, tornati volontariamente a Tel Aviv con i loro tre figli ben consci di dover affrontare un lungo periodo in carcere. Lui combatteva in prima linea con i miliziani, mentre lei lavorava in un ospedale.
Nell'ultimo anno la famiglia ha dovuto affrontare ogni genere di privazioni, e dopo che Wissam è stato ferito a una gamba combattendo contro l'esercito iracheno, sono stati finalmente persuasi a tornare dalla famiglia.
Dopo alcuni tentativi falliti di passare dalla Turchia, alla fine dell'estate il padre di lei è riuscito a trovare e pagare dei contrabbandieri, che hanno fatto in modo di far uscire la famiglia attraverso la Siria.
LE AUTORITÀ AVVISATE DALLE FAMIGLIE. Sabareen e Wissam provengono entrambi da famiglie della classe media in cui si parla ebraico, apparentemente molto lontane dal radicalismo islamico sposato dall'Isis.
La loro decisione era stata uno shock per per le loro famiglie, che avevano allertato immediatamente le autorità della loro partenza.
Gli interrogatori alla coppia rimpatriata hanno fatto luce non solo sul loro percorso di radicalizzazione, ma sul fenomeno dell'Isis nella società israeliana.
Come è possibile che i due prendessero contatti su Internet con i jihadisti senza che l'intelligence ne venisse a conoscenza? E come è possibile che trovassero gli appoggi necessari per riuscire ad arrivare alla capitale Raqqa?
IL VIAGGIO DA ROMANIA E TURCHIA. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti sulla base dei racconti della coppia, nel giugno del 2015 la famiglia sarebbe andata prima in Romania in visita a parenti e successivamente in Turchia. Lì hanno incontrato, attraverso i social media, un altro cittadino israeliano che si era unito all'Isis nel 2013. Con il concittadino sono arrivati alla frontiera siriana, dove hanno consegnato a un miliziano dello Stato islamico i loro passaporti prima di entrare in Siria. Una volta passato il confine, Wissam era stato mandato prima in un campo di addestramento in Iraq, e in seguito a combattere vicino a Mosul, dove era stato ferito alla gamba. Sabareen e i figli erano rimasti a Raqqa, in Siria.
«NON SAPPIAMO COSA LI HA SPINTI». «Abbiamo un sacco di domande senza risposta», ha spiegato un parente al quotidiano Guardian, «perché non sono stati scoperti dalle autorità e fermati? Non sappiamo ancora cosa è passato loro per la testa, quali progetti avessero o chi li ha contattati».
Un indizio è apparso da un'intervista a un altro parente apparsa sul quotidiano online israeliano Ynet, secondo cui fu Wissam a convincere Sabareen.
Ma se le motivazioni della coppia rimangono oscure, quello che è chiaro è il perché del loro ritorno.
«All'inizio del 2016», spiegano le autorità, «un forte bombardamento ha causato enormi danni nella zona in cui abitavano, e da allora hanno iniziato a ripensare a come tornare».
LA VITA SOTTO L'ISIS TROPPO DURA. «Siamo venuti a conoscenza anche di molti dettagli della dura routine sotto la legge dell'Isis», continua il report degli investigatori, «per esempio, l'amministrazione mette in pratica leggi discriminatorie contro le donne e usa metodi brutali di punizioni come le amputazioni, la fustigazione fino ad arrivare alle decapitazioni. La “polizia morale” stabilisce la tenuta delle donne e la lunghezza della barba degli uomini. Daesh approva il traffico delle ragazze Yazide, i bambini sopra gli otto anni vengono mandati nei campi di addestramento».
I figli della coppia in questo momento si trovano sotto la custodia dei familiari di Sabareen. «Siamo così felici che i bambini siano tornati sani e salvi», raccontano, «ma per quel che riguarda i genitori, è come se fossimo già in lutto. Non vogliamo gente del genere. Se fossero morti in Siria o Iraq, per noi la vergogna sarebbe stata minore»...

(Lettera 43)

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