Violenza, impunità e stallo politico: la situazione della Repubblica Centrafricana a due anni dal conflitto...





Di Luca Lampugnani 

Ad un anno dal colpo di Stato che nel 2013 vide la caduta di François Bozizé e l'ascesa - rivelatasi in seguito piuttosto breve - di Michel Djotodia, la situazione interna alla Repubblica Centroafricana può essere descritta, oggi come qualche mese fa, instabile e violenta.

Gli scontri tra Seleka (miliziani di fede musulmana) e Anti-Balaka (combattenti cristiani appositamente nati per fronteggiarsi con i primi) proseguono senza sosta, soprattutto nella parte orientale e centrale del Paese. Le brutalità tra le due fazioni continuano a mietere vittime civili ed innocenti, come testimoniato da un rapporto pubblicato a settembre da Human Rights Watch, mentre i bilanci totali delle morti dovute al conflitto - in corso dal 2012 - variano tra le 3.000 e le 5.000 unità a seconda delle fonti.
Anche sul fronte politico - a Djotodia è subentrata ad interim il 20 gennaio del 2014 Catherine Samba-Panza, già sindaco della capitale Bangui, prima donna presidente del Paese dalla sua indipendenza nel 1960 - la musica non cambia: le elezioni legislative e presidenziali, potenziali punti di svolta per uno stallo particolarmente pericoloso, inizialmente previste per il febbraio del 2015, sono state spostate rispettivamente a giugno e luglio dello stesso anno. Uno slittamento su cui pesano le violenze e l'instabilità generale che regna sovrana nel Paese, caos politico e sociale cui si tenterà di porre un nuovo ed ulteriore freno a gennaio, quando sarà avviato un forum sulla riconciliazione nazionale.
Ovviamente i presupposti per una pacificazione, o anche semplicemente per l'avvio di un iter in tal senso, non sono dei migliori. E se già le brutalità bi-partisan dei Seleka e degli Anti-Balaka in quanto tali rappresentano un enorme ostacolo al superamento di una situazione disastrosa - non vanno dimenticate infatti né la crisi sanitaria denunciata da Medici Senza Frontiere né tanto meno i problemi legati alla nutrizione -, stando ad un recente rapporto di Amnesty International la vasta impunità di cui godono nel caos generale gli attori di quelle stesse violenze non è certo d'aiuto.
"Invece di temere azioni giudiziarie o sanzioni, coloro che sono sospettati di crimini di guerra troppo spesso guardano alla violenza come un modo per raggiungere potere, risorse e protezione dalla giustizia", ha spiegato il vice direttore regionale di Amnesty International per l'Africa Occidentale e Centrale Steve Cockburn, aggiungendo inoltre che se non si porrà fine "all'impunità nella Repubblica Centrafricana, le gravi violazioni dei diritti umani continuerano ininterrottamente". Proprio l'ONG di base a Londra aveva indicato già a luglio - in un rapporto di 62 pagine - venti figure fortemente sospettate (tra Seleka e Anti-Balaka) di atrocità di guerra e contro l'umanità. In tal senso, l'incapacità delle autorità locali e degli organi internazionali di mettere davanti alle proprie responsabilità coloro che si ritiene abbiano commesso sistematiche violazioni dei diritti umani - "uccisione di civili, sfruttamento dei bambini come miliziani, incendio di villaggi e abitazioni", stupri ed altre brutalità - fa si che essi stessi continuino a "terrorizzare la popolazione senza alcun timore di ripercussioni", ha spiegato ancora Cockburn.
In un nuovo studio pubblicato giovedì, Amnesty International è tornata a porre l'accento sulla questione, ricordando alcune di quelle figure fortemente sospettate ma comunque rimaste libere da indagini e, in ultima analisi, totalmente impunite. Tra questi, spicca ad esempio uno dei leader dei gruppi Anti-Balaka, l'ex ministro Patrice-Edouard Ngaïssona, ritenuto essere al comando di una unità coinvolta nella mattanza di civili e di altre brutalità. Come lui, sempre tra gli Anti-Balaka, vengono poi sottolineati i nomi del colonnello Douze Puissances e di Alfred Yekatom, conosciuto anche come "Rambo", entrambi a capo di milizie che si sono spese in numerose azioni violente e considerabili, stando al racconto dei sopravvissuti e di altri testimoni oculari, in piena violazione dei diritti umani.
Dall'altra parte delle barricate, entrando in campo Seleka, Amnesty International ricorda le figure dei colonnelli Bishara e Aba Tom - potenzialmente coinvolti nel massacro di civili cristiani nel corso di numerosi attacchi nel dicembre del 2013 -, così come del colonnello Yussuf Hamad, secondo le testimonianze a capo di una fazione Seleka che il 5 dicembre del 2013 ha fatto irruzione in un ospedale della capitale Bangui minacciando di morte tutti i pazienti qualora non gli fossero stati indicati i degenti appartenenti al gruppo degli Anti-Balaka.

(International Business Times)

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