Kashmir tra estremismo religioso, tensioni locali e violenza miitare: si teme una rivolta sanguinosa...
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Dalla fine dell'Impero anglo-indiano nel 1947 il Kashmir, la regione nella parte settentrionale del subcontinente indiano, è oggetto di una disputa asprissima tra India e Pakistan: attualmente la regione è suddivisa in tre ed è amministrata da tre diversi Stati: l'India, la Cina e il Pakistan (e l'unica area ancora priva di confini ben definiti, il ghiacciaio Siachen, è di fatto controllata dall'India).
La fine del Raj britannico nel subcontinente indiano, con l'indipendenza concessa nel 1947 grazie alle campagne nonviolente di Ghandi, ha provocato un progressivo e rapidissimo deterioramento nelle relazioni tra indiani e pakistani (entrambe le nazioni nascono nel 1947) e una disputa sanguinosa e decennale sul Kashmir. Si può oramai affermare che, storicamente, il Kashmir è considerata una regione instabile, dove la violenza è quotidiana ed estremamente diffusa.
Il conflitto sembrava essersi affievolito negli ultimi anni, sopratutto tra il 2001 e il 2012, ma oggi la valle del Kashmir sembra essere tornata a livelli di violenza della guerra indo-pakistana ma gli eserciti dei due paesi c'entrano poco: secondo quanto scrive Foreign Affairs la violenza preoccupante che si registra nella regione ricorda la rivolta sanguinosa che esplose nel 1980 e che mise a rischio la stabilità del confine indo-pakistano. Il diminuire delle violenze nell'ultimo decennio ha provocato un progressivo disinteresse internazionale per questa regione, dove se oggi riesplodessero le violenze non si avrebbero gli strumenti cognitivi per comprendere la situazione ed intervenire. In particolare il controllo militare indiano sulla valle del Kashmir ha alimentato, negli ultimi anni, rivendicazioni politiche senza tuttavia garantire alcuno sviluppo economico significativo per la popolazione locale.
Sono tre gli elementi che rischiano di alimentare nuove tensioni nel Kashmir, secondo alcuni poliziotti, ufficiali dell'esercito, ex dirigenti dell'intelligence e della sicurezza nazionale indiana: il crescente radicalismo religioso (sia hindu che islamico), le tensioni locali e un aumento significativo della “violenza militante”. Secondo il Ministero degli Interni indiano le vittime di morte violenta in Kashmir sono quasi raddoppiate dal 2012, e cresciuti sono anche gli scontri diretti tra varie fazioni e gli attentati suicidi.
Poche settimane fa la Corte Suprema indiana ha osservato che la pena di morte andrebbe imposta “solo in rarissimi casi” e all'atto pratico la pena capitale in India è uno strumento davvero poco usato: dei 1303 condannati a morte negli ultimi 10 anni solo 4 sono stati giustiziati. Tuttavia il problema è che uno di questi quattro era Muhammad Afzal Guru, impiccato nel 2013 dopo un processo durato un decennio in cui è stato riconosciuto colpevole di un attentato nel 2001. Prima ancora di Guru, nel 1984,Muhammad Maqbool Bhat, leader del Fronte di Liberazione del Jammu e Kashmir (JKLF), veniva accusato di duplice omicidio e giustiziato. Le due esecuzioni, eseguite a quasi 30 anni l'una dall'altra, potrebbero tuttavia aver svolto un ruolo essenziale sulla coscienza collettiva della popolazione del Kashmir.
Entrambi sono stati impiccati in segreto nel carcere di Tihar e entrambi sono stati sepolti lì. Se Bhat era un leader dei separatisti per Afzal Guru migliaia di persone avevano firmato una petizione per chiederne la grazia, respinta per “soddisfare la coscienza collettiva della società” avevano spiegato le autorità indiane. Tuttavia l'effetto che potrebbe essersi prodotto nella “coscienza collettiva” è quello che Majid Hyderi su Dailyo.in definisce “due terroristi impiccati, due eroi nati”. Recentemente il governo della regione Jammu Kashmir ha deciso di seppellire in segreto i corpi dei due uomini lungo la linea di controllo, il militarizzato confine con il Pakistan: negli ultimi 20 anni sono migliaia gli "eversori" che dal Pakistan e da altri paesi sono arrivati in Kashmir e ammazzati dai militari o dalla polizia indiana, sepolti in circa 500 cimiteri locali.
Pochi mesi fa però le autorità indiane hanno optato per una sepoltura in segreto, ufficialmente per frenare la rinnovata pratica locale di presenziare in massa ai funerali, cosa che spesso finisce in scontri violenti. La maggioranza della popolazione del Kashmir infatti è musulmana: secondo un rapporto pakistano dell'ottobre scorso 60 uomini originari del Kashmir si sono uniti a gruppi estremisti nel 2015 e nel suo ultimo rapporto, datato 7 febbraio, si legge che 8 militanti separatisti sono stati uccisi nelle ultime due settimane, anche se in molti continuano ad ingrossare le fila dei separatisti.
Martedì 9 febbraio la Jawaharlal Nehru University si è trasformata in un campo di battaglia: un gruppo di studenti di sinistra ha organizzato un incontro per commemorare “l'assassinio giudiziario” di Guru e Bhat, inneggiando alla “lotta popolare per la liberazione del Kashmir”. Questa iniziativa ha innescato alcuni scontri verbali con altri studenti, divenuto un vero e proprio scontro fisico. L'Università ha chiamato la polizia per reprimere le proteste e ordinato un'inchiesta interna, cosa che ha ulteriormente polarizzato lo scontro ideologico.
Secondo molti media indiani però queste avvisaglie non devono far necessariamente pensare al peggio, cioè a un rinfocolarsi delle violenze nella zona del Kashmir, anche se nel frattempo il Pakistan ha espresso più volte solidarietà con la popolazione dello Jammu Kashmir, cosa che ha irritato non poco i vicini indiani. Certamente sarà interessante osservare come si svilupperanno quelle che a un occhio poco accorto possono sembrare solo rivolte studentesche, o comunque più che ideologiche legate ai costumi. In Kashmir i costumi c'entrano ben poco, nella malgama culturale della valle: sempre più giovani oggi bramano autodeterminazione...
International Business Times)
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