Rifugiati siriani: la risposta del mondo alla crisi? Solo il 2,2 per cento...
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Si può discutere sulle cause della guerra che sta devastando la Siria da ormai quattro anni, se sia frutto di una rivolta di popolo contro la dittatura o di un complotto eterodiretto per spodestare il presidente Bashar al-Assad.
Ma c’è qualcosa di più urgente da affrontare: gli effetti di quella guerra. Su quelli c’è poco da discutere: devastazione, crimini di guerra e contro l’umanità. E quattro milioni di rifugiati. Il 95 per cento di loro è ospitato in soli cinque paesi, quattro dei quali confinano con la Siria: Giordania, Turchia, Libano e Iraq. Il quinto è sempre in zona, l’Egitto.
È normale. Chi conosce bene la storia dei rifugiati sa che, con poche eccezioni, quando scoppia un conflitto si cerca riparo nel paese più prossimo, perché non si hanno altri mezzi per andare più lontano e perché si spera che il ritorno sia immediato e agevole. Del resto, l’86 per cento dei rifugiati nel mondo si trova nei paesi in via di sviluppo.
Chi ha maggiori disponibilità economiche o chi riesce a vendere tutto per trovare i soldi per il viaggio, prova ad arrivare in Europa. Potrebbe farlo semplicemente e in modo sicuro, prendendo un aereo dalla Turchia o dal Libano verso uno scalo europeo.
Nell’impossibilità di chiedere asilo in modo legale in Europa, quell’aereo viene sì preso ma con destinazione qualche capitale africana, dove inizia il viaggio nelle mani dei trafficanti verso la Libia. Da qui, nel 2015, è arrivato il 33 per cento dei cittadini stranieri giunti alla frontiera marittima europea.
Ma torniamo al 95 per cento di rifugiati siriani che ha trovato un precario riparo nella regione.
Più di tre milioni di rifugiati siriani si trovano in Turchia e Libano. In questo paese, una persona su cinque è un rifugiato siriano.
Di fronte a questa situazione, le autorità di Beirut hanno alzato bandiera bianca, introducendo dall’inizio dell’anno misure sempre più restrittive sull’ingresso dei rifugiati siriani. Il loro numero è calato e diversi di loro sono stati respinti in mezzo alla guerra.
Che ha fatto la comunità internazionale per fronteggiare una delle peggiori crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale, che vede oltre il 50 per cento della popolazione di un paese sfollata?
Poco o nulla.
L’appello umanitario delle Nazioni Unite per fronteggiare la crisi dei rifugiati siriani in Libano è stato finanziato per appena il 23 per cento del necessario. Così, ogni rifugiato siriano in Libano riceve al mese assistenza alimentare equivalente a 16,9 euro, poco più di 50 centesimi al giorno. In Giordania, oltre l’80 per cento dei rifugiati siriani vive al di sotto della soglia di povertà della popolazione locale.
I posti per il reinsediamento messi a disposizione dai paesi più ricchi sono meno di 90.000, ossia il 2,2 per cento del totale del rifugiati siriani.
Di fronte a questi dati, parole come “solidarietà” e “condivisione” suonano vuote. Buone per un comunicato stampa al termine di uno dei tanti vuoti vertici in cui più che a salvare vite umane si pensa a salvare la faccia...
(AgoraVox)
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