Non dimentichiamo Narges Mohammadi...
di Alessandra Boga
Narges Mohammadi, vicepresidente del Centro degli Avvocati dei Diritti Umani – che ha a capo la Premio Nobel per la Pace 2003 Shirin Ebadi – avrebbe dovuto presentarsi davanti al giudice il 9 gennaio a causa di un nuovo processo intentato contro di lei dal regime dei mullah, ma l’udienza è stata rinviata per la terza volta.
Narges era stata arrestata il 5 maggio 2015, ci ricorda l’Associazione delle Donne Democratiche Iraniane in Italia la cui missione è tenere accesa l’attenzione internazionale sulle persecuzioni subite dagli attivisti iraniani. Mohammadi è ancora detenuta nel famigerato carcere di Evin insieme a numerosi prigionieri politici. La sua “colpa” sarebbe quella di aver incontrato, l’8 marzo 2014 a Teheran, l’ ex Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea Catherine Ashton insieme alla madre di Sattar Beheshti, il blogger morto sotto tortura proprio ad Evin durante un interrogatorio. Qualche mese dopo questo incontro Narges Mohammadi in un discorso video registrato denunciava le violenze delle prigioni iraniane: «Come è possibile che i deputati del Parlamento (iraniano) suggeriscano un Piano per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, ma nessuno abbia parlato di due anni fa, quando un essere umano innocente di nome Sattar Beheshti è morto sotto tortura nelle mani del giudice che lo interrogava? Nonostante l’atto di estrema violenza contro Beheshti, che ha scatenato un putiferio internazionale nel 2012, il suo caso solleva domande e ancora oggi la prigione di Evin assiste a torture ed arresti illegittimi dei difensori dei diritti umani». Il video è rapidamente diventato virale sui social network e Narges è stata convocata dal Tribunale del carcere di Evin. Il 5 maggio 2015 è stata nuovamente arrestata e il 13 dello stesso mese il Tribunale di Teheran l’ha accusata di aver attentato alla sicurezza nazionale dell’Iran, facendo propaganda contro la Repubblica Islamica: alla base delle accuse anche la sua partecipazione alle manifestazioni per l’abolizione della pena di morte.
Non è la prima volta che Narges Mohammadi viene incarcerata. Nel settembre 2010 le erano stati comminati 11 anni di reclusione con accuse simili ed era stato considerato reato anche la sua appartenenza al Centro degli Avvocati per i Diritti Umani. La pena è stata poi ridotta a sei anni nel marzo 2012 e in seguito è stata liberata in quanto soffre di embolia polmonare e paresi muscolare, una situazione chiaramente incompatibile con il carcere. Nonostante ciò è finita nuovamente dietro le sbarre e dal 17 luglio scorso non può nemmeno contattare il marito, Taghi Rahmani, e i figli, Ali e Kiana, che sono stati costretti a lasciare l’Iran quando lei è stata messa agli arresti...
(La ventisettesima ora)
Commenti