IL QATAR DEI MIGRANTI. I “campi di lavoro” sono casa al 60% della popolazione...




1.4 milioni di persone vivono in città-dormitorio, ammassati in stanze piccole e sporche, dove restano schiavi del sistema di garanzia della Kafalah. In previsione dei Mondiali 2022 la petromonarchia non ha migliorato le condizioni di vita dei lavoratori stranieri



di Giorgia Grifoni
Roma, 11 giugno 2016, Nena News – C’erano i migranti morti per attacchi di cuore negli stadi ancora incompleti, disidratati e sfiniti sotto il sole cocente del Golfo in agosto. C’erano i migranti reclutati per 5 euro e prelevati nei loro alloggi per essere portati negli stadi a far vedere al mondo che i campi da calcio erano pieni e che il mondiale era meritato. C’erano i pronostici, che parlavano di 4 mila migranti destinati a morire nella costruzione delle infrastrutture del mondiale e c’erano i “campi di lavoro”, alloggi improvvisati dove imbianchini, manovali e braccianti dormivano uno accanto all’altro nella totale mancanza di sicurezza e di igiene.
Ora si scopre che la maggioranza della popolazione del Qatar – il 60 per cento di 2.5 milioni di individui – vive in queste infinite città-dormitorio che spaziano da quelle “ufficiali” inaugurate dal governo a quelle “ufficiose”, sorte in maniera disordinata attorno a uno o più cantieri. Una settimana fa, in uno di questi campi a sud-est della capitale Doha, 12 migranti sono morti a seguito di un incendio sviluppatosi nei dormitori. La maggior parte della popolazione del ricchissimo emirato costruisce in condizioni di schiavitù la competizione sportiva più attesa del mondo, ma il mondo sembra non indignarsi affatto per l’esistenza di questi “campi di lavoro”.
Secondo i dati diffusi questo mese dal Ministero qatariota per la Pianificazione e le Statistiche dello Sviluppo, al 2015 circa 1.4 milioni di persone risultavano residenti nei “campi di lavoro”, la quasi totalità dei quali era di sesso maschile. Allora la popolazione del piccolo emirato toccava quota 2.4 milioni di persone: una delle crescite più esplosive al mondo, se si pensa che nel 1986 la popolazione del Qatar ammontava ad appena 373 mila individui. Oggi, solo il 10 per cento della popolazione è di nazionalità qatariota.
Numerosi sono i motivi dell’esistenza di questi campi di lavoro per migranti. Primo tra tutti l’alto numero di arrivi di manodopera, che continua ad aumentare con l’avvicinarsi del Mondiale 2022: solo nell’ultimo anno sono immigrate in Qatar circa 100 mila persone, provenienti perlopiù dal subcontinente indiano. Ma soprattutto, le modalità del loro reclutamento creano una nuova forma di schiavitù, endemica ormai in tutti i paesi del Golfo: la Kafalah, cioè il sistema di “garanzia” secondo il quale il lavoratore, tramite un agente nel proprio paese di origine, trova una datore di lavoro disposto a sponsorizzarlo nel Golfo, sta creando degli indebitamenti a vita.
Secondo l’Indice di Schiavitù Globale, che in un recente sondaggio ha piazzato il Qatar al quinto posto – dopo Corea del Nord, Uzbekistan, Cambogia e India - “i lavoratori stranieri che cercano di ottenere posti di lavoro in Qatar spesso devono pagare “reclutatori” per aiutarli a trovare un lavoro per cominciare, e in genere chiedono un prestito per poterli pagare”. Una volta che vengono assunti, quindi, spenderebbero la maggior parte del loro stipendio cercando di ripagare questo debito a tassi di interesse elevati. “Tra le spese di assunzione – si legge nell’Indice – i tassi di interesse e il fatto che i loro salari, anche se pagati per intero, sono spesso notevolmente più bassi rispetto a quanto concordato in fase contrattuale, molti lavoratori sono completamente incapaci di sfuggire al ciclo di debito”.
Oltre alle violazioni dei diritti del lavoratore resa possibile dalla Kafalah – il salariato non può cambiare datore di lavoro pena l’espulsione dal paese – si aggiunge quindi l’indebitamento cronico. Il risultato, come spiega il documento, è una situazione in cui molti lavoratori non hanno abbastanza soldi per pagare per l’alloggio e persino il cibo. Molti muoiono di fame. E molti sono costretti a vivere in campi di lavoro allestiti ai margini dei cantieri. Questi, se in origine erano costituiti da baracche e capannoni, ora stanno diventando grandi complessi abitativi “dotati di tutti i comfort”.
Un modo, da parte di Doha, per rispondere alle critiche delle organizzazioni per i diritti umani: queste, poco tempo dopo l’assegnazione del Mondiale di calcio 2022, avevano cominciato a censire i primi morti nei cantieri, svelando le terribili condizioni di lavoro che circondavano l’impresa titanica di creare dei servizi per decine di squadre e migliaia di possibili tifosi là dove non ce n’erano.
I report sulle condizioni di vita dei migranti avevano diffuso immagini di compound divisi in minuscole stanze, ognuna contenente fino a otto lettini, invase dai vestiti appesi alle pareti e fornite di cucine ben al di sotto degli standard di igiene e sicurezza. Vi si trovavano immigrati di varia provenienza, ai quali era stato promesso uno stipendio che in realtà corrispondeva a meno di un terzo di quello pattuito.
Le autorità di Doha avevano quindi annunciato la costruzione di sette “città”, come si legge in un articolo del Guardian, destinate a ospitare fino a 258 mila lavoratori immigrati impiegati nei cantieri della Coppa del Mondo. Si tratta di comprensori più “moderni”, un misto di alloggi pubblici e privati che, secondo il ministro del Lavoro e degli Affari sociali Abdullah bin Saleh al-Kulaifi, rappresenterebbero “il futuro”.
Il più grande dei comprensori, chiamato “Labour city”, è costato finora circa 825 milioni di dollari: un progetto imponente, con alloggi-dormitorio più sicuri, un centro commerciale, un cinema e persino uno stadio da cricket da 24 mila posti. Assieme agli altri sei maxi-progetti di alloggio per migranti dovrebbe essere completato entro la fine del 2016.

Eppure continuano a proliferare campi “ufficiosi” aperti accanto alle strutture alberghiere e ai cantieri degli stadi in costruzione: come quello del complesso di Salwa, che ospiterà un hotel della catena Hilton, dove la settimana scorsa 12 persone sono morte in seguito a un incendio. Qui, tra dormitori sovraffollati e bombole del gas mal collocate, si è consumata l’ennesima tragedia che indica che il problema degli alloggi per i migranti impiegati nel Mondiale 2022 è ancora lontano dall’essere risolto. Nel totale silenzio della Fifa...
(Nena News)

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