Acqua e clima come armi nelle guerre della Siria...






«Water and the roots of violent conflict in Syria». L'acqua e le radici della guerra tra Tigri ed Eufrate


La guerra più sporca e più nascosta che stanno combattendo in Siria. Francesco Ventura è analista politico che si interessa di questioni geopolitica dell’acqua in Turchia e Medio Oriente. Insegue l’acqua e trova guerre. Le ragioni di sempre dall’inizio del mondo: acqua e cibo e potere
Francesco Ventura *
Il riscaldamento globale ha iniziato da tempo ad avere effetti devastanti nel panorama politico internazionale. E tra questi vi è proprio quella crisi siriana che ha in parte oscurato il summit di Parigi sul clima.

Nel luglio 2013, James Famiglietti, professore di scienza del sistema terrestre e ingegneria ambientale e civile dell’università della California, scrisse un articolo dal titolo eloquente: “Water and the roots of violent conflict in Syria”. “L’acqua e le radici del conflitto violento in Siria.”


La diga Ataturk sull'Eufrate in Turchia
La diga Ataturk sull’Eufrate in Turchia

L’articolo si basava su uno studio condotto dal team di ricerca dello stesso professore sul deperimento delle acque di falda in Medio Oriente. Per la precisione nel bacino del Tigri e dell’Eufrate, quella che un tempo era considerata la Mezzaluna Fertile.
Rilevamenti satellitari della NASA hanno scoperto che tra il 2003 e il 2009 la regione aveva perso 144 chilometri cubici di acqua dolce. Un ammontare equivalente all’intero Mar Morto. Circa il 60% di questa perdita proveniva dalle falde acquifere, utilizzate in larga misura per l’irrigazione.

La restante parte è da imputare per lo più all’enorme progetto turco di dighe sui fiumi Tigri ed Eufrate denominato GAP, che ha diminuito il corso dei due fiumi per l’80% del totale.

Proprio la drastica diminuzione d’acqua dei due principali fiumi della regione ha indotto le popolazioni di Siria ed Iraq ad affidarsi maggiormente alle acque delle falde sotterranee. La combinazione di questi due fattori – la drammatica siccità e la riduzione delle acque dei fiumi – ha causato una forte immigrazione interna alla Siria. Dalla campagna alle città. Preludio delle contestazioni al regime di Assad del 2011, poi degenerate in guerra civile. Fino alla mobilitazione di tutte le potenze regionali e internazionali interessate all’area.

Tempesta di sabbia nel nordest della Siria
Tempesta di sabbia nel nordest della Siria

Ma è tutto il fenomeno della cosiddetta Primavera Araba a non poter essere capito senza tenere in considerazione l’elemento climatico.
Il Center for American Progress assieme al Center for Climate and Security pubblicò nel 2013 un dossier intitolato “The Arab Spring and the Climate Change”, dove veniva sottolineata l’assoluta centralità degli effetti del cambiamento climatico alla base dello tsunami geopolitico arabo del 2010-2011.

La soluzione delle sfide ambientali non è quindi separata dal resto dei problemi geopolitici mondiali. Al contrario, spesso ne costituisce il nodo centrale. E non a caso il World Economic Forum nel Global Risks Report 2015 ha individuato le crisi idriche quali rischio maggiore.
Mentre al quinto posto troviamo il fallimento delle risposte al cambiamento climatico. Ovvero il COP21.

Resta solo da vedere cosa uscirà dall’accordo finale di Parigi. Una cosa è certa: se il clima è concausa di guerre e conflitti, dovrà anche far parte della loro soluzione. In Siria come altrove.



Francesco Ventura, Master in Relazioni Internazionali e Studi Europei all’Università di Firenze. Analista politico, si interessa principalmente di Turchia, Medio Oriente, questioni energetiche e geopolitica dell’acqua. Collabora con il think tank inglese EUCERS, con le riviste italiane Limes e Altitude, e ora con RemoContro.

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