Elezioni Myanmar, il rischio di una vittoria di Pirro...




Il Paese alle urne. San Suu Kyi è in pole. Ma il potere resterà in mano ai militari. Blindati da una Costituzione irriformabile. Guida al voto tra speranza e censure.





dal Myanmar

L’8 novembre si tengono le elezioni nel Myanmar, l'ex Birmania.
Un voto storico, su cui tuttavia aleggia l'ombra di una Costituzione irriformabile, che dà poteri smisurati all'esercito.
E che potrebbe tagliare fuori dalla corsa Aung San Suu Kyi, in pole con la sua National League for Democracy (Nld).
Ecco i principali attori della contesa, i possibili scenari e le questioni maggiormente controverse

  •                                      Il Myanmar è sotto regime militare dal 1962. © Getty

1. Il contesto: un Paese povero con l'illusione della democrazia

La storia della dittatura militare birmana inizia nel 1962, quando il generale Ne Win sostituì il primo ministro U Nu e prese il potere. Sotto all'egida del Burma Socialist Programme Party (Bspp), partito unico che univa in modo spesso grottesco nazionalismo e socialismo, tutto fu nazionalizzato e la Birmania si chiuse gradualmente al mondo.
Ci furono diverse proteste guidate dagli studenti – nel 1962, nel 1974 e soprattutto nel 1988 – prima che qualcosa cambiasse. In peggio, perché i moti del 1988 furono seguiti da un “colpo di Stato” - le virgolette sono d'obbligo, dato che in realtà i militari non avevano mai abbandonato il governo - che portò al potere lo State Law and Order Restoration Council (Slorc). I dirigenti ammisero di avere commesso errori e indissero una tornata elettorale nel 1990, ma i risultati non furono mai rispettati.
SAN SUU KYI IN POLE. I birmani hanno dovuto aspettare fino al 2010 per arrivare a una finta elezione che ha portato qualche cambiamento. Nel 2011 è andato al governo lo Union Solidarity and Development Party (Usdp) guidato dall’ex generale Thein Sein, un partito dominato da ex militari che ha però implementato delle politiche relativamente liberali: più investimenti, meno censura e l'organizzazione di ‘libere’ elezioni quest’anno.
A molti queste ultime sembrano una buona occasione per riscattarsi dalle disastrose politiche degli anni passati. Quando la Birmania ottenne l’indipendenza dagli inglesi aveva molti problemi, ma era anche una delle nazioni più ricche del Sudest asiatico. A 67 anni di distanza è una delle più povere, le sue vaste risorse si perdono in corruzione e contrabbando, e la guerra civile con le minoranze etniche continua come prima.
La National League for Democracy (Nld), il partito di Aung San Suu Kyi che aveva stravinto la tornata del 1990, è il principale papabile per la vittoria. A fronteggiarla si trova lo Usdp, il partito del governo uscente legato all’esercito.

  • La candidata dell'opposizione Myat Nu Khaing arrestata a metà ottobre.

2. Le controversie: 'bavaglio' all'estero e libertà dei soldati limitata

Come alle elezioni del 2010, si sono già verificati strani incidenti, a cominciare dal voto anticipato dei residenti all’estero: secondo l’agenzia Reuters, dei 4 milioni di birmani che vivono fuori dal loro Paese di origine, solo 300 mila sono stati in grado di andare alle urne. Tutto grazie a liste elettorali sbagliate che hanno impedito alla maggioranza degli aventi diritto di registrarsi.
Ci sono forti dubbi sulla libertà dei soldati di votare liberamente - dato che il loro voto verrà espresso e controllato nelle caserme di appartenenza - e si sono già riscontrate intimidazioni e provvedimenti legali controversi.
IL CASO NU KHAING. Basti ricordare che lo scorso giovedì un candidato della Nld a Yangon è finito all’ospedale dopo essere stato accoltellato da sconosciuti, mentre nella divisione di Pegu la candidata indipendente Myat Nu Khaing è stata arrestata due settimane fa.
Nu Khaing è accusata di aver preso parte a una protesta presso l’ambasciata cinese, ma c’è un dettaglio che stona: la protesta si tenne a dicembre dell’anno scorso e altri sei attivisti che vi presero parte sono stati arrestati e condannati a maggio.
Perché la magistratura è intervenuta solo ora? È facile immaginare che la sua candidatura alle elezioni abbia giocato un ruolo in questa decisione.

  • A causa della guerra civile, in alcune province il voto è stato abolito.

3. I partiti etnici: i generali cercano di metterli all'angolo

La guerra civile del Myanmar è la più lunga al mondo ed è estremamente complicata. Gli scontri nelle aree etniche del Paese avranno un’influenza sulle elezioni, innanzitutto perché in queste aree esistono partiti ‘etnici’, cioè guidati da persone locali, che non vedono di buon occhio il governo e si contenderanno gli stessi voti della National League for Democracy.
Non è chiaro come come gli elettori si comporteranno: in partenza, risultano divisi fra coloro che istintivamente preferiscono i partiti etnici e chi invece darà il voto alla Nld nella speranza che schiacci il governo uscente.
VOTO SOSPESO IN 600 VILLAGGI. La guerra ha anche fornito una buona scusa per abolire il voto in alcune province: guarda caso, soprattutto dove lo Usdp avrebbe probabilmente perso.
Ai primi di ottobre si è saputo, per esempio, che il voto sarebbe stato sospeso a causa della guerra in 600 villaggi etnici, principalmente negli Stati degli shan e dei kachin.
Tu Ja, il capo del Kachin State Democracy Party, commentò la notizia affermando che queste aree erano quelle in cui «i partiti dei kachin erano più forti» e che la decisione avrà un «vero impatto» su questi ultimi.


  • Monaci nazionalisti del Ma Ba Tha.

4. Il nazionalismo buddista: i monaci contro San Suu Kyi

Uno dei temi più controversi della campagna elettorale e della politica birmana in genere è l’avanzata del nazionalismo buddista, impersonato dal Ma Ba Tha, un’organizzazione di monaci nazionalisti e ostili alla comunità musulmana.
Fra gli osservatori è opinione diffusa che il Ma Ba Tha sia un alleato dello Usdp: con le gerarchie militari condivide gli slogan – ‘unità’, ‘stabilità’ e ‘nazionalismo’ in primis - e i suoi membri hanno più volte chiamato gli elettori a votare per il governo uscente.
«DEMOCRAZIA A RISCHIO». I monaci radicali stanno creando notevoli problemi ad San Suu Kyi. Nonostante sia una fonte di imbarazzo per molti birmani, lo loro organizzazione gode di popolarità e la usa per demonizzare la Nld, definita più volte un ‘partito islamista’ contrario alla tradizione nazionale.
Durante una manifestazione tenutasi il 20 settembre, Myataung Sayadaw, un monaco del Ma Ba Tha, chiese alla folla come potesse «votare per un partito che supporta l’islam». A giugno Bhaddamta Vimala, segretario del Ma Ba Tha, era stato ancora più esplicito, affermando: «Voglio che questo governo abbia una seconda legislatura perché non voglio che la nostra immatura democrazia venga danneggiata».

  • L'attivista San Suu Kyi.

5. La Costituzione blindata: i militari hanno diritto di veto sul futuro del Paese

Vincere alle urne è importante, ma è nel dopo elezioni che qualunque riformatore troverà l’ostacolo più arduo da superare: si tratta della Costituzione vigente, varata dall'ex giunta militare nel 2008 con l'obiettivo non molto velato di garantire alle forze armate un posto di primo piano nel Paese.
Il testo blinda il 25% dei seggi in parlamento, escludendoli dalla competizione elettorale e destinandoli direttamente a ufficiali selezionati dall’esercito. In teoria questo si potrebbe cambiare, ma serve il 75% dei voti alla Camera, il che si traduce in un automatico diritto di veto a favore delle forze armate.
Queste ultime hanno già dimostrato di essere pronte a usarlo: il 26 giugno il parlamento fu chiamato a votare un disegno di legge che avrebbe emendato la clausola 436, quella che regola la maggioranza necessaria per modificare il testo costituzionale. Il progetto, ironia della sorte, venne ostacolato dagli ufficiali.
LA NORMA ANTI-SAN SUU KYI. La Costituzione attuale sancisce inoltre l'indipendenza dell'esercito dal potere civile. A differenza di altri Paesi, il presidente non è il capo supremo delle forze armate, che decidono da sole chi le deve guidare e hanno il diritto di assumere il controllo del Paese in caso di ‘emergenza nazionale’: una clausola che in pratica giustifica costituzionalmente un colpo di Stato.
Infine, il testo costituzionale impedisce per legge la candidatura di San Suu Kyi alla carica di presidente tramite una norma ad hoc: è la sezione 59 (f), che preclude tale carica a chi abbia parenti di nazionalità straniera.
Si dà il caso che, fra i politici di spicco, solo la Signora abbia figli con passaporto inglese (avuti dal matrimonio con il defunto Michael Aris): un dettaglio che sicuramente non è sfuggito ai generali quando hanno hanno programmato la «transizione birmana alla democrazia»...
(Lettera 43)


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