Ventimiglia, tra i migranti accampati negli scogli...




Sono migranti di serie B, che Europa e Francia non vogliono. Fermi da mesi. Sospesi come il loro destino. L43 tra gli scogli dove si accampano i profughi.





Mentone, «perle de la France est heureuse de vous accuellir». È questo il primo cartello che, chi arriva da Ventimiglia lasciando l'Italia, trova sulla sua strada.
La perla della Francia è contenta di accogliervi. Firmato Elisée Reclus.
Un paradosso nel paradosso. Perché Reclus era un anarchico simpatizzante della Comune di Parigi mandato in esilio per motivi politici. Un esule continua a dare il benvenuto ad altri esuli che, esattamente come lui, la Francia caccia.
RIMBALZATI COME PING PONG. Quella scritta S. l'ha bene in mente, visto che l'ha letta sette volte. Viene dal Sudan, ha 29 anni e come centinaia di altri migranti ha tentato di oltrepassare la frontiera. Puntualmente fermato dalla Gendarmerie che l'ha rimbalzato, come una pallina da ping pong, ai colleghi italiani, dopo aver passato sei ore in un container o essersi preso qualche manganellata. E poi via, di nuovo al centro della Croce Rossa che si trova a fianco della stazione.
Almeno fino alla prossima volta: in treno, a piedi per i sentieri di montagna, o a bordo dell'auto di un passeur che chiede dai 100 ai 300 euro, poco importa. L'importante per S. è raggiungere la Normandia dove, racconta a Lettera43.it, «ci sono amici che ce l'hanno fatta e lo stanno aspettando».
 
  • Il cartello di benvenuto a Mentone a pochi metri dai Balzi rossi di Ventimiglia.



Il presidio No-Borders sugli scogli del Balzo rosso

Ventimiglia, settembre 2015.
Sono passati tre mesi da quando centinaia di migranti si accamparono sugli scogli del Balzo rosso, lungo il confine italo-francese.
Ma se le telecamere di mezza Europa se ne sono andate, traslocando in altre frontiere calde come quelle ungheresi e serbe, loro sono rimasti lì. Aggrappati a quegli scogli e alla speranza di poter passare di là.
LA VITA NELLA BOLLA. In quei giorni è nato un presidio, una «bolla» come la chiamano i suoi abitanti. Dove i migranti non sono «accolti», perché spiega uno degli organizzatori «non imponiamo loro di omologarsi, di accettare la nostra cultura». Nella bolla ci si confronta da pari, si gioca a pallone, si nuota, si mangia, si dorme - sui materassi o in tenda - e si suona la chitarra insieme.
I volontari, tra cui alcuni medici francesi che tre volte la settimana prestano il loro soccorso con una unità mobile, organizzano corsi di francese e di italiano. Ma ce ne sono anche di arabo e gli insegnanti sono gli stessi migranti.
«COME CHIEDERE ASILO». Senza dimenticare il sostegno legale. «Spieghiamo loro che devono solo chiedere asilo», spiega un no-border. «Nient'altro: non devono aggiungere che cercano una vita migliore o un lavoro». La parola della salvezza (se mai ce n'è una) è «asilo».
 
  • Il presidio No-Borders dall'alto.

La Francia richiude le frontiere? «Ma se non le ha mai aperte»

Arrivano da tutta Europa questi «solidali». E la loro protesta è politica. «No Borders», nessuna frontiera è scritto in ogni lingua lungo i lenzuoli che delimitano l'area.
Si ride alla notizia che la Francia intende richiudere le frontiere. Perché le frontiere, Parigi, qui non le ha mai aperte. «Ha solo anticipato l'Ungheria», si dice in città.
Il presidio, a ridosso del confine, però dà fastidio.
FOGLI DI VIA E PROVOCAZIONI. Molti ragazzi hanno ricevuto fogli di via. Sono osservati da telecamere, identificati.
G., per esempio, stava passeggiando lungo la frontiera alta ed è stato fermato dalla polizia italiana. Due agenti gli hanno chiesto i documenti e fatto domande. Fino a quel: «Segnati questo nome, lo teniamo d'occhio».
Non mancano gli aiuti: chi può porta provviste, vestiti, dà una mano. Recentemente ha dato la propria disponibilità anche un gruppo di madri della Costa Azzurra.
LA SENTENZA ANTI-CIBO. E dire che a luglio il sindaco Enrico Ioculano aveva emesso una ordinanza in cui vietava ai non autorizzati - e cioè ai cittadini - di portare cibo ai migranti per il rischio di «tossinfezioni alimentari». Una decisione che come prevedibile alla bolla è stata interpretata come una provocazione.
 

Le storie di chi vive ancora sugli scogli si assomigliano tutte.
Un 25enne sudanese sta stendendo un paio di calzoni sotto un ombrellone piantato tra le pietre. Vive in una tenda poco distante, è qui da quasi un mese. Ha un sorriso bianchissimo e sorride. Vuole andare in Francia, deve andare in Francia, ripete. «Per vivere in pace». E nulla potrà fargli cambiare idea.
Qualcuno in effetti passa. E lo si sa perché semplicemente non si vede più tra le tende. Magari riesce a eludere i controlli di notte. O sale per i monti sperando di non essere notato.
IL BUSINESS DEI PASSEUR. C'è anche chi ha cercato di oltrepassare il confine con i passeur. Spesso si tratta di nordafricani con macchine targate Francia.
Si muovono in due: un'auto che fa da sentinella seguita da un furgoncino che carica fino a 20 migranti.
Ma la maggior parte delle volte il viaggio non va a buon fine. I migranti vengono derubati, picchiati. E raggirati: «Un ragazzo», racconta G. «è stato portato a Torino. Un altro ha pagato 100 euro da Ventimiglia centro alla frontiera: sette chilometri».
L'OMBRA DELLA 'NDRANGHETA. Il sospetto è che dietro alla rete di passeuragisca la 'ndrangheta che a Ventimiglia - e in tutto il Ponente ligure - ha ancora la sua roccaforte. Non a caso il Comune è stato sciolto per mafia nel 2012.
La città alta sembra ancora un paese della Calabria. E il traffico dei migranti è un business al quale è difficile resistere.
Ormai è sera alla bolla. In fondo, sugli scogli, due migranti cedono al sole di settembre e si tuffano in mare. Anche se il mare per molti rappresenta la morte. Non solo molti di loro non sanno nuotare, ma «il primo approccio che hanno avuto con l'acqua salata è stato durante il viaggio in barcone».
Un imprinting difficile da superare.

La vita al campus della Croce Rossa

  • Il dormitorio del Campus Cri.

Il numero più importante di migranti ha trovato rifugio al campus della Croce Rossa, a fianco della stazione ferroviaria.
Ora gli ospiti sono 171, ma sono arrivati fino a 200. Tre i bambini e otto le donne. Sono sudanesi, del Mali. Ma anche pachistani.
I RESPINGIMENTI DI MINORI. Non mancano i minori non accompagnati che vengono sistemati in case famiglia nelle vicinanze. La Gendarmerie non chiude un occhio per loro anzi, li rispedisce indietro come gli adulti.
Al centro, i migranti hanno la possibilità di farsi visitare da un medico, possono usufruire di tre pasti al giorno e di una brandina. Non sono identificati, sono liberi di muoversi. «Diamo loro solo un ticket che permette di entrare al campo», spiega a Lettera43.it Valter Muscatello, «sopra c'è solo un numero che non è nemmeno registrato».
A giugno l'organizzazione poteva contare sull'aiuto di molti volontari. Poi con l'autunno la situazione è cambiata. «Ora l'80% del campo funzionava su base volontaria», sottolinea Muscatello tradendo una certa stanchezza. Ora a lavorarci sono rimasti i dipendenti.
LA SPOLA CENTRO-FRONTIERA. Mentre parla, arriva un furgone della Croce Rossa. Non è il primo della giornata: fa la spola dalla frontiera e riporta indietro i migranti respinti dai francesi, un po' come un taxi.
Molti si rifiutano di entrare nella struttura, prendono i loro zaini e si incamminano verso i binari. Altri restano: per qualche giorno, o per qualche settimana.
LUNGO IL SENTIERO DELLA MORTE. Anche qui, come al presidio, le facce cambiano. Si arriva in Francia magari a piedi, lungo il sentiero della morte, ribattezzato poi della speranza. Un vecchio passaggio che da Olivetta San Michele arriva a Sospel, in Francia, attraverso il Colle Tenda. Pericoloso di giorno, figurarsi di notte. Ma tanto vale provare e rischiare la vita. Un'altra volta.
La polizia francese è intransigente. «L'altro giorno», racconta un poliziotto di guardia al centro, «ho visto un signore extracomunitario con il permesso di soggiorno in regola. Voleva prendere il treno a Mentone, senza doversi fare 7 km di strada. Non l'hanno fatto passare. Sono intervenuto, ma non c'è stato niente da fare». Alla faccia di Schengen.
E dire che per decenni attraverso le vecchie frontiere sono passate armi e droga. Ma per gli uomini no, si fa un'eccezione.
MIGRANTI DI SERIE B. Quelli di Ventimiglia sono migranti di serie B, che l'Europa e la Francia non vogliono. Anche se portano sul loro corpo i segni della guerra. Come un 29enne del Darfur. Si alza la maglietta e mostra i segni dei proiettili sparati dalle milizie.
«Ho provato sette volte ad andare in Francia», dice amaro. Vicino a lui un 39enne del Mali. «Lavoro coi computer», racconta.
Hanno pagato 2.000 e 2.500 dollari per attraversare il Mediterraneo.
Il primo dalla Libia, il secondo dall'Egitto. Hanno lasciato figli e mogli a casa, in Africa. E resteranno qui finché non riusciranno a passare.
 
  • Le cicatrici dei proiettili.

E poi c'è la gente di Ventimiglia travolta dall'emergenza. «Ora la situazione si è normalizzata», ammette un albergatore, «a giugno la stagione ne ha risentito. Poi a luglio e agosto abbiamo lavorato come al solito».
LA PROVA DI FORZA FRANCESE. Lui, che ha l'hotel vicino alla stazione, ipasseur li ha visti: «Sono sempre gli stessi: si avvicinano ai migranti e si mettono d'accordo». Sono francesi, italiani, nordafricani. Anche se ultimamente il traffico è diminuito: «Da quando la polizia francese ha arrestato e condannato a tre anni per direttissima un italiano trovato a Mentone con alcuni stranieri a bordo, le cose sono cambiate».
Una prova di forza del governo di Parigi. Un avvertimento: «Ecco cosa vi capita se ci provate».
Il problema vero è che la Costa Azzurra i neri non li vuole. Deve tutelare il turismo e l'allure delle sue località. «E smettete di chiamarci cugini», si arrabbia un tassista, «se ci potessimo sparare lo faremmo. E non da oggi. A me fanno pena questi poveretti, ma non possiamo continuare così».
LA RABBIA DEI CITTADINI. La pensa diversamente una signora russa, in Italia da 20 anni: «Quando sono arrivata io, nessuno mi ha regalato nulla. Ho fatto i documenti, ero in regola. Non capisco perché a loro tutto è dovuto, anche il pesce spada alla mensa».
Le sue amiche, assicura, passano la frontiera ogni giorno e senza problemi. Vanno a lavorare nella zona industriale del Principato di Monaco. Loro possono essere migranti...
(Lettera43)

Commenti

AIUTIAMO I BAMBINI DELLA SCUOLA DI AL HIKMA

Post più popolari

facebook