La campagna internazionale su Regeni sta dando i primi frutti...






di Aldo Giannuli
La campagna sul caso Regeni, soprattutto per merito di Amnesty International, sta diventando una campagna internazionale contro la violazione dei diritti umani in Egitto. Si badi: non solo sul caso dello studente italiano, ma anche di tutti gli altri sequestrati, assassinati, torturati (ad esempio è contemporanea alla campagna per la liberazione di un giornalista egiziano detenuto da tre anni).
La campagna ha portato alla scoperta di un caso analogo, occorso ad un cittadino francese, per il quale il governo di Parigi non ha mosso un dito, non degnandosi neppure di rispondere alla famiglia. Che Hollande fosse un cretino lo sapevamo da tempo, ora sappiamo che è anche uno spregevole delinquente.
La campagna inizia però a dare i suoi risultati. Il NYT ha attaccato Hollande per la sua “ambiguità”, il vice cancelliere tedesco ha espresso preoccupazione per casi come quello dello studente italiano, manifestazioni si sono svolte a Londra e in altre capitali europee. E che la campagna stia iniziando a preoccupare la giunta Al Sisi lo dice proprio la loro reazione con la quale chiedono che l’Italia cessi le pressioni politiche, promettendo, al solito, sviluppi nell’inchiesta. E chiedendo di affidare l’inchiesta alla collaborazione silenziosa fra i servizi italiani e quelli egiziani (cioè gli assassini). Ovviamente non è neppure il caso di prendere in considerazione il messaggio cairota e bisogna solo sbattergli la porta in faccia.
Veniamo al nocciolo della questione: per una volta l’Italia sta uscendone bene (e devo darne atto a Renzi che sin qui, per quanto in modo non abbastanza energico, ha tenuto il punto) ora non può fare una figuraccia lasciando cadere la cosa. Occorre tenere duro, passare alle sanzioni, con una escalation progressiva.
In primo luogo occorre richiamare tutti i cittadini italiani e proibire ad altri di andare in Egitto.
Poi bisogna pensare a cosa fare dopo il richiamo dell’ambasciatore, quello che non può che essere una misura provvisoria, dopo un po’ o si rimanda l’ambasciatore e si regolarizzano i rapporti o si rompono le relazioni diplomatiche, non ci sono altre scelte. Escluso che nel frattempo il caso Regeni possa trovare una soluzione accettabile (l’unica sarebbe la condanna dei responsabili sino ai livelli più alti, il che è impensabile), questo significa solo o calarsi le braghe o passare alla misura più pesante. E mi pare che, se non vogliamo perdere la faccia, ci tocca passare alla rottura delle relazioni diplomatiche.
Gli Egiziani, ma non solo loro, un po’ tutti i paesi dell’area, capiscono solo il linguaggio dei rapporti di forza ed apprezzano la durezza mentre disprezzano i deboli. Cedere nei confronti del Cairo significherebbe un disastro di immagine in tutto il Medio oriente dove l’ultimo sfigato staterello si riterrebbe autorizzato a metterci i piedi in testa. Proprio il realismo degli affari e della politica internazionale suggerisce la massima durezza.
Dunque, blocco degli affari (a cominciare dalle forniture d’armi) ed azione di destabilizzazione del regime, lavorando alla sua caduta. Chi si indigna per le torture e le violazioni dei diritti umani deve porsi un problema: è possibile farli cessare senza far cadere il regime che li usa? Non ho mai visto una dittatura smettere certe pratiche sulla base della moral suasion.
Poi c’è chi non la pensa così, ed in nome di un falso realismo, invita a far finta di nulla e continuare a fare affari come niente fosse. Sono i seguaci di Hollande...
(AgoraVox)

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