YEMEN. Nel Vietnam saudita, Riyadh non vuole l’Onu...




L’Arabia Saudita chiede a Nazioni Unite e Croce Rossa di lasciare le zone controllate dai ribelli Houthi. Le due organizzazioni rifiutano e restano con i civili. Ora i sauditi puntano a Sana’a ma hanno irrimediabilmente riacceso separatismi e estremisti



Il no di Croce Rossa e Nazioni Unite arriva all’unisono: la richiesta mossa dall’Arabia Saudita – ritirate i vostri cooperanti e i vostri staff dalle zone sotto il controllo dei ribelli Houthi – viene rispedita al mittente.
A muovere la richiesta era stato l’ambasciatore saudita all’Onu al-Mouallimi che chiedeva alle organizzazioni umanitarie di abbandonare le aree dove a mantenere il controllo è il movimento ribelle. Una richiesta che sottintende un’intensificazione dei bombardamenti e della campagna militare in corso da parte della coalizione sunnita guidata da Riyadh.
Il primo a rispondere è stato Stephen O’Brien, responsabile dell’assistenza umanitaria dell’Onu in Yemen, in una lettera indirizzata a al-Mouallimi: l’Onu proseguirà nelle attività salva-vita a favore della popolazione civile. Stessa reazione da parte della Croce Rossa. “Per raggiungere tutti coloro che ne hanno bisogno – ha detto la portavoce della Croce Rossa, Rima Kamal – continueremo a chiedere garanzie di sicurezza da parte di tutti gli attori. Non abbiamo intenzione di cambiare e resteremo impegnati a operare in tutte le regioni e a fare il possibile per raggiungere i civili”.
La risposta contiene il chiaro riferimento ai crimini commessi nei mesi scorsi dai jet sauditi che più volte hanno avuto come target cliniche, ospedali e strutture umanitarie in tutto lo Yemen, nonostante le organizzazioni che operano nel paese abbiano più volte reso note le proprie coordinate. La richiesta saudita forse era volta proprio ad evitare altre critiche: se di cooperanti non ce ne sono, non saranno neppure colpiti. Un’interpretazione del conflitto che mostra palesemente il rispetto che la coalizione ha dei civili yemeniti: nullo. Meglio lasciarli senza aiuti. Ne ricevono già pochissimi a causa del blocco aereo imposto da Riyadh che impedisce l’arrivo di consistente assistenza umanitaria e anche del carburante necessario agli spostamenti.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: dalla fine di marzo, quando l’operazione “Tempesta Decisiva” fu lanciata, sono morte oltre 6.100 persone, mentre ammonta a 1.5 milioni il numero di rifugiati e sfollati interni e a 20 milioni (l’80% della popolazione totale) i civili che necessitano di aiuti immediati.
Nel mirino restano tre città: la capitale Sana’a; Taiz al centro, strategica perchè collegamento tra il nord e il Golfo di Aden; e la stessa Aden. Le operazioni contro Sana’a si stanno intensificando, insieme alle stragi: ieri l’ennesima, con l’uccisione di un’intera famiglia. Tre bambini e i loro genitori, due giornalisti dell’emittente Yemen Tv (controllata dagli Houthi), il 37enne Munir al-Hakami e la moglie 30enne Suaad Hujaira.
Le forze pro-governative sono a 40 km dalla capitale, dopo la presa della cittadina di Nihm e della base della 312 Brigata, diventata quartier generale dei ribelli Houthi. “Siamo sulla strada per Sana’a”, diceva ieri un combattente del governo. Ma al di là delle piccole vittorie saudite e governative, è ormai chiaro che Riyadh è rimasta impantanata in un conflitto che non riesce a districare: se anche i ribelli Houthi venissero sconfitti, questa campagna ha riacceso le spinte separatiste di movimenti meridionali e l’autorità anti-statale delle tribù. Ma soprattutto ha rafforzato la vera forza anti-sistemica in Yemen, al Qaeda nella Penisola Arabica, che prosegue nell’occupazione di città e comunità a sud-est...
(Nena News)

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