Karim Haidari, giornalista afghano della BBc scrive una lettera dopo il linciaggio di Farkhunda: "Mi sento colpevole di essere uomo"...



Silvia De Santis, L'Huffington Post



“Forse mi sento colpevole per essere un uomo. O forse mi vergogno di essere Afghano”. Karim Haidari, giornalista afghano della BBC, ha pubblicato una lettera di riflessione, in seguito alla brutale uccisione di Farkhunda a Kabul, la 27 enne afghana linciata dalla folla dopo essere stata ingiustamente accusata di oltraggio al Corano. Il corpo, dato alle fiamme, è stato gettato nel fiume che scorre vicino nei pressi del santuario di Shah-Du-Shamshaira. Il 23 marzo si sono tenuti i funerali, durante i quali, eccezionalmente, la bara è stata portata in spalla da un gruppo di donne. Una sfida alla tradizione.
"Sono quattro notti che non riesco a dormire. A tenermi sveglio, il rumore della folla inferocita e l’immagine del corpo di una donna coperto di sangue, picchiata e poi data alle fiamme. L’aggressione a Farkhunda è successa a migliaia di kilometri da qui, a Kabul, ma quelle scene violente non mi danno tregua, nemmeno a Londra.
Forse mi sento colpevole di essere un uomo. Dopotutto, sono gli uomini gli artefici di tutte le guerre. O forse mi vergogno di essere un uomo Afghano. Ho lasciato Kabul alcune settimane prima che Farkhunda si recasse nel santuario di Shah-Du-Shamshaira. È uno splendido edificio sulle rive del fiume Kabul, in pieno centro. Ci si arriva a piedi dal bazaar principale della città e dal palazzo presidenziale. Si va lì per esprimere un desiderio, per cercare una soluzione a un problema legando un nastro attorno a una tomba piantata nel terreno.
Qualche settimana prima di andare via da Kabul ci ero stato anch’io per conto di un’amica che vive in California. Mi aveva chiesto di scattare una fotografia e inviargliela. Salite le scale, avevo notato un crocicchio di donne tutte intorno alla bara. Era mercoledì, il giorno delle visite femminili ai santuari del paese. Mi sono fatto strada e tra le dozzine di nastri colorati già appesi, ho posato anche il mio. “Qual è il tuo desiderio?” mi ha chiesto una donna a voce alta per farsi sentire oltre il brusio della folla. “I segreti non si svelano, Khala (Zia)” le ho risposto.
Andando via, ho notato almeno due uomini anziani, con turbante e barbe bianche, seduti non distanti dalle donne, intenti a scribacchiare qualcosa su dei pezzi di carta. Anche questa è una scena comune in Afghanistan. Spesso le donne si rivolgono a loro per avere ciondoli o amuleti che le aiutino a risolvere problemi familiari – si augurano che i loro mariti stiano in salute, o che le figlie trovino buoni mariti. Insomma, sono una fonte di reddito per questi mullah non istruiti che offrono discutibili “servizi”. Contro di loro si sono sollevate, ultimamente molte critiche, sia in televisione che sui social network. Li si accuse non solo di tradire l’Islam, ma anche di frode.
Farkunda, la donna uccisa a Kabul la settimana scorsa, era tra questi critici. Laureata da poco in teologia, si era avvicinata a un mullah che stavano vendendo amuleti a donne ancora senza figli, ed era iniziato un diverbio. Così, a un certo punto, Farkunda è stata accusata di aver bruciato il Corano. La voce si è subito diffusa e la folla si è lanciata all’attacco. Farkhunda deve aver sottovalutato cosa possono commettere simili uomini – capaci non solo a ingannare e raggirare una donna con i loro amuleti – ma perfino toglierle la vita sotto gli occhi della polizia.
A stazionare fuori dal santuario c’è sempre un folto gruppo di uomini. Vanno lì per adocchiare le donne, con la speranza di attirare la loro attenzione e magari incontrarne qualcuna. Sono almeno 20 le persone arrestate per concorso in omicidio. Molti di loro sono giovani uomini “moderni”, di città. E molti di loro hanno anche un profilo Facebook su cui hanno rivendicato l’uccisione di Farkhunda.
Per molti altri afghani come me, invece, è sconvolgente vedere uomini come questi trasformarsi all’improvviso in fanatici paladini del libro sacro, capaci di atroci violenze. Ci è voluta una giovane vita spezzata per svelare una società in cui molti hanno una scarsa comprensione della religione e in si è bravi a dare giudizi prematuri – salvo ritrattarli subito dopo. Quella afghana è una società con una polizia corrotta e incompetente, dove la fine della sofferenza per le donne è ancora un sogno lontano". 


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La protesta delle donne di Kabul
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Ansa, Reuters

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