Afghanistan: governo alle prese con corruzione, cleptocrazia e violenza. E i Taliban crescono...





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Dopo quasi due anni di governo di unità nazionale l'Afghanistan resta sull'orlo del disastroIl tandem presidenziale Ashraf Ghani-Abdullah Abdullah, messi in sella alla guida del Paese dalla mediazione del segretario di stato americano John Kerry per condividere il potere e creare una, seppur forzata, governabilità allontanando la violenza e cercando di far ripartire l'economia, sembra essere oggi di fronte a un punto morto.
La rinuncia alla guerra all'oppio contro i signori del narcotraffico afghani, Taliban e capi tribù delle zone più impervie del Paese, dopo che il 2015 è stato un anno di conquiste e consolidamenti territoriali per i talebani, che oggi controllano ampie fette di territorio e gestiscono quasi interamente il mercato dell'oppio e dell'eroina mondiale, e la difficoltà politiche interne al governo rallentano, se non fermano, il processo politico di riconciliazione e strutturazione della democrazia afghana.
Certo è che arrivare alla riconciliazione dopo quasi quarant'anni di conflitti interni, che fanno degliafghani la seconda più grande popolazione di rifugiati al mondo (superati solo recentemente dai siriani), non è un compito semplice nemmeno per il più grande statista del mondo, figurarsi per qualcuno “messo lì dagli americani” o comunque con ben più di un piede dentro agli interessi di Washington. Tuttavia l'Afghanistan di oggi somiglia, con più morte e distruzione, alla Colombia di Pablo Escobar nella sua fase da "terrorista", quando le bombe erano quotidiane, i ministri venivano trucidati in ufficio e gli aerei civili abbattuti con il C4.
Ci sono diverse problematiche che gli afghani si trovano ad affrontare, talmente tante e spinose cheWashington ha deciso di restare nel Paese fino almeno a tutto il 2017: 5.500 soldati americani resteranno di stanza tra Bagram, Jalalabad e Kandahar, e così anche la Nato (e tra gli altri l'Italia, con un contingente attivo nella zona di Herat) con ogni probabilità resterà ancora per diverso tempo. Il primo problema riguarda la sicurezza: a metà del 2014 le forze afghane si trovavano a dover fare i conti con un residuo di resistenza talebana, un manipolo di ciabattanti e impoveriti capi tribù alla guida di scalcagnati e demotivatissimi gruppi armati. A metà 2016, in appena due anni, quei ciabattanti ed impoveriti ribelli Taliban controllano un territorio mai così ampio dall'intervento americano del 2001 e se ancora non sono stati in grado di prendere il controllo delle principali città altrettanto vero è che in quelle città si muovono indisturbati, concludendo con efficacia attentati devastanti ai check-point, agli alberghi, alle moschee, ai palazzi del potere e nei mercati.
Una situazione paradossale se si pensa che solo gli Stati Uniti contribuiscono con 6 miliardi di dollari l'anno in aiuti alle forze di sicurezza.
Il governo afghano sembra incapace di vincere la battaglia per la legittimità nelle aree contese con i taliban e questo problema attiene molto specificatamente alle stesse forze di sicurezza: spesso le operazioni di bonifica avvengono dove non è necessario, altre volte vengono presi in consegna territori fino a quel momento controllati dai Taliban ma appena si rientra in caserma tutto torna come prima e spesso i comandanti locali e i prefetti inviati da Kabul si rivelano essere predatori corrotti o funzionari incapaci.
Come spiegato da Christopher Colenda, un ex-advisor del Pentagono intervistato da Council on Foreign Relations, se l'esercito è il padre allora la corruzione è la madre dei problemi che oggi affliggono l'Afghanistan. Anche se, va specificato, il termine “corruzione” è troppo ampio per poter essere circoscritto, e quindi combattuto, nelle terre afghane: corrotti sono infatti i comandanti e i soldati mentre cleptocrati (da cleptocrazia, “governo dei ladri”) sono gli amministratori, i funzionari, i politici che governano le varie zone dell'Afghanistan.
Le èlite di potere che guidano il Paese, e che il tandem presidenziale ha cercato invano di far ragionare in merito ai guadagni illeciti frutto della depredazione delle risorse pubbliche e della corruzione: la cleptocrazia al potere infatti respinge gli investimenti perché nessuno è disposto a vedere dissolversi il proprio denaro investito per fare business, sopratutto in un paese dove il business principale è il mercato illegale dell'oppio.
Il Paese, economicamente, è sull'orlo del disastro tanto che molti funzionari pubblici preferiscono farsi pagare lo stipendio dai trafficanti e dai Taliban piuttosto che dallo Stato afghano: secondo gli indicatori ufficiali sulla corruzione la percezione è che questo cancro sia in espansione. Di recente 8 generali dell'esercito sono stati rinviati a giudizio dalla Corte Marziale perché accusati di essere corrotti, per la prima volta nella storia recente del Paese il Ministero dell'Economia sta varando un pacchetto di riforme significative e il governo ha preso provvedimenti nei confronti di alcuni responsabili della Kabul Bank sempre per reati di corruzione.
Tuttavia, in un Paese dove il narcotraffico rappresenta oggi più che mai una fetta importante di guadagni illeciti e di entrate economiche la scelta di rinunciare alla guerra all'oppio da parte del governo potrebbe rivelarsi un passo indietro rispetto alle riforme in cantiere.
Attualmente in Afghanistan oltre il 40 per cento della popolazione adulta è disoccupata. Questo rappresenta una grande opportunità, o meglio un grande vantaggio, per i Taliban che possono attingere a piene mani all'interno di una realtà sociale sofferente e affamata...

(International Business Times)

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