Amref, Stop the cut: tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili. I racconti delle "ex tagliatrici di ragazze"...
NAIROBI, Kenya - “Nel momento in cui taglio un lembo di carne attorno alla sua vagina, la ragazza viene sopraffatta dal dolore. Il suo corpo si muove per gli spasmi e il coltello può scivolare, e anche il pezzo di carne che hai in mano scivola dalle dita, e finisci così per tagliare anche dell’altro. A volte mi è capitato di tagliare accidentalmente il punto in cui in una donna passa l’urina, provocando così emorragie. Alcune giovani svengono”.
È questo il ricordo con il quale Epanu Doros deve convivere, richiamando alla memoria la sua vita e il ruolo che ha ricoperto fino a due anni fa di “tagliatrice di ragazze”, colei che opera la circoncisione femminile. “Usavo una lama di rasoio. Quando non ne avevo, prendevo vecchi pezzi di ferro, li affilavo sulle punte e li utilizzavo al posto del rasoio”.
Ricorda il suo coraggio nel recidere lembi di carne dalla vagina delle giovani ragazze, per poi gettarli a imputridire nella bava dei vermi. “Ero solita tagliare un pezzo dall’interno e poi lo gettavo via, mentre la giovane piangeva e urlava”.
Le mutilazioni genitali femminili consistono nell’eliminazione parziale o totale dei genitali femminili esterni. In riferimento alla lama usata per il taglio, Doros lo chiama “mabati” (lamina di ferro) e ricorda di aver spesso tagliato le ragazze nel punto sbagliato, poiché loro si battevano molto per salvarsi dal taglio.
Sebbene nella sua esperienza la morte non si sia mai presentata, la 45enne vive con il rimorso di aver esposto tante ragazze al rischio di morire. “Una volta è capitato che ho tagliato una ragazza e l’emorragia non si arrestava. Il sangue era ovunque. Abbiamo dovuto portarla di corsa all’ospedale, dove l’hanno ricucita. La ragazza è quasi morta”.
Una delle vittime che hanno subito il taglio è stata la sua stessa figlia. Anche lei ha sanguinato in modo grave. “Ho tre ragazze, ho tagliato la maggiore di loro, facendomi aiutare da un’altra donna per bloccarla a terra. Abbiamo rimosso circa tre lembi di carne ed è uscita una grande quantità di sangue, perché lei è paffuta. La ferita era troppo profonda e ha richiesto molto tempo per guarire”, racconta Doros.
Loise Kapande, come Doros, era una popolare tagliatrice di ragazze. Ha tagliato più ragazze di quante ne riesca a ricordare. Il suo compenso dopo il taglio era di circa 2,000 scellini a ragazza, più una ricompensa tradizionale: una coda di pecora.
“Mi veniva data la coda di pecora per il grasso che conteneva. Ce ne era molto e io dovevo estrarlo per poi berlo”, ricorda e ride, chiedendosi se quel grasso fosse davvero tanto prezioso da indurla a circoncidere i genitali di una ragazza.
Salome Kirunwa, una nonna di cinque ragazze, dichiara che le mutilazioni genitali femminili venivano portate avanti a causa dalla carenza di conoscenze nella loro cultura. Dice che lei inizialmente supportava le mutilazioni perché era la sua cultura.
“All’epoca credevamo che le mutilazioni genitali rendessero le ragazze forti, che le facessero diventare vere donne. Per questo noi le sostenevamo. Ora che sappiamo che non è una buona pratica, ma le persone vogliono ancora portarla avanti. Ho quattro figlie, ora sono delle madri, e le ho sottoposte al taglio perché non sapevo quanto fosse negativo. Non farò la stessa cosa con le mie nipoti”, dice Kirunwa. E ricorda la sua dolorosa esperienza che, ha imparato, poteva essere letale e non era necessaria.
“Il taglio è molto doloroso. Senti dolore ovunque, a partire dalla testa. Alcune tagliatrici legano le tue gambe, così che tu non possa scappare, piangi e piangi, soffri anche quando devi dare alla luce un bambino”.
Kirunwa crede che se le donne utilizzassero la loro esperienza per informare sui pericoli di questa terribile pratica, presto non ci sarebbero più ragazze sottoposte al taglio.
Come accade in una storia di successo, Kirunwa ha unito la sua voce alle speranze di altre donne come Doros e Kapande, che se da un lato sono determinate a preservare gli aspetti positivi della cultura Masai, dall’altro premono per abbandonare la pratica delle mutilazioni genitali femminili, che hanno rovinato l’immagine della comunità.
Oggi Doros e Kapande si rimpiangono di aver scelto anni fa quella strada lavorativa, nell’intento di far diventare le ragazze donne da sposare.
Tentano adesso di sfruttare la loro popolarità come “ex tagliatrici di ragazze” per convincere la loro comunità Masai a fermare le mutilazioni genitali femminili. Nelle loro comunità operano anche come levatrici e “ostetriche” tradizionali per aiutare le donne incinte a recarsi nei centri sanitari per il parto.
“Amref ci ha formato sui modi in cui possiamo aiutare le madri che stanno partorendo. Perciò ora se si verifica un’emergenza mentre le stiamo scortando all’ospedale abbiamo a disposizione guanti di lattice e sappiamo come poter essere di aiuto”, spiega Doros
Storie come quella di Doros, Kapande e Kirunwa sono alcuni degli importanti risultati di un’energica campagna condotta per salvare le bambine dalla pratica nociva delle mutilazioni e dai matrimoni precoci.
Il mondo sta per celebrare per il 14esimo anno consecutivo la Giornata Internazionale della Tolleranza Zero contro le mutilazioni genitali femminili, sancita dalle Nazioni Unite il 6 febbraio 2003. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci sono circa 125 milioni di donne e ragazze che sono state sottoposte al taglio, tre milioni di ragazze sono a rischio ogni anno.
Nonostante le mutilazioni siano fuori legge in Kenya, continuano ad essere praticate in alcune comunità, tra cui quelle Kuria, Kisii, Masai, Embu e Meru.
Amref ha lanciato la campagna "Stop the cut" – Fermiamo il taglio. Sensibilizzazione nelle comunità africane attraverso la radio, testimonianze di chi è salvo grazie ai Riti di Passaggio Alternativi e un appello alla Sierra Leone che non ha ancora dichiarato illegali le mutilazioni genitali.
(L'Huffington Post)
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