Srebrenica, la voce dei sopravvissuti alla strage del 1995...




La fuga nei boschi. Tra mine e cani da caccia. Hasan racconta come è scampato all'eccidio serbo di 8 mila bosniaci musulmani. «Quella paura non la scordo».



di Nicole Di Giulio e Antonella Spinelli



Una luce pallida illumina migliaia di lapidi.
Tutto intorno, a fare da madri e da custodi, ci sono le montagne.
Quelle stesse montagne, quegli stessi boschi dove 20 anni fa i serbi trucidarono più di 8 mila bosniaci musulmani.
I loro corpi oggi riposano qui, al Memoriale di Potočari, inaugurato nel 2003 dall’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton.
Ogni anno vengono celebrati i funerali delle vittime di Srebrenica. I resti di molti bambini e adulti ancora aspettano di essere trovati nelle fosse comuni scavate dagli uomini di Ratko Mladić, il braccio esecutivo dei dirigenti politici serbi.
RICOPERTI DA RIFIUTI. Le fosse comuni spesso sono anche state ricoperte dai rifiuti, con calce e cemento per cancellare del tutto l’identità delle vittime.
Potočari oggi è un luogo di memoria.
Nei compound dove alloggiavano i caschi blu olandesi regna il silenzio.
Sono lontani i giorni del luglio del 1995, quando qui vennero ammassate centinaia di persone che pensavano di trovare un rifugio sicuro sotto il cappello delle Nazioni unite.
Quello che accadde è storia. In una settimana si consumò una delle pagine più nere della storia.
GENERAZIONE PERDUTA. L’Europa conobbe di nuovo i campi di concentramento e gli stermini di massa, realizzati con lucida sistematicità.
Un’intera generazione di uomini fu cancellata. Alcuni però riuscirono a salvarsi. E la loro voce è fondamentale per ricordare e fare giustizia.
Una di queste è quella di Hasan Hasanović.
IN FUGA DALLA SERBIA. Negli anni della guerra lui e la sua famiglia lasciarono la casa di Bajina Basta, in Serbia, per rifugiarci a Sulice, pochi chilometri da Srebrenica, in Bosnia.
Il loro viaggio, di villaggio in villaggio, era però solo all’inizio.

Nel 1993 Srebrenica era zona protetta dall'Onu

Nel 1991 la famiglia di Hasan Hasanović decise di riparare nella cittadina di Bratunac, ma i serbi arrivarono anche lì; così Hasan, il fratello gemello Husein, il padre, la madre e il fratello più piccolo si spostarono a Srebrenica che nel 1993 era stata dichiarata zona protetta dall’Onu.
Le Nazioni unite imposero la demilitarizzazione solo ai musulmani bosniaci (i bosniacchi) che si trovarono inermi ad affrontare l’esercito serbo.
PULIZIA ETNICA. Un esercito organizzato e forte di gruppi paramilitari ultranazionalisti come le Tigri di Arkan e gli Scorpioni Rossi: uomini che avevano come obiettivo quello di compiere una pulizia etnica.
L’11 luglio Srebrenica cadde sotto il fuoco serbo.
Era iniziata l’offensiva finale. Era cominciata la settimana decisiva in cui  - parole di Mladic - i serbi cristiano ortodossi si sarebbero vendicati sui musulmani per le conquiste fatte dagli ottomani cinque secoli prima.
LA VIA DEI BOSCHI. «Aspettavamo che le Nazioni unite facessero qualcosa, che ci proteggessero. Bastava una chiamata per salvarci. Ma non è arrivata. Per questo io, mio fratello gemello Husein e mio padre abbiamo deciso si prendere la via dei boschi. Di lasciare Srebrenica e cercare di raggiungere Tuzla, la città libera».
Hasan salutò la madre e il fratello più piccolo per iniziare un viaggio verso la salvezza.
Aveva 20 anni, Hasan, ed era terrorizzato. Un video girato dai serbi lo ritrae mentre cammina per i boschi. Lo sguardo vuoto, il volto scavato dopo giorni senza cibo né acqua.

Granate, mine e cani sguinzagliati

«Eravamo in tanti, una colonna di uomini di età compresa tra i 12 e i 65 anni. Non avevamo armi ed eravamo tutti civili. Non potevamo combattere contro i serbi né difenderci. Nei boschi trovammo tante insidie: le granate, le mine e poi i cani che i serbi sguinzagliavano per trovarci».
Questi uomini stremati cercarono disperatamente di vincere la morte. In pochi ci riuscirono.
FREGATI CON L'INGANNO. «I serbi erano furbi. Se trovavano uno di noi che era rimasto indietro rispetto al resto del gruppo, gli dicevano che lo avrebbero protetto. Gli davano da mangiare e gli dicevano di chiamare gli altri. Molti padri hanno chiamato i figli credendo che i serbi non gli avrebbero fatto nulla e invece li uccisero tutti».
Lo sguardo di Hasan cambia e il suo tono si fa più cupo. «Nel percorso ho perso mio padre Aziz e mio fratello gemello Husein. Sono stati uccisi da qualche parte, ma non so dove. Forse mio fratello è stato ammazzato in una vecchia scuola dove anni più tardi sono state trovate macchie di sangue».
Hasan però è riuscito a sopravvivere. Ha raggiunto la città libera di Tuzla.
I VIDEO IN TELEVISIONE. «Quello che ho vissuto è stato terribile, non lo posso dimenticare. Per tutta la vita sentirò il rumore delle granate, dei cani. Per sempre ricorderò la brutalità dei serbi. Loro filmavano tutto quello che potevano perché uccidere noi musulmani voleva dire diventare eroi. Anni più tardi, una televisione serba pubblicò questi video e si venne a scoprire che in realtà, durante e dopo la guerra, erano stati persino trasmessi nei cinema. Per i serbi quelle immagini erano la prova della loro grandezza, erano dei trofei di cui vantarsi».

Gli aguzzini chiedevano alle vittime: «Avete paura?»

In uno dei video girati dagli Scorpioni Rossi sono immortalati alcuni ragazzi musulmani.
Un serbo si avvicina a un giovane che giace a terra terrorizzato.
Gli parla all’orecchio e gli chiede: «Hai paura?». Questa era la domanda che gli aguzzini ponevano continuamente alle loro vittime.
Hasan di paura ne aveva tanta, ma la voglia di vivere è stata più forte.
MADRE E FRATELLO SALVI. Dopo giorni di marcia, dopo aver visto i compagni morire, Hasan raggiunse Tuzla dove riabbracciò la madre e il fratello più piccolo.
«Oggi lavoro al Memoriale e cerco di far conoscere al mondo la mia storia e quella dei tanti che non ce l’hanno fatta. La memoria è fondamentale affinché tutto questo non accada più».
COMUNITÀ ANCORA DIVISE. Quando si parla dei rapporti tra le due comunità, quella cristiano-ortodossa e quella musulmana, fa un sospiro.
«Le scuole sono divise, serbi da un lato e musulmani da un altro. I programmi scolastici sono diversi. I bambini che crescono nella Republika Srpska, il territorio serbo della Bosnia, ignorano ciò che è accaduto. Il genocidio di Srebrenica per loro non c’è mai stato»...
(Lettera 43)

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