Il marketing del Califfo...




Il mondo è cambiato e anche il tipo di guerra, adesso i nemici dell'occidente hanno hacker, fanno video e sono attivi sui social. La paura che diventa brand




di Luca Cadura

Sono cambiate le cose dagli straccioni di Tora Bora che comunicavano tra di loro con le audiocassette a questo nuovo mondo in cui i combattenti islamici riescono addirittura a compiere azioni hacker contro i siti militari statunitensi.

La notizia è che i nemici del mondo occidentale ci stanno battendo sul campo inventato dal capitalismo democratico: il marketing ovvero la guerra commerciale a base di segni e posizionamento, il franchising ovvero l'affiliazione di soggetti terzi sotto un marchio comune e la comunicazione.

Cominciamo dal nome: tutti li chiamano Isis anche se sembra che la dicitura corretta sia IS. Perché Isis voleva dire Stato Islamico di Iraq e Siria, ma essendo poi cresciuto enormemente su altri territori è più corretto IS, Stato Islamico e basta. Eppure noi continuiamo a chiamarlo Isis, perché questa sigla con la "s" sibilante" finale fa molta più paura. Richiama organizzazioni letali e segrete, da cattivoni nemici di James Bond.

Ma è il marchio dello Stato Islamico che fa più paura: quella bandiera nera con le scritte bianche che campeggia su ogni loro veicolo e palazzo è il vero patrimonio identitario del Califfato. Il simbolo sotto il quale si stanno riunendo realtà molto eterogenee del mondo islamico: dalle formazioni religiose più ortodosse, ai briganti in cerca di legittimità.

Il Califfato infatti si espande poco con le scimitarre e molto per "aggregazione" spontanea di territori fuori controllo. Un vero e proprio "franchising" spontaneo alla ricerca di autorevolezza e potere. Esattamente come un fast food ambisce ad appartenere a una grande catena affinché il consumatore gli attribuisca subito il patrimonio di valori che concede alla marca e può quindi presentarsi in strada come McDonald's o Burger King. Ciò rende la vita più facile che aprire l'esercizio con il nome "Polpette da Giovanni". Allo stesso modo intere tribù, città o regioni, innalzano la bandiera nera e si dichiarano affiliate al Califfato. Ma cosa rende così potente quella bandiera nera? La ferocia che rappresenta.

Il "Jolly Roger", la bandiera tradizionale dei pirati che tutti ricordiamo, con il teschio e le tibie incrociate bianchi su fondo nero incuteva terrore nelle navi commerciali che lo avvistavano perché significava aggressione selvaggia, potenzialmente tortura, probabilmente morte o schiavitù. Così il nuovo vessillo del Califfo ci riporta a un mondo che l'Occidente democratico pensava di aver superato per sempre.

La bandiera nera infatti acquista la sua forza dagli atti di ferocia gratuita, incomprensibili secondo i nostri parametri. Ci riporta a un mondo buio medievale. La distruzione di statue millenarie e lo sgozzamento di uomini a freddo, secondo un lucido rituale mediatico (perché le telecamere non mancano mai!), sono al di là della nostra comprensione. Come le persone lapidate, lanciate giù da alti palazzi o bruciate dentro delle gabbie. Fino alla celebrazione dell'arma bianca, il pugnale, l'arma dell'"uomo vero" che richiede contatto fisico e sangue freddo. Tutto ciò è terrorizzante per una società che, di contro, non riesce più nemmeno a nutrirsi di proteine animali senza sentirsi in colpa.

I comunicatori dello Stato Islamico nuotano nelle nostre paure e debolezze. Attenzione, non è che l'Occidente si muova in modo meno brutale: i bombardamenti aerei, gli attacchi con i droni sono sicuramente molto più letali dei vari accoltellamenti califfeschi. Ma le nostre azioni non ci fanno impressione perché sono mediate dall'idea di una guerra "legittima" e pulita. E comunque ci vengono sempre proposte attraverso uno schermo verde in cui le esplosioni sono solo delle macchie verde chiaro. Insomma non vediamo il sangue e ci sentiamo meglio.

Questo è ciò che il Califfo ha capito: noi non siamo più abituati non solo a sanguinare, ma nemmeno a veder sanguinare qualcun altro. Le democrazie occidentali non tollerano la vista della violenza, non solo sui propri soldati, ma nemmeno sui nemici.

Il Califfo ci riporta alla baionetta, al sangue, alla tragedia del singolo, alla vita che se ne va insieme al sangue che scorre sulle mani. E nel fare questo ci comunica che, a differenza nostra, lui non ha paura di morire. La morte lui la cerca perché pensa sia una cosa giusta. Al punto che gli sembra normale sacrificare dei bambini della sua comunità imbottendoli di esplosivo e mandandoli a morire tra gli infedeli. Questo è ciò che ci fa paura: di incontrare qualcuno che è disposto a perdere tutto solo per farci un po' male. Quando noi non siamo nemmeno disposti a vedere lui che soffre un po'. Certo noi gli diamo una gran mano. L'indignazione si accompagna sempre alla diffusione delle notizie e dei video (un po' censurati ma il risultato non cambia e comunque le immagini integrali si trovano facilmente in rete). Quante volte abbiamo visto uccidere il poliziotto francese della strage di Charlie Hebdo?

Il terrorismo funziona così: si fa una cosa brutale affinché la si racconti e si terrorizzino popoli interi. Il Califfo mette il contenuto e noi gli diamo la mediatizzazione.

Invece dovremmo avere il coraggio di fare il contrario. Non dare spazio mediatico a queste azioni per non istigare gli assassini a compierne altre. Non credo che smetteranno di uccidere ma forse si limiteranno a un "caritatevole" colpo in testa. E a quel punto ci sarà poco da comunicare e da terrorizzarsi. Il Regno Unito adottò questa strategia all'indomani delle stragi di Londra. Le immagini che circolarono furono particolarmente asettiche. Non si videro vittime o gente piangente. Nella nostra memoria rimangono solo immagini di autobus "doubledecker" distrutti. Niente di più cruento. Anche sulla bandiera dello Stato Islamico dobbiamo ribaltare il paradigma. La bandiera nera, oggi punto di forza dello Stato Islamico ne può diventare la tomba.

Perché questi terroristi, innalzando la bandiera nera, hanno fatto l'errore che in una guerra asimmetrica i più deboli non possono fare, cioè occupare fisicamente un luogo, una città una regione. I terroristi, i guerriglieri da che mondo è mondo colpiscono e scappano. Perché se si fermano arrivano i poliziotti e i militari e gliele suonano.

Il Califfo e i suoi accoliti in franchising invece hanno occupato fette di territorio. E le hanno identificate con tante bandiere nere. Ecco invece di spaventarci ora sappiamo dove sono gli obiettivi. Che quelle bandiere diventino i bersagli della nostra intelligence e delle nostre forze armate...
(Globalist)

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