Arabia Saudita: i progressi di re Abdullah sulle donne sono solo chiacchiere...
Di Luca Lampugnani
Intervenuta all'annuale meeting del World Economic Forum a Davos, in Svizzera, il Direttore Operativo del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde ha ricordato il defunto re saudita Abdullah bin Abdulaziz al Saud come un "forte difensore e sostenitore delle donne". Ma è davvero così?
Indubbiamente, come sottolineato su più fronti, il regno di quest'ultimo si è distinto per una certa apertura nei confronti del gentilsesso, soprattutto se paragonato alle leadership dei suoi predecessori. Ad esempio, è proprio sotto re Abdullah - morto all'età di novant'anni, 32esimo figlio del fondatore dell'Arabia Saudita e sostanzialmente al potere dal 1995 - che Norah al-Faiz viene nominata vice ministro dell'educazione nel 2009, massima carica di potere mai raggiunta da una donna in tutto il regno. Sempre nel 2009, con la fondazione della King Abdullah University of Science and Technology, Riyad ottiene il suo primo centro educativo dove a ragazzi e ragazze è concesso studiare spalla contro spalla. Due anni più tardi, nel 2011, con una sentenza per certi versi storica re Abdullah promette che alle donne sarà concesso candidarsi e votare alle elezioni municipali del 2015. In ultimo, nel 2013, l'ormai ex leader saudita ha spalancato le porte del Consiglio Consultivo della Shura - istituzione rinnovata ogni 4 anni e priva di alcun potere legislativo, tutti ovviamente concentrati sul monarca - alle donne, nominandone 30 su un totale di 150 membri.
Ad ogni modo, pur senza dimenticare questi passaggi fondamentali del regno di Abdullah, Human Rights Watch sottolinea quanto le riforme attuate da quest'ultimo abbiano portato a progressi per lo più marginali, contribuendo in minima parte - se non per nulla - nel campo dei diritti fondamentali dei cittadini sauditi, in particolar modo per quanto riguarda le donne. Queste sono infatti ancora oggi le prime vittime della diffusa e radicata discriminazione di genere nella vita quotidiana saudita, fortemente influenzata dalle interpretazioni più ortodosse - quando non addirittura radicali - dell'Islam.
Alle donne, come più volte ripetuto, è ad esempio fatto divieto di guidare. Ma guardando oltre questa imposizione particolarmente mediatica - troppo spesso l'unica citata -, lo stesso divieto si estende ad un qualsiasi spostamento senza la presenza di un uomo. Oppure, ancora, entrando nel merito delle aperture di re Abdullah, alle donne che vestono una carica istituzionale nel Consiglio Consultivo della Shura è fatto obbligo di indossare il velo integrale islamico, e di raggiungere i seggi del Consiglio stesso attraverso un'entrata separata rispetto a quella dei colleghi uomini. Continuando, le donne hanno una certa difficoltà d'accesso nel mondo del lavoro, sono soggette all'approvazione maschile (del padre, dei fratelli, del marito) pressoché rispetto ad ogni decisione, sia questa appunto la ricerca di un impiego o la richiesta di un intervento medico.
Il punto centrale della questione, concludendo, è e rimane la forte presenza dell'ortodossia islamista nella società saudita. Una presenza asfissiante e di grande influenza, come dimostrano le molte restrizioni che non riguardano solo le donne, ma che puntano ad esempio a stroncare sul nascere ogni forma di dissenso, come in queste settimane ne è esempio il blogger Raif Badawi, condannato a ricevere 1000 frustate e a 10 anni di carcere per aver criticato lo sfruttamento egemonico del potere nel Paese. Tale presenza, come accennato, per sua stessa natura non permette anche a quelle riforme potenzialmente significative di esserlo a tutti gli effetti, limitandone fortemente il raggio d'azione.
(International Business Times)
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