Storia di Ali e Zakia, gli amanti sfuggiti alla morte in Afghanistan...




Lei è tagika e sunnita, lui hazara e sciita: la famiglia vuole ucciderli per «onore»
Si sono rifugiati in America grazie a un giornalista: «Nostra figlia deciderà chi sposare»






Si sono conosciuti nella valle dei Buddha di Bamiyan distrutti dai talebani. Figli di contadini tornati alle proprie terre dopo l’intervento occidentale, da piccoli portavano le pecore al pascolo e strappavano le erbacce in campi adiacenti, separati da un muro di fango. Poi, un giorno, quando lei aveva 15 anni e lui 18, «certo al 40% di piacerle» la prese da parte e le sussurrò: «Ti amo».
Se Romeo e Giulietta fossero afghani, si chiamerebbero Ali e Zakia.
Etnie diverse
Mai le famiglie avrebbero permesso il matrimonio, per motivi culturali, etnici e religiosi. Lei è tagika e sunnita; lui hazara e sciita. Ma Ali e Zakia si sono corteggiati al telefono per tre anni e alla fine sono scappati insieme, infrangendo il tabù secondo cui ogni figlia è di proprietà del padre. La madre l’ha maledetta, il padre e i fratelli hanno cominciato a darle la caccia per ucciderla e salvare «l’onore».
Questa è la storia di due amanti afghani, ma anche di un giornalista, Rod Nordland, corrispondente del New York Timesda Kabul che li ha incontrati nel 2014, quand’erano in fuga, e ha scritto di loro commuovendo i lettori americani. Poi però non è riuscito a prendere le distanze, forse anche perché ha due figlie ventenni.

L’aiuto di un giornalista americano
Infrangendo le regole professionali, li ha aiutati a scappare a Kabul (dove però la famiglia di lei è riuscita a trovarli), poi a nascondersi in una casa rifugio; ha fornito loro i soldi di benefattori stranieri; infine quest’anno ha facilitato il loro espatrio con un visto umanitario. Ora ha scritto un libro, «Gli amanti», edito in Italia da Mondadori. E Zakia e Ali sono diventati simboli per altri giovani: la loro storia è straordinaria perché non è finita nel sangue, ma è anche ordinaria in un Paese dove innamorarsi senza il consenso della famiglia è proibito dai mullah e dalla sharia ma poesie e canzoni (infelici) dimostrano che succede spesso.
Rifugio in Connecticut
Zakia rappresenta una nuova generazione di donne afghane. «Quando dico qualcosa, lo faccio — spiega alCorriere dal Connecticut, dove con Ali ha chiesto asilo — Non penso di essere diversa dalle altre donne, se fossero innamorate forse avrebbero fatto la stessa cosa».
È incapace di scrivere il suo nome, ma conosce i numeri nell’ordine in cui sono disposti sul telefono. Crede che sia suo diritto non portare il burqa come pure amare chi vuole, ma non è una femminista e resta convinta che sia giusto obbedire al marito (sempre che dica cose sensate) e che spetti a lui decidere se la figlia sarà sciita o sunnita. Zakia e Ali hanno una bambina di un anno e mezzo, Ruqia. «Deciderà lei chi sposare e se lavorare. La manderemo a scuola, non sarà analfabeta come noi», dice. Ma in America non è felice. Ali va a lezione d’inglese, ma lei per ora sta a casa con la bimba, sforna pane afghano e rimpiange la sua terra.
Incertezza e ostilità
Questa nuova generazione di donne vive in un limbo di incertezza e di ostilità. Grazie all’intervento occidentale contro i talebani e alle pressioni per la parità di diritti, Zakia può scegliere chi sposare, ci sono leggi come la «Evaw» (per l’eliminazione della violenza contro le donne) che sanziona lo stupro, le percosse alla moglie, i matrimoni forzati e precoci e proibisce il controllo della famiglia sulla scelta del coniuge. Ma la «Evaw» non è applicata in una società ostinatamente patriarcale e in località rurali dove i giudici non hanno laurea; dove i genitori separano gli innamorati e, se non ci riescono, li uccidono e nessuno viene a saperlo; dove i signori della guerra che hanno combattuto i talebani sono uguali se non peggiori dei talebani, e dove gli alleati occidentali sono sempre meno disposti a condurre una battaglia culturale contro i conservatori che appoggiano il governo. Nel suo libro, Nordland denuncia che all’inizio le ambasciate occidentali non volevano aiutare Zakia e Ali a lasciare l’Afghanistan perché significava ammettere la sconfitta del sistema giudiziario da loro finanziato.
I due giovani sono il simbolo di un cambiamento, ma vago e lontano. «Alcuni afghani sono contrari a quello che abbiamo fatto, altri sono più positivi ma è difficile per molti accettare la nostra scelta — osserva Ali al telefono —. Ci vorrà molto tempo prima che le cose cambino»...
(Corriere della Sera Esteri)

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