Migranti, la tragedia delle prostitute minorenni...




Sbarcano con un numero di telefono. Quello dei loro carcerieri. Solo una su 10 si salva. La tragedia delle bambine nigeriane costrette a prostituirsi in Italia.



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Dai 30 ai 50 mila euro. Tanto vale la vita di un'adolescente nigeriana che sbarca in Italia.
È il debito che deve ripagare ai trafficanti lavorando come prostituta, per tornare libera e perché non venga fatto del male alla famiglia che, nella maggior parte dei casi l'ha venduta.
Le storie si somigliano tutte, drammaticamente. E parlano di disperazione, analfabetismo, povertà.
VENDUTE E MINACCIATE. Si imbarcano in Libia, o dalle coste greche e turche. «Su 1000 migranti, 200 sono ragazzine», ha spiegato a Lettera43.it Giovanni Fortugno, responsabile immigrazione della comunità Papa Giovanni XXIII.
Provengono soprattutto dalle zone interne della Nigeria, la maggior parte di loro non è mai andata a scuola. Spesso i genitori, continua l'operatore, «sono collusi e ricattati».
Le bambine non partono sole ma accompagnate da parenti o conoscenti, già in contatto con le madame in Italia e in Europa.
SCORTATE DAI CARCERIERI. «Hanno dai 14 ai 17 anni. Per ogni ragazzina c'è una donna adulta e una o più figure maschili», racconta Fortugno, «è difficile riconoscerle, visto che si spacciano per parenti e non hanno con sé i documenti».
Per questo i volontari quando individuano le situazioni a rischio, separano le bambine dai presunti trafficanti.
«Solo una volta in disparte cominciano a parlare, a raccontarsi». Le violenze, gli stupri subiti, la paura di ritorsioni sono all'ordine del giorno.
«Sono minacciate con i familiari dai riti voodoo», ha confermato Fortugno. Per questo nonostante l'orrore vissuto fuggono dalle zone di protezione. «Nemmeno la promessa dei documenti è più un deterrente efficace per una minorenne».

Arrivano con un numero di cellulare e fuggono dai centri

Ragazze nigeriane.
Ragazze nigeriane.
A Reggio Calabria le ragazzine arrivano già con un numero di cellulare in mano. Una volta a terra chiamano il contatto e raggiungono i carcerieri.
Le percentuali sono da fare accaponare la pelle: su 10 adolescenti destinate alla prostituzione, «se ne riesce a salvare una».
A volte basta uno sguardo della madama per fare cambiare una versione, per rimangiarsi le parole.
Nella casa per minori gestita a Reggio, da agosto 2015 a oggi sono passate 12, 13 adolescenti nigeriane. «Ne sono rimaste tre», denuncia Fortugno. «Una addirittura è fuggita calandosi dalla finestra con il lenzuolo. L'ha trovata la polizia sulla strada che si prostituiva».
DOMANDA E OFFERTA. Basta fare un giro sul lungomare reggino per rendersene conto. Le ragazze nigeriane sono sempre di più. Arrivano qui anche dopo essere fuggite dai centri siciliani.
«Sono piccole, evidentemente minorenni», attacca Fortugno. «Se stanno sulla strada, è perché qualcuno le cerca».
Si suppone che il traffico sia gestito da africani, una 'mafia' parallela che in queste zone ha la benedizione della criminalità organizzata.
I BIMBI SCOMPARSI. Per non parlare dei minori soprattutto eritrei e somali che una volta messo piede in Europa scompaiono nel nulla. Decine di migliaia di piccoli che negli anni sono diventati fantasmi. Almeno 10 mila solo nel 2015. Braccia destinate al lavoro nero, allo sfruttamento e anche - ed è il sospetto più grave - al traffico d'organi.
Nonostante gli sforzi delle forze dell'ordine e della prefettura, il fenomeno cresce.

Reggio, la nuova Lampedusa.

«Reggio Calabria è diventata la Lampedusa per gli arrivi da Est», è il ragionamento. Con la chiusura delle rotte terrestri, gli sbarchi aumentano. Navi della Marina o barconi, si parla di un arrivo ogni due giorni. In città nel 2015 sono sbarcati quasi 17 mila migranti, e Reggio si è confermata terzo porto di arrivo in Italia dopo Lampedusa e Pozzallo.
PROVA DI UMANITÀ. «Ci sono volontari, operatori, medici che lavorano ininterrottamente», dice Fortugno. «Reggio Calabria sta dando una risposta d'eccellenza all'accoglienza grazie alla sinergia tra prefettura e associazioni».
E alla grande umanità. «Chi in Europa critica l'Italia, chi ci tratta come una Cenerentola, perché non viene ogni mattina al molo a vedere quello che succede?», è la provocazione.
Ora con l'allarme Brexit si parla di rifondare l'Ue, di trasformarla in una Europa dei popoli. Tutto legittimo. Ma chi ora rilancia l'europeismo, perché non si è mai interessato per esempio della condizione degli afghani che da decenni si trovano in Grecia, e cioè in Europa?
LE RESPONSABILITÀ DI UE E ONU.  «Qualche anno fa abbiamo portato dei palloncini ai piccoli dei campi», ricorda Fortugno. «Ci giocavano i padri. Uomini che tra guerre civili e terrorismo si sono visti rubare l'infanzia».
Fortugno punta il dito anche contro le Nazioni unite: «Che senso hanno se non riescono a fare rispettare i diritti umani sui quali si fondano?».
Per chi ogni mattina si trova su quel molo la situazione non si risolve con le promesse né al contrario con gli slogan «contro gli stranieri».
«Bisogna creare canali umanitari, desk presso le ambasciate», insiste Fortugno. «Intervenire nei Paesi d'origine». È questo l'unico modo per scongiurare abusi e violenze, una continua «strage di esseri umani».
Al momento, l'Ue e l'Onu restano inchiodati a una semplice domanda: «Chi ha interesse nell'alimentare questo traffico di uomini e bambini?».
 
(Lettera 43)

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