Big Tobacco ai ferri corti: la partita italiana...




I colossi delle sigarette sfidano uniti le e-cig. Ma litigano sul tabacco riscaldato: Philip Morris è il solo produttore. E Bat, Itg e Jti si oppongono. A suon di lobbisti.




di Stefano Caliciuri


Di rado intervengono pubblicamente, quasi mai prendono posizione, spesso agiscono all’ombra dei palazzi.
Ma i risultati li ottengono, eccome. Sono le lobby del tabacco. Considerate tra le corporazioni più silenziose e potenti, da circa tre anni stanno scontrandosi in una vera e propria battaglia senza quartiere per salvaguardare (dal loro punto di vista, s’intende) un mercato che in Italia vale solo di imposte circa 12 miliardi di euro.
Nonostante si possa pensare che siano un blocco compatto (celebre la definizione di Big Tobacco), in realtà tra loro i rapporti non sono mai stati conflittuali come oggi.
British American Tobacco, Imperial Tobacco Group, Japan Tobacco International e soprattutto Philip Morris International stanno giocando una partita senza esclusione di colpi.
Unite contro il comparto e-cig only e, al loro interno, divise dai singoli interessi.

Le squadre in campo: da British American Tobacco a Philip Morris

Recentemente, Philip Morris ha inaugurato in pompa magna alla presenza del premier Matteo Renzi un nuovo stabilimento in Emilia Romagna: 600 lavoratori per un investimento di mezzo miliardo di euro per produrre le “nuove” sigarette, per le quali ha già ottenuto uno sconto del 50% sull’accisa.
Sempre Pmi ha chiuso un accordo da 500 milioni sino al 2020 per l’acquisto di tabacco italiano.
Imperial Tobacco punta invece il mercato delle e-cig. Attraverso la controllata Fontem Ventures è stata la prima multinazionale a lanciare la sigaretta elettronica in Italia, puntando sul ben rodato canale delle tabaccherie con il benestare della Federazione Italiana Tabaccai.
BAT, PRIMA FINANZIATRICE DI FONDAZIONE OPEN. Proprio la Fit, dopo anni di aspre polemiche e contrapposizioni, ultimamente pare aver accettato la coesistenza tra tabacco e prodotti elettronici lanciando anche un proprio marchio.
British American Tobacco nel 2014 aveva promesso 1 miliardo di investimenti nelle e-cig, ma a tutt’oggi distribuisce e vende solo a Firenze, ma dovrebbero seguire entro sei mesi Roma, Milano e Napoli.
Per contro, lo stabilimento produttivo di Lecce, seppur ceduto, è costantemente sull’orlo del fallimento tanto che i lavoratori sono in mobilitazione oramai da anni, e per Bat è un problema nonostante un rapporto 'preferenziale' col governo essendo la prima finanziatrice della Fondazione Open di Renzi.
JTI PUNTA FORTE SULLE SPONSORIZZAZIONI. Last but not least, Japan Tobacco. La multinazionale con gli occhi a mandorla in questi ultimi tempi sta “lavorando” moltissimo sulla comunicazione (finanzia il teatro La Scala di Milano e sponsorizza mostre culturali e festival del Cinema di Roma) e nel 2016 dovrebbe approdare anche in Italia con le e-cig, ma è pronta a guerreggiare con Philip Morris sul tabacco cosiddetto riscaldato con nuovi prodotti in corso di sviluppo.
Il player nuovo è invece Anafe Confindustria, che raggruppa i produttori del settore fumo elettronico. Stretti nella morsa del fisco, colpiti da leggi “ad personam”, che hanno affossato le vendite ufficiali, causando la chiusura di circa 3 mila punti vendita e la fuga verso i siti web esteri di circa l’80% dei clienti, con aziende italiane in piedi oggi solo grazie alle esportazioni e al supporto di legali e lobbisti di prim’ordine.
STOP AI PACCHETTI DA 10. Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha recepito per decreto la trasposizione della Direttiva 2014/40: dal divieto di fumo in auto se si trasporta una donna incinta o un minorenne all'abolizione delle confezioni da 10 e delle sigarette con aromi che aumenterebbero il desiderio di tabacco, passando per nuove immagini choc sui pacchetti.
Per le e-cig, oltre a pesanti imposizioni burocratiche, sono previste anche norme restrittive sulla vendita online (vietate le transfrontaliere ai consumatori italiani e consentite le online unicamente ai soggetti autorizzati). 

La guerra delle lobby sul tabacco “riscaldato”

Contrariamente ai pacchetti di sigarette, per i flaconi di liquido il governo ha introdotto un limite massimo di vendita: 10 ml per flacone.
Così, mentre le Big Tobacco potranno impacchettare i loro prodotti in confezioni 'formato famiglia' dovendo rispettare solo un limite minimo (20 sigarette), i produttori di eliquid non potranno razionalizzare la loro produzione e distribuzione attraverso, ad esempio, la vendita di flaconi da quarto di litro, che avrebbe portato risparmi su imballaggi ed etichettatura. 
SCONTRO SULLA DICITURA «A RISCHIO RIDOTTO». Sempre in tema di Direttiva, lo scontro di lobby più duro si è giocato sui “prodotti di nuova generazione”.
L’unico attualmente sul mercato in Italia è la iQos di Philip Morris, azienda che sul nostro paese (e in Giappone) ha puntato per dare una visione del futuro «a rischio ridotto», sottolineato continuamente in conferenze pubbliche e incontri con gli analisti.
Un futuro però posto a rischio da due aspetti: il primo, la risposta dei consumatori che, a detta dei vertici Pmi non è stata entusiasmante.
LE OBIEZIONI DEGLI ESPERTI. L’altro aspetto è tecnico, ma fondamentale. È stato reso noto recentemente uno studio sulle emissioni dei prodotti a tabacco riscaldato (da alcuni definiti heat-and-burn) curato da Steve Stotesbury, ‎head of Regulatory Science di Imperial Tobacco.
Lo studioso, nel corso di un intervento al recente Global Nicotine and Tobacco Forum, ha dichiarato che «le sostanze chimiche prodotte o emesse da device come la iQos sono in gran parte simili a quelle che si ritrovano nel fumo di sigaretta».
Parole molto dure cui hanno fatto eco quelle di due esperti di livello internazionale come i medici Polosa e Farsalinos, che hanno sollevato dubbi per l’assenza di studi pubblici peer reviewed sulla iQos.
IL VUOTO NORMATIVO. Il testo approvato dal Consiglio dei ministri ha 'accontentato' in parte le richieste del colosso statunitense, riconoscendo il dispositivo un ibrido tra le e-cig (non vaporizza) e la sigaretta tradizionale (non ha combustione), e definendolo dunque un «prodotto di nuova generazione».
Vigono le regole generali sul divieto di vendita ai minori, ma molta incertezza rimane ancora sulle ricariche e sulle quantità commerciabili.
Il governo dovrà necessariamente colmare questo vuoto, a meno che, come da indiscrezioni, Philip Morris non decida di ritirare il prodotto dal mercato italiano.
Sarebbe una mezza sconfitta per un colosso che nei nostri Palazzi conta circa 80 lobbisti, un numero cinque volte superiore a quello di tutte le altre multinazionali messe insieme...
(Lettera 43)

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