Così è cambiata la Crimea...
Sono passati due anni dalla firma del trattato di adesione alla Federazione Russa della Repubblica di Crimea, il 18 marzo del 2014. E a distanza di due anni, la questione relativa alla penisola che si affaccia sul mar Nero, abitata per il 68% da russi, per il 15% da ucraini e per il 10% dai tatari di Crimea, che dopo Euromaidan ha provocato il crollo ai minimi storici dei rapporti tra Russia ed Europa e l’isolamento internazionale della Russia, continua a far discutere.
Crimea: annessione o autodeterminazione?
Il trattato di adesione alla Federazione Russa, sottoscritto al Cremlino da Putin e dal capo della Repubblica di Crimea, Sergey Aksenov continua a non essere riconosciuto dall’Ucraina, dall’Unione Europea, dalla Nato, dal G7 – consesso dal quale, proprio per questo motivo, la Russia è stata esclusa – e da cento Paesi membri delle Nazioni Unite. Il dibattito, dopo due anni di sanzioni e contro-sanzioni, si concentra ancora tutto sulla validità internazionale del referendum del 16 giugno 2014. Per l’Unione Europea, continua a trattarsi di una “annessione illegale”, di una “grave violazione del diritto internazionale”, di una minaccia alla integrità territoriale dell’Ucraina e alla sicurezza degli Stati. Così, a due anni dal referendum, l’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, si è pronunciata, infatti, sulla questione della Crimea. Anche gli Stati Uniti, intervenuti ieri sulla questione attraverso un comunicato del Dipartimento di Stato, hanno fatto sapere che “non riconosceranno mai il referendum del 16 marzo 2014”. Washington continua, dunque, a chiedere la restituzione della penisola a Kiev, e a collegare il regime sanzionatorio nei confronti della Russia a questa richiesta. Nonostante una ripresa del dialogo sul dossier siriano e del contrasto all’Isis, quindi, sia gli Stati Uniti, sia l’Ue, all’inizio di marzo, avevano esteso nuovamente di un anno le sanzioni alla Russia proprio per la politica del Cremlino in Ucraina e per l’annessione della Crimea. Per Mosca invece, il referendum del marzo di due anni fa, avrebbe semplicemente sancito il diritto del popolo russo di Crimea a scegliere la struttura statale a cui appartenere e quindi il proprio diritto all’autodeterminazione. Non un’annessione quindi, ma la libera scelta dell’83,1% dei cittadini crimeani – percentuale che sale all’89% nella città di Sebastopoli – che, con il contestato referendum del marzo 2014 hanno scelto, con il 96,77% di voti a favore, di tornare a far parte della Federazione Russa. Una volontà autonoma che era stata mostrata, secondo alcuni analisti russi, già in un precedente referendum voluto proprio dalla società civile nel gennaio del 1991, in cui il 93,26% degli elettori, su una percentuale di votanti superiore all’80% della popolazione, si pronunciarono in favore del progetto, poi abbandonato, dell’Unione degli Stati Sovrani, chiedendo che la Crimea, divenisse indipendente dall’Ucraina per entrare a far parte dell’Unione. Un referendum, questo del ’91, prodromico, secondo gli analisti, al risultato della più recente consultazione.
La Crimea oggi tra patriottismo e crisi economica
Per i russi inoltre la concessione della penisola all’Ucraina, perfezionata nel 1954 dall’allora segretario del PCUS, Nikita Kruscev, per ragioni di opportunità politica interna, già all’epoca si presentava come una violazione della Costituzione dell’Unione Sovietica, sopportata perché, in ogni caso, la penisola rimaneva di fatto all’interno dell’URSS. La penisola ha sempre rivestito, infatti, grazie alla sua posizione geografica, un carattere strategico per Mosca. Per questo, già all’inizio delle manifestazioni filo-Nato di piazza Maidan a Kiev, Putin aveva lanciato un messaggio chiaro all’Occidente a proposito della Crimea, inviando circa 16 mila militari russi a mettere in sicurezza il territorio, allertando persino il proprio arsenale nucleare. Mosca, infatti, difendeva così, nel 2014, a Sebastopoli, il suo accesso privilegiato al Mar Mediterraneo e il suo avamposto militare per il controllo del nord del Caucaso. Dopo aver riportato a “casa” la Crimea inoltre, Putin, facendo leva sul sentimento patriottico russo, ha rilanciato il proprio consenso interno, facendo della penisola un simbolo dell’identità russa, ricordando, nel discorso alla nazione del 2014 come la Crimea fosse il fulcro dell’identità russa, essendo il luogo nel quale, nel 980 d.C., fu battezzato il principe Vladimir il Grande, che cristianizzò la Rus’. Oggi però, complice la crisi del prezzo del petrolio, il deprezzamento del rublo e le sanzioni internazionali, l’orgoglio identitario deve fare i conti con la recessione economica che non ha lasciato scampo nemmeno alla penisola, dove l’inflazione è cresciuta ai massimi livelli. Così il consenso dei russi attorno alla decisione di annettere la Crimea, accolta positivamente nel 2014 dal 79% dei cittadini, è calato, in due anni, almeno del 10%. Oltre alla recessione economica la penisola sta scontando, inoltre, le ritorsioni da parte di Kiev, che ha bloccato prima i rifornimenti d’acqua e in seguito le forniture alimentari e dei prodotti ucraini. Nel novembre dello scorso anno si è verificato, inoltre, l’episodio più grave, quello del black-out che ha lasciato la penisola completamente al buio per diversi giorni, provocato dall’abbattimento di alcuni tralicci da parte di tatari e miliziani del gruppo estremista ucraino Pravij Sektor.
“Per sempre con la Russia”
“Per sempre con la Russia”, si legge sugli striscioni portati in piazza dai cittadini di Sebastopoli nella mattinata di venerdì per festeggiare la riunificazione con la Federazione. Che la Crimea sia una regione russa, “è un fatto che non può essere oggetto di negoziazioni o contatti internazionali”, ha dichiarato, facendo eco ai manifestanti il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, rispondendo a Federica Mogherini, sempre nella mattinata di venerdì. E a distanza di due anni la Russia è decisa a strappare definitivamente Sinferopoli da Kiev. È per questo che, non a caso, Vladimir Putin, in occasione del secondo anniversario della proclamazione dell’unione con Mosca, si è recato in visita sull’isola di Tuzla, dove il Cremlino sta costruendo il ponte sullo stretto di Kerch. Il progetto strategico di memoria zarista, infatti, permetterà di percorrere in auto i 19 kilometri di mare che separano la Crimea dalla regione di Krasnodar, dalla quale, a partire dallo scorso dicembre, dopo il famoso black-out, la Russia ha avviato un ponte energetico con la penisola e da dove arrivano le forniture di Mosca a Sinferopoli. L’obiettivo primario, ovviamente, è quello di incrementare gli scambi e gli investimenti nella penisola, per risollevare la situazione economica e assicurarsi così il sostegno della popolazione locale...
(Gli Occhi della Guerra)
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