I bambini dimenticati di Ceausescu: la chiusura degli orfanotrofi sovietici dell'epoca comunista...






Nella remota città transilvana di Sighetu Marmatiei Olga, 22 anni, cammina tra le macerie sporche sul pavimento dell'orfanotrofio Camin Spital. Si tratta di un imponente edificio di quattro piani, costruito nel tipico stile brutale dell'era comunista. Fino alla chiusura, nel 2003, l'istituto era casa di centinaia di bambini con disabilità fisiche e problemi di apprendimento.
“Somiglia alla bambola che avevo io” dice Olga raccogliendo una bambola di pezza rosa all'interno di una stanza piena di vecchi vestiti. “È così cupo qui”.
Lei era tra i bambini più fortunati di quelli cresciuti negli orfanotrofi della Romania, dove è arrivata all'età di sei anni. I ricordi della sua vita precedente però ancora la perseguitano.
“Mi ricordo, e questo mi provoca brividi freddi. Ricordo i pasti, il cibo pessimo, solo latte e pane – perlopiù indurito – e qualche volta una zuppa incolore” dice. “Non c'erano veri giocattoli, abbiamo giocato con ciò che c'era, con gli spazzolini da denti. Ero come un automa, quando vivevo nell'istituto, priva di sentimenti. Quando sono nata piangevo, come ogni bambino, chiedevo affetto ma quando ho visto che non me ne veniva offerto ho imparato a non aspettarmelo”.
“Non avevamo alcun tipo di relazione con gli adulti” dice Olga “c'erano loro e c'eravamo noi. Non provavamo sentimenti verso di loro e loro non provavano sentimenti verso di noi”.

Quando il regime di Nicolae Ceausescu è caduto in seguito alla sanguinosa rivolta del dicembre 1989 sono emerse le condizioni spaventose degli orfanotrofi romeni. Sotto uno dei dittatori più repressivi del XX secolo 100.000 bambini sono stati abbandonati in istituti sovraffollati e nascosti, un effetto devastante delle politiche pro-natalità del regime. Il mondo è rimasto sconvolto dalle immagini dei bambini con le teste rasate che giocavano su pavimenti cosparsi di urina, privati di cibo e affetto.
Sono diversi i fattori che hanno causato l'enorme numero di orfani in Romania. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il tasso di natalità nel paese era praticamente inesistente. Prendendo ispirazione dalla teoria stalinista che una grande popolazione significhi crescita economica Ceausescu ha introdotto una serie di politiche di coppia per forzare a fare figli: “Il feto è la proprietà socialista della società” annuciò all'epoca Ceausescu.
L'aborto e la contraccezione furono proibiti e la maternità divenne un dovere di Stato monitorato dalla Securitate, la polizia segreta. Le donne venivano controllate per verificare se fossero incinte e se non riuscivano a dare alla luce figli dovevano affrontare un processo. Le coppie senza figli venivano ultratassate. L'età legale per sposarsi fu abbassata a 15 anni. Queste politiche, unite alla povertà diffusa e all'idea che lo Stato potesse occuparsi dei figli meglio delle famiglie, portarono le coppie a fare più figli di quanti non potessero permettersene e decine di migliaia di bambini furono portati in orfanotrofio.
Trent'anni dopo il governo romeno ha cambiato approccio e creato diversi servizi di protezione dell'infanzia. Ma le politiche di Ceausescu gettano ancora oggi una lunga ombra sulla Romania. Esistono ancora 160 istituti sparsi in tutto il Paese e 58.000 bambini vivono grazie alle “amorevoli cure” dello Stato, di cui 9.000 in grandi orfanotrofi. Più della metà di questi bambini soffre di gravi disabilità.
“I bambini finiscono negli istituti sopratutto per via della povertà” afferma Stefan Darabus, direttore regionale di Hope and Homes for Children (HHC). L'organizzazione benefica lavora con il governo per chiudere i grandi e isolatissimi orfanotrofi, spostando i bambini da famiglie adottive e in piccole case famiglia, una sorta di via di mezzo tra un istituto e una famiglia adottiva.
“In Romania il 97 per cento dei bambini sotto la tutela dello Stato non sono orfani biologici” dice Darabus. “Hanno una madre e un padre, noi li definiamo 'orfani sociali'”.
Il lavoro combinato tra l'organizzazione e il governo ha portato alla chiusura di 50 istituti ma la povertà continua a portare bambini in questi orfanotrofi. Quando la Romania è entrata nell'Unione Europea nel 2007 promise riforme e modernizzazione ma mentre l'economia romena è in crescita e la capitale Bucarest è una città prospera e fiorente il 70 per cento della popolazione rurale del paese vive ancora in condizioni di povertà, il più alto tasso di qualsiasi paese UE. I bambini delle comunità più povere, compresi quelli di etnia Rom, sono ad alto rischio di finire in un orfanotrofio.
Rispetto agli orfanotrofi del 1990 gli istituti di oggi appaiono molto diversi. Sono più puliti e meno affollati ma, come sottolinea Darabus, mancano ancora cose di cui si ha un grande bisogno, come la cura e l'assistenza in un ambiente familiare stabile.
Nel 1950 i ricercatori occidentali cominciarono a comprendere appieno l'impatto negativo sulla crescita dei bambini negli orfanotrofi in stile sovietico, ma come ogni paese del blocco-est la Romania restò fuori da questi sviluppi. “La psicologia, la filosofia, la sociologia e il lavoro sociale furono banditi dai programmi di studio dalla fine del 1970 fino alla rivoluzione del 1989” dice Darabus.
Dopo la caduta della Cortina di ferro gli psicologi hanno fornito ulteriori prove sui danni che il crescere negli orfanotrofi ha causato a molti bambini. L'assenza di stimoli, di affetto e di cure hanno colpito il lorosviluppo cognitivo e socio-emotivo. I bambini con difficoltà di apprendimento non possono crescere bene nel vuoto e questo amplifica i loro problemi. Senza l'esposizione a stimoli normali, suoni ed esperienze sensoriali, i bambini oscilleranno sempre avanti e indietro. I bambini degli istituti sono spesso isolati all'interno delle comunità, possono sviluppare problemi di autostima e sono più a rischio di autolesionismo.
Ci sono state inoltre conseguenze fisiche inaspettate associate alla mancanza di cure adeguate da parte degli adulti: “In quanto bambini venivano messi in culla e molto raramente qualcuno aveva il tempo di allattarli correttamente quindi i biberon venivano messi accanto a loro, sul cuscino” spiega Darabus. “Il bambino cerca quindi di mangiare, beve il latte ma questo si riversa verso l'angolo della bocca e da qui nelle orecchie. Molti hanno perso così l'udito o sviluppato una serie di altre infezioni e, come risultato della sopravvenuta sordità, il bambino sarà poi incapace di parlare e imparare”.
Abbattere la cultura dei grandi orfanotrofi statali è la risposta a tutto questo, ma non è così semplice. Si tratta di un processo lungo e costoso, complesso nel cercare casa a ogni bambino garantendo al tempo stesso l'accesso agli psicologi qualificati e agli operatori sociali, per integrarsi così nella società. Altri sforzi sono stati fatti per rintracciare i genitori degli “orfani sociali”: finora la HHC ha riunito oltre 700 bambini alle loro famiglie biologiche ma è un obiettivo, ovviamente, non raggiungibile per tutti gli orfani.
A una contea di distanza, nella città di Cluj la famiglia Duda, i fratelli Ilie e Alin e le sorelle Felicia e Irina*, vivono in un grigio appartamento, scarsamente arredato, al secondo piano di un edificio di epoca sovietica. Nessun tipo di lusso, una finestra è persino fracassata, ma nonostante abbiano tutti vissuto in un istituto oggi i fratelli e le sorelle sono uniti come una famiglia.
“Siamo finite in diversi istituti quando eravamo molto giovani, siamo stati con i nostri fratelli per un anno” dice Felicia “poi loro sono andati via. Siamo rimaste in istituto alcuni anni e loro si sono poi diplomati”. I fratelli hanno trovato un posto di lavoro e un appartamento. Il più anziano, Ilie, ha deciso di di diventare il tutore delle sorelle in modo da poter vivere tutti assieme. Con il sostegno di HHC hanno ristrutturato l'appartamento fatiscente, rendendolo caldo e vivibile. I fratelli lavorano per pagare l'affitto mensile da 80 Leu e le sorelle stanno finendo le scuole.
“Ci piace qui perché stiamo assieme e andiamo d'accordo, adesso sappiamo cosa significa essere indipendenti” dice Ilie seduto accanto alle sorelle sul divano.
La famiglia Duda si sta adattando bene al nuovo ambiente. Ma in generale i teenagers cresciuti negli istituti devono superare grandi difficoltà per superare le sfide e cercare di lasciare gli orfanotrofi. È molto difficile riunire i bambini alle loro famiglie biologiche, il divario spesso è troppo grande in termini di relazioni con le famiglie di origine. Molti si sono abituati a vivere negli orfanotrofi e trovano difficoltà a immaginare altre soluzioni. Quando lasciano gli istituti molti di loro vivono completamente dipendenti dallo Stato, ai margini della società.
Diana*, 17 anni, è una dei 7.000 bambini di età compresa tra i 14 e i 18 anni che vivono sotto la tutela dello Stato in Romania. È stata in un orfanotrofio di Bucarest per dieci anni ed è molto piccola per l'età che ha, sembra più una tredicenne che un'adolescente che va verso la vita adulta.
“Non posso dire che mi sento come se fossi in famiglia” dice timidamente “non so come dirlo, questo posto lo sento molto vicino a me”.
“Se sono arrivata dove sono è perchè ho la testa sulle spalle e penso che Dio abbia dei piani per me” dice Diana. “Credo che questo fosse il suo piano per me sin dall'inizio, non avere una famiglia. Forse se l'avessi avuta non sarei la persona che sono ora, non avrei incontrato tante persone... probabilmente ha altri progetti per me”.
La Romania ha percorso una lunga strada per chiudere gli istituti. Oggi, ogni nove ore un bambino viene abbandonato dai genitori in ospedale e anche se questo è un numero scioccante è in netto miglioramento rispetto una decina di anni fa, quando veniva abbandonato un bambino ogni due ore. L'unico modo per porre fine alla proliferazione di orfanotrofi è tappare la falla impedendo ai bambini di entrare nel sistema, il che significa aggredire la povertà nelle zone rurali e lavorare su un sistema di welfare completo, a disposizione di tutti, non solo dei residenti a Bucarest.
Laura*, una madre sostenuta dall'associazione benefica, vive in un piccolo appartamento vicino al confine ucraino. Scappata da un marito violento, si è ritrovata senza casa e senza soldi con cui accudire suo figlio e sua figlia. Come succede già a molti povere madri disperate ha dovuto scegliere se vivere per strada con due bambini piccoli o lasciarli in orfanotrofio.
Con riluttanza Laura ha parlato ad un uomo della sua situazione, il quale le ha promesso di aiutarla. È stata messa in contatto con un centro per mamme e bambini a Sighet, istituito dalla HHC. Qui Laura ha vissuto con i figli per un anno, ha ricevuto sostegno emotivo e cibo e poi è stata aiutata a trovare un appartamento. Oggi lei ha un lavoro e i suoi figli vanno a scuola.
“La mia è stata una fuga verso la vita normale, senza di loro non sarebbe mai stato possibile” dice seduta nel salotto del suo appartamento. Quando le è stato chiesto se avrebbe potuto fare qualcosa di diverso ha scosso la testa. Parlare del suo passato le provoca dolore e preferisce farlo solo in senso generale. “Non lo so” dice facendo una pausa per asciugarsi le lacrime “ciò che so degli orfanotrofi è che i bambini vengono lasciati soli e, per un motivo o per l'altro, abbandonati. Forse le madri erano in situazioni simili alla mia e non hanno avuto altra scelta”.
* I nomi sono di fantasia per proteggere la loro identità.

(Internazional Business Times)

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