Isis, dodici mesi fa la conquista di Mosul...



Esattamente un anno fa Mosul cadeva nelle mani dei militanti del Da‘ish, segnando l’inizio di una nuova fase per il movimento sorto nel 2003 sulle ceneri del regime iracheno di Saddam Hussein. Pochi giorni dopo, il 24 giugno, Abu Bakr al-Baghdadi veniva proclamato nuovo “califfo” e Isis decideva di superare la propria specifica connotazione territoriale per puntare a una dimensione globale. L'analisi




Esattamente un anno fa Mosul cadeva nelle mani dei militanti del Da‘ish, segnando l’inizio di una nuova fase per il movimento sorto nel 2003 sulle ceneri del regime iracheno di Saddam Hussein. Pochi giorni dopo, il 24 giugno scorso, infatti, Abu Bakr al-Baghdadi veniva proclamato nuovo “califfo” e Isis decideva di superare la propria specifica connotazione territoriale per puntare a una dimensione globale. Un passaggio, questo, esplicitato da un cambio di nome (da Stato Islamico dell’Iraq e di al-Sham a Stato Islamico tout court - Is) che mirava a fare del movimento il nuovo punto di riferimento non solo dell’universo jihadista, ma dell’intera comunità islamica.

A distanza di un anno da quei tragici eventi, qual è la situazione di Is? Quali le sfide che deve affrontare e quali le vittorie ottenute?

I punti di forza

Innanzitutto, tenendo fede a uno dei suoi motti più conosciuti (Baqiya wa Tatamaddad – rimanere ed espandersi) e contraddicendo le previsioni di una nutrita schiera di analisti, il sedicente Stato Islamico non solo è riuscito a resistere ai suoi molti nemici locali e a livello internazionale, ma si è dimostrato capace di estendere la sua area di influenza su un territorio ben più ampio di quello che controllava nella primavera del 2014. Certo, ha subito importanti battute di arresto (a Kobane o nella battaglia che lo ha portato lo scorso anno ad avvicinarsi pericolosamente a Erbil) e ha perso territori connotati da un significativo peso geo-strategico (come Amerli,  Tikrit e, in parte, Baiji), ma ha dimostrato di poter condurre contemporaneamente campagne complesse in aree distanti tra loro, come avvenuto in occasione della presa in rapida successione di Ramadi (in Iraq) e di Palmira (in Siria), solo per citare gli episodi più recenti e conosciuti.

Il movimento è riuscito, inoltre, a superare quella che era indicata come una delle prove più dure da affrontare: la gestione di territori e comunità da sempre fortemente ostili a qualsiasi forma di autorità esterna e la fornitura di servizi essenziali alla popolazione. Nel primo caso, il risultato è stato raggiunto attraverso una strategia che, ricorrendo al modello “colpirne uno per educarne cento”, ha chiarito come Is non sia disposto a tollerare alcuna opposizione al proprio dominio e che sia pronto a ricorrere all’intera panoplia di strumenti in suo possesso per spegnere sul nascere qualsiasi tentativo di sedizione. Basti ricordare, a tal proposito, la sorte di centinaia di membri delle tribù Shaitat e al-Bu Nimr, massacrati perché avevano sfidato l’autorità di al-Baghdadi, o le punizioni inflitte quotidianamente a cittadini rei di aver violato le norme imposte dal gruppo, come testimoniato dall’impiccagione di ragazzini condannati per aver guardato alla televisione una partita della nazionale di calcio irachena.

Anche sul piano dei servizi offerti alla cittadinanza e dell’amministrazione del territorio, Is pare tutt’altro che aver fallito. Sebbene non sia possibile avere riscontri certi all’interno delle aree occupate, fonti locali paiono confermare come il movimento sia riuscito a garantire alcuni servizi essenziali alla popolazione, dedicando a tal fine ingenti risorse e addivenendo a una riforma completa di interi comparti dell’amministrazione pubblica. Esempi lampanti sono il settore della giustizia e dell’educazione, ma anche aree apparentemente più marginali, come la manutenzione delle strade o la raccolta dei rifiuti.

Oltre ai successi ottenuti in Iraq e in Siria, Is ha potuto anche contare sul sostegno crescente fornito da formazioni jihadiste operanti in teatri spesso molto distanti dal core del movimento. Tra essi spiccano Ansar Bayt al-Maqdis (Egitto) e Boko Haram (Nigeria), entrati nella rete del movimento e divenuti governatorati (wilaya) di una realtà pensata per inglobare l’intero Dar al-Islam. Egualmente rilevanti sono stati i progressi ottenuti dal “califfato” nell’attrarre nuove reclute provenienti dai quattro angoli del globo – volontari che sempre più spesso vedono in Is un punto di riferimento ben più appealing della “vecchia” al-Qa‘ida.



Le debolezze

Eppure il nuovo “califfo” e le sue coorti non sono invincibili né sono privi di punti deboli. Laddove poste di fronte ad avversari organizzati e motivati, le forze di Is hanno faticato non poco, andando incontro anche a cocenti sconfitte. Sebbene tale dinamica si sia manifestata in maniera più evidente in Iraq, grazie anche al sostegno di Iran e Stati Uniti ai diversi attori impegnati sul campo, anche sul teatro siriano non mancano oppositori potenzialmente in grado di infliggere perdite significative alle forze di al-Baghdadi - e non solo tra le fila del YPG (unità di protezione popolare) curdo. Seppur “indigeste” tanto a Washington quanto a Teheran, le formazioni riunitesi sotto la bandiera del Jaish al-Fatah (esercito della conquista), che hanno recentemente conquistato la quasi totalità della provincia di Idlib, sono tutt’altro che vicine alla posizioni di Is e alcune di loro si sono già scontrate in passato col movimento di al-Baghdadi uscendone vincitrici. Paradossalmente, il loro far esplicito riferimento alla galassia salafita e jihadista e il loro essere in aperto contrasto con Is le rende avversari particolarmente temibili non solo sui campi di battaglia ma anche a livello ideologico e propagandistico. Seppur non possano essere questi i “boots on the ground” a lungo invocati per sconfiggere al-Baghdadi, tali movimenti possono paradossalmente rivelarsi un “nemico-nemico del mio nemico” utile per fermare l’avanzata del Da‘ish, almeno sino al momento in cui la comunità internazionale si deciderà ad abbandonare una strategia incentrata sul ricorso esclusivo a campagne aeree che non possono di per sé essere risolutive.

Anche sul piano dei servizi alla popolazione, al netto delle inaspettate capacità di Is, è lecito aspettarsi un logorio che non potrà che crescere nel tempo. Pur con tutte le sue risorse e le sue capacità, difficilmente il movimento di al-Baghdadi potrà garantire standard adeguati alle necessità e alle aspirazioni di una cittadinanza tutt’altro che coesa nel suo sostegno al “califfo”. Le misure draconiane imposte sul territorio, la fedeltà assoluta pretesa nei confronti dei diversi attori locali e l’opprimente cappa di terrore alimentata dal Da‘ish hanno lasciato strascichi profondi sul tessuto sociale che potrebbero favorire l’insorgere di una crescente opposizione interna, soprattutto qualora Is dovesse andare incontro a pesanti e ripetute sconfitte sul campo. Una possibilità, questa, che si è rivelata determinante in passato e che nemmeno le recenti dichiarazioni di fedeltà ad al-Baghdadi rilasciate da importanti leader tribali potrebbero escludere in futuro.

La crescente popolarità acquisita da Is a livello internazionale, infine, non deve essere interpretata come un fenomeno inarrestabile e destinato a trasformare l’intero Dar al-Islam in un feudo del “nuovo califfo”. In primo luogo, la stragrande maggioranza della comunità islamica ha rigettato le posizioni del movimento. Secondariamente, persino all’interno della galassia jihadista si è registrata una forte opposizione alla linea assunta dal movimento. Inoltre, se è vero che il fascino esercitato dal Da‘ish sui foreign fighters rimane elevatissimo, è altrettanto evidente come non tutte le formazioni recentemente affiliatisi al sedicente Stato Islamico siano al livello di Boko Haram. La stessa Ansar Bayt al-Maqdis, divenuta dopo la sua entrata in Is Wilaya Sina’, ha dovuto far fronte a una spaccatura tra le sue fila che ha comportato una non trascurabile riduzione del suo peso specifico e, in ogni caso, non può essere assimilata - per capacità operative e seguito - al gruppo operante in Nigeria. Un discorso analogo può essere fatto per le formazioni attive in Libia e, ancor di più, per quelle attive in teatri più marginali la cui rilevanza, seppur innegabile, non deve essere sopravvaluta.



A un anno di distanza, quindi, appare evidente come la strategia adottata per contrastare il sedicente Stato Islamico si sia rivelata inadeguata. Is in questo momento non solo è nettamente più forte di dodici mesi fa, ma diventa una minaccia più rilevante ogni giorno che passa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che mentre la comunità internazionale si interroga su quali misure mettere in campo, Is consolida le sue posizioni, accreditandosi come una realtà sempre più assimilabile a un vero e proprio stato, capace di irradiarsi sul territorio e di far breccia nelle coscienze soprattutto delle generazioni più giovani. Come accennato in questa breve analisi, l’auto-proclamato “califfato” non è però invincibile e può essere sconfitto. Per farlo è però necessario assumersi responsabilità che non si limitano al solo invio di uomini e mezzi sul territorio, ma che richiedono uno sforzo congiunto a livello internazionale, volto a risolvere le molteplici contraddizioni di cui il movimento guidato da al-Baghdadi si nutre.

(affaritaliani.it)

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