Pokémon Go, in Siria sono tra le macerie...
Mentre nella sua città natale, Aleppo, continua il declino portato da cinque anni di guerra, Khaled Akil si è chiesto come sarebbe andare a caccia di Pokémon tra le macerie della Siria.
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(di Anealla Safdar, per al Jazeera. Traduzione dall’inglese di Claudia Avolio).
Nell’ultimo progetto dell’artista siriano, una serie di foto dell’Agency France Press postate sul suo sito mostrano i mostri catturabili del gioco nel mezzo di scene di disperazione.
Il progetto si intitola “Pokémon Go in Syria – Part 1″ e il risultato è inquietante.
Le figure animate restano a guardare dopo l’espolosione di una bomba; fissano nell’obiettivo della macchina fotografica mentre un bambino cammina tra edifici crollati; sbucano da una tubatura bruciata mentre dei ragazzini nuotano in una pozza d’acqua stagnante o se ne stanno sopra a un carro armato con dei combattenti di Isis.
“Seguendo con continuità le notizie e le tendenze dei social media nel mondo, mi sono imbattuto in questa inquietante contraddizione tra la giocosità del mondo dei Pokémon e il pericolo in cui i siriani e i loro bambini vivono ogni giorno”, ha detto l’artista ad al Jazeera. “Mi sono chiesto come sarebbe stato andare a caccia di un Pokémon tra le macerie della Siria. E come può un gioco virtuale attrarre maggior attenzione delle atrocità commesse ogni giorno nella vita reale in Siria”.
Aggiunge che la sua opera, però, non intende puntare il dito contro nessuno. Mira piuttosto a mettere in evidenza la crisi.
“Questo progetto non vuole incolpare la gente perché non presta attenzione alla Siria. Vuole solo essere un riflettore acceso su quanto sta avvenendo lì”.
Nato ad Aleppo 30 anni fa, Khaled Akil è arrivato a Istanbul nel 2012 per presenziare alla sua mostra personale, ma è stato poi costretto a restare nella città turca a causa dell’intensificarsi della guerra nel suo Paese.
Molti dei suoi familiari vivono tuttora in Siria e rifiutano di andarsene. “Sono lì nella speranza che la guerra un giorno finisca e saranno lì ad accoglierci – noi che ce ne siamo andati”.
In un recente articolo per il New York Times, Khaled ha scritto dei disagi che oggi deve subire in quanto siriano per viaggiare: gli è stato negato l’ingresso negli Stati Uniti per partecipare a una manifestazione artistica perché “nel mio Paese c’è la guerra”.
“Dopo cinque anni, purtroppo credo che quanto sta avvenendo in Siria sia una guerra per procura, ed è proprio come un gioco per alcuni partecipanti molto cattivi”, ha detto parlando del suo lavoro recente. “Come in ogni altra guerra, purtroppo, dopo un po’ le persone si stufano o si assuefanno alle notizie di morte e distruzione e vanno avanti con la loro vita. Questo potrebbe essere alla fine un promemoria amichevole, o come si dice, unpoke – scusate il gioco di parole”.
Come milioni di altri siriani, Khaled ha un solo, semplice sogno: che nelle strade della sua città natale faccia ritorno la pace: “Mentre il gioco [dei Pokémon] sta avendo molto successo, spero davvero di poter passeggiare per le strade di Aleppo senza un telefono, né un Pokémon. Solo io e la città che un tempo è stata bellissima”.
La guerra civile in Siria ha mietuto oltre 250 mila vittime, facendo milioni di sfollati, con la maggior parte delle persone che si sono rifugiate in Turchia, Libano e Giordania.
Un altro progetto, anche questo a opera di attivisti, ha giocato con il fenomeno dei Pokémon declinandolo in chiave siriana. In questi giorni compaiono foto di bambini che reggono dei poster con i colorati personaggi del gioco e un hashtag: #PokémonInSyria...
(AgoraVox)
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