Afghanistan, il bilancio della missione Nato Si chiude dopo 13 anni la missione Isaf. Costata 3.485 vite e oltre 1.000 miliardi. Da gennaio la sicurezza è affidata a Kabul. Ma la minaccia talebana è viva....





di Guido Mariani


È stata la guerra più lunga. Dopo 13 anni si sono chiuse le operazioni di combattimento del contingente Nato in Afghanistan e, dal primo gennaio, la sicurezza nel Paese è affidata all'esercito locale.
Mai gli Stati Uniti sono stati impegnati per così tanto tempo in un conflitto.
OBAMA PARLA DI «CONCLUSIONE RESPONSABILE». «Conclusione responsabile» l’ha definita il presidente Barack Obama, un’espressione priva di trionfalismi che ben fotografa un bilancio in grigio di una missione militare lunghissima, costosissima, sanguinosa e che lascia sul campo ancora tanti, troppi, quesiti irrisolti.

1. I morti: 3.485 soldati stranieri, 2.342 americani e 48 italiani

  • La missione Nato ha coinvolto 43 Paesi. © Getty

La guerra iniziò con il nome Enduring Freedom all’indomani degli attentati dell’11 settembre. Stati Uniti e Gran Bretagna sferrarono l’attacco il 7 ottobre 2001 per colpire il regime talebano di Kabul, reo di aver dato ospitalità ai terroristi di Al Qaeda.
Nel dicembre di quell’anno fu costituita la coalizione dell’Isaf, l’International Security Assistance Force, che passerà poi sotto il comando della Nato ricevendo aiuto e collaborazione da 43 nazioni e schierando sul campo un massimo di 150 mila uomini. I soldati stranieri morti, secondo i dati del portale indipendente icasualties.org, sono stati in tutto 3.485. Gli americani caduti sono stati 2.342 (gli ultimi erano due militari della First Cavalry Division: Wyatt J. Martin di 22 anni e Ramon Morris di 37 anni, morti il 13 dicembre), 453 gli inglesi.
LE FORZE AFGANE HANNO PERSO 16 MILA UNITÀ. In Afghanistan hanno anche perso la vita 48 soldati italiani, l’ultimo dei quali è stato il capitano Giuseppe La Rosa, 30 anni, del Terzo reggimento bersaglieri ucciso l’8 giugno 2013 da un attacco nei pressi della base di Farah.
Le forze militari afgane hanno perso più di 16 mila soldati. Mancano fonti attendibili sul numero di talebani e insorti uccisi: si stima un numero tra i 20 e i 35 mila. Come sempre accade nei conflitti, il numero delle vittime civili è altrettanto imprecisato e assai sottostimato.
Il dato più accreditato parla di più di 20 mila cittadini afgani morti, ma è un conto ancora aperto. Lo scorso 31 dicembre durante uno scontro armato tra talebani ed esercito afgano un missile si è abbattuto su una festa di matrimonio in un villaggio della provincia di Helmand uccidendo più di 20 persone innocenti.

2. I costi: gli Usa hanno speso 1.000 miliardi, l'Italia 5

  • Il presidente americano Barack Obama. © Getty

Oltre al prezzo umano c’è quello economico. Il conflitto è costato agli Stati Uniti, secondo quanto ha stimato il Financial Times, 1.000 miliardi di dollari. Circa l’80% delle spese si riferiscono all’era Obama.
Dal 2009, infatti, le operazioni nel Paese sono aumentate a discapito dal progressivo disimpegno in Iraq (conflitto costato 1.700 miliardi).
Secondo John Sopko, l’ispettore speciale per la ricostruzione nominato da Washington, «miliardi di dollari» sono stati sprecati in progetti fallimentari o non rispondenti alle necessita dell’Afghanistan.
Sopko ha anche sostenuto che (calcolando l’inflazione) i soldi spesi dagli Stati Uniti fino a oggi ammontano a una cifra superiore ai fondi che il Piano Marshall investì per ricostruire l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale.
SPESE MEDICHE PER 134 MILIARDI DI DOLLARI. Ma un calcolo reale è comunque destinato a essere approssimativo. Secondo Linda Bilmes, economista della Harvard University, andrebbe infatti stimato anche il costo delle spese mediche sostenute per curare i feriti di guerra e i veterani tornati a casa con problemi di salute legati al loro servizio. Questa spesa è valutabile intorno ai 134 miliardi di dollari.
All’Italia invece il conflitto è costato più di 5 miliardi di euro.

3. Il futuro: la Nato lancia Resolute Support

  • La presentazione della missione Nato in Afghanistan Resolute Support. © Ansa

La fine delle operazioni di combattimento non segna di fatto la conclusione definitiva della missione.
La Nato ha lanciato Resolute Support un piano che consiste nella presenza di una forza militare “leggera” di 13 mila uomini, in gran parte militari Usa, che avranno il compito di consulenza e di addestramento.
Il progetto dovrebbe essere quello di ridurre progressivamente il contingente fino a un ritiro pressoché totale alla fine del 2016. Secondo la Nato Resolute Support «non sarà una missione di combattimento».
AIUTO AI MINISTERI E ALLE ISTITUZIONI AFGANI. Il supporto sarà innanzitutto diretto ai ministeri e alle istituzioni afgane e al comando delle forze armate.
I compiti saranno: aiutare la pianificazione, la programmazione anche a livello economico; assicurare la trasparenza e la supervisione; sostenere i principi di legalità e buon governo; supportare i programmi di reclutamento, addestramento ed efficacia del personale militare.

4. Le problematiche: l'esercito afgano ha bisogno di sostegno

  • Soldati al confine tra Afghanistan e Pakistan. © Ansa

In molti dubitano che questo possa avvenire. Primi fra tutti proprio gli Stati Uniti. I generali delle forze militari hanno già suggerito che una presenza di almeno 10 mila uomini sarà indispensabile ancora per qualche anno.
Secondo esperti e osservatori l’esercito afgano è ormai una forza che riesce a tenere il terreno con ottime capacità di combattimento, ma dipende dall’aiuto di quello americano per l’intelligence e per l’aviazione ed è molto carente in termini di logistica e di mantenimento delle attrezzature militari.
USA SUL TERRITORIO AL DI FUORI DEL CONTESTO NATO. Il contenimento degli insorti non può ancora avvenire senza il supporto degli Usa. Washington infatti continuerà le operazioni anti-terrorismo al di fuori del contesto Nato, e sono già state autorizzate da Obama operazioni a protezione delle truppe che restano sul territorio.
Questo vuol dire che proseguirà anche la guerra dei droni. I bombardamenti “mirati” con aerei teleguidati continueranno a colpire obiettivi selezionati sia in Afghanistan sia nelle zone del Pakistan che ospitano gli insorti. Tuttavia, come ha segnalato anche un rapporto delle Nazioni Unite, spesso questi attacchi chirurgici sono stati compiuti con negligenza provocando la morte di un numero sempre crescente di civili.

5. La situazione politica: talebani contro il presidente Ghani

  • Il presidente dell'Afghanistan Ashraf Ghani. © Ansa

E i talebani? Dopo 13 anni di guerra non sono scomparsi, tutt'altro. La loro forza numerica è oggetto di dibattito (c’è chi parla di 20 mila uomini), ma non è in dubbio che siano ancora in grado di portare a termine attentati terroristici su larga scala. Operano in piccoli gruppi spesso molto eterogenei tra loro, sono distribuiti sul territorio e lungo tutto il 2014 hanno compiuto attacchi sanguinosi e sono stati anche in grado di riconquistare territori, costringendo l’esercito a controffensive.
Gli attentati si sono intensificati in vista del termine della missione Nato. A novembre, uno dei mesi più violenti degli ultimi anni, ci sono stati 12 attacchi suicidi nella sola Kabul. L'obiettivo dei talebani è sfidare il nuovo presidente Ashraf Ghani che in tre mesi dalla sua nomina ufficiale non è ancora riuscito a formare un nuovo governo. L’attentato dello scorso 16 dicembre a Peshawar ha dimostrato la forza e la violenza del gruppo islamico anche in Pakistan.
NYT: «IL MULLAH OMAR È VIVO». E proprio il Pakistan sarebbe il luogo dove si nasconde ancora, dopo 13 anni di guerra, il leader spirituale del gruppo, il Mullah Omar. Secondo il New York Times c’è un vasto consenso negli ambienti dell’intelligence sul fatto che sia ancora vivo.
Per alcune fonti vive nella metropoli di Karachi dove è riuscito a far perdere le sue tracce anche perché non ha più ruoli militari od operativi.
Uno dei giornalisti pakistani più esperti in materia, Ahmed Rashid, ha definito il ritiro degli americani «una catastrofe». Secondo lui l’Afghanistan precipiterà in una nuova guerra civile che potrebbe portare a uno scontro tra fazioni jihadiste e alla creazione di un regimi «anche più estremista dei talebani»...
(Lettera 43)

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