Nel 2015 sarà meglio tenere d'occhio l'Arabia Saudita...





Di Erin Banco 

Il 2014 è stato l'anno del grande crash dei prezzi del petrolio. Il prezzo di un barile di greggio (Brent), che superava i 100 dollari a gennaio, è sceso sotto i 60 dollari a dicembre, sui minimi da cinque anni. Mentre il calo del prezzo del petrolio ha colpito duramente molte delle nazioni produttrici di oro nero, i consumatori hanno cominciato a beneficiare di prezzi del combustibile più bassi.
Il futuro di entrambi i prodotti dipende oggi largamente dalle azioni di un singolo Paese: l'Arabia Saudita. Il secondo maggiore Paese produttore nel mondo dopo gli Stati Uniti, spiega Bloomberg News, probabilmente proverà a usare questa leva sul mercato del petrolio globale per ottenere vantaggi politici nel 2015, specialmente nel Medio Oriente.
Il regno saudita potrebbe non avere avuto tanto potere nelle proprie mani sin dalla crisi petrolifera degli anni Settanta, quando le nazioni del mondo industrializzato scoprirono che l'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (la ben nota OPEC), dominata proprio dai sauditi, aveva il potere di fermare le loro economie.
Il petrolio occupa la maggiore fetta di torta del consumo globale di combustibili con il 34 per cento, seguito da carbone e gas naturale. E l'Arabia Saudita controlla il mercato globale del petrolio perché non solo pompa moltissimo oro nero ogni giorno, ma anche perché ha la possibilità, a livello finanziario, di assorbire gli shock che nascono da prezzi del petrolio più bassi, in netto contrasto rispetto al suo principale avversario regionale, l'Iran. E così il maggiore produttore all'interno dell'OPEC, organizzazione che controlla circa il 73% delle riserve mondiali attualmente scoperte, è nuovamente diventato un player globale enormemente rilevante.
Il rifiuto dell'Arabia Saudita di tagliare la produzione OPEC per rispondere all'eccesso di offerta di petrolio ha fortemente colpito Venezuela, Russia e Iran, ma i sauditi hanno i mezzi per portare i prezzi ancora più in basso. Ed essi hanno una chiara ragione politica per tenerli ai minimi termini.
«Finché [l'Arabia Saudita] non deciderà di tagliare la produzione, i prezzi resteranno piuttosto bassi - ha spiegato Thomas Lippman, esperto di affari dell'Arabia Saudita presso il Council on Foreign Relations - Hanno tasche larghe, e possono resistere per un po' di tempo. Se i prezzi riescono a fare danni all'Iran e alla Russia, i sauditi stanno tranquilli».
I sauditi stanno facendo tutto questo per punire Russia e Iran, rei di aver supportato il regime presidenziale di Bashar al-Assad nel corso della guerra civile siriana, ci ha detto Alex Vatanka, esperto al Middle East Institute a Washington. Come il suo alleato statunitense, l'Arabia Saudita ha investito un bel po' di soldi e capitale politico per addestrare ed equipaggiare i ribelli moderati che stanno combattendo contro Assad.
Tale livello di coinvolgimento può sembrare strano dal momento che il regno ha spesso avuto, nell'arena internazionale, un peso inferiore rispetto a quello economico. Ma oggi l'Arabia Saudita sta cambiando.
«I sauditi sono super-realisti; sono immuni dal richiamo di interventi grandi e rischiosi. Essi guardano al giardino della propria casa, ma, di solito, dirigono bene i problemi degli altri - ha scritto Fouad Ajami, professore di affari mediorientali alla Stanford University - Hanno la ricchezza, e hanno il fondato sospetto che farsi coinvolgere nei problemi stranieri equivale a infilarsi in un vicolo cieco. Ma negli ultimi tempi è arrivata una nuova ondata di attivismo per il regno saudita. Ci sono contesti come Iraq, Siria e Libano che non possono ignorare.»
L'Arabia Saudita ha denaro a sufficienza per foraggiare ogni nuovo attivismo - quasi mille miliardi di dollari. L'Arabia può sostenere bassi prezzi del petrolio per anni a venire perché ha abbastanza riserve finanziarie per accomodare le perdite di introiti, più o meno 780 miliardi di dollari, ha detto Mohamed Aly Ramady, professore di economia alla King Fahd University of Petroleum and Minerals in Arabia Saudita.
«Se i Sauditi vogliono arrivare fino in fondo nelle loro intenzioni nei prossimi anni, lo faranno» ha detto Ramady, aggiungendo che il Paese taglierà la spesa non necessaria per ribilanciare il budget.
Un'area che non verrà tagliata è la spesa militare. L'Arabia Saudita ha il quarto piú grande budget per la difesa del mondo, come riportato dallo Stockholm International Peace Research Institute. Nel 2013 è arrivato a 67 miliardi - un aumento di ben il 118% rispetto a dieci anni fa. In rapporto al prodotto interno lordo il Paese spende più di ogni altro fra i 15 Paesi che più spendono in difesa: l'Arabia ha speso il 9,3% del PIL per l'acquisto di armi nel 2013. Il risultato è che l'Arabia Saudita è il Paese meglio armato del Medio Oriente, con un esercito più grande di Francia o Gran Bretagna, e una forza aerea che ha a disposizione centinaia dei più sofisticati aerei di costruzione statunitense ed europea.
Per la prima volta dalla guerra del Golfo Riyad sta usando questi velivoli per mostrare i suoi muscoli nella regione. Quest'anno i bombardieri Eagle fighter F15S hanno preso parte agli attacchi aerei in Siria contro lo Stato Islamico come parte della coalizione guidata dagli USA. Si tratta della prima azione di guerra saudita in 23 anni, e ha dimostrato che l'Arabia può colpire anche lontano dai propri confini.
Per il regno, i bombardamenti rappresentano anche il momento in cui il suo coinvolgimento nelle guerre in Siria e Iraq esce fuori dall'ombra. Riyad ha silenziosamente supportato i ribelli in Siria inviando denaro per acquistare armi e fornendo i fondi per gli aiuti umanitari nei campi di rifugiati, e ha fornito supporto alla coalizione a guida statunitense contro l'IS. Ma adesso sta apertamente usando sia la sua forza militare che quella derivante dal petrolio.
Il vero obiettivo regionale, però, non sono Iraq e Siria, bensì l'Iran. «L'Arabia Saudita è nervosa perché percepisce il ritorno dell'Iran nella comunità internazionale, e nello specifico la traiettoria delle relazioni tra Iran e USA - spiega Vatanka - Gli interventi statunitensi in Medio Oriente... hanno contribuito a rendere l'Iran una potenza più forte rispetto a prima del 2001».
I due Paesi vicini sono stati fortemente separati a partire dalla Rivoluzione Islamica del 1979, quando il governo dell'Iran passò nelle mani di una teocrazia sciita integralista, direttamente opposta alla sunnita Arabia Saudita. Ma la paura di una distensione fra Washington e Teheran è irrazionale, spiega Lippman.
«I sauditi ci vanno molto cauti sull'Iran. Ritengono che ogni diminuzione delle tensioni fra USA e Iran sarà a loro spese. Per loro è un gioco a somma zero».
L'Iran non è il solo Paese a soffrire le conseguenze delle manovre saudite sul petrolio. La Russia, che è terza nella classifica dei maggiori produttori di petrolio dopo gli stessi USA e Arabia, sta subendo anche le conseguenze delle sanzioni statunitensi ed europee, così come l'Iran, che è il sesto produttore di oro nero.
Anche alcuni Paesi dell'OPEC soffriranno le decisioni arabe. I Paesi del Golfo all'interno dell'organizzazione, compresi Kuwait, Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, hanno riserve a sufficienza per sostenere il calo dei prezzi.
Tuttavia altri come Venezuela, Libia e Nigeria, nonché l'Iraq, potrebbero presto essere in seri guai fiscali.
Il Venezuela potrebbe essere colpito durissimamente dalla decisione di continuare a far scorrere petrolio mentre i prezzi calano a picco: il suo welfare state potrebbe diventare in fretta insostenibile. «Se stai sussidiando la gente... allora hai un problema» afferma Jenik Radon, esperto petrolifero e professore alla Columbia University. Il governo venezuelano spende più di dodici miliardi di dollari l'anno per sussidiare i prezzi della benzina. Potrebbero scoppiare disordini se il governo decidesse di tagliare tali sussidi, lasciando salire i prezzi della benzina.
Ma l'Arabia Saudita non taglierà mai la produzione, secondo Ramady, e non soltanto per ragioni geopolitiche. La sua domanda domestica di petrolio sta crescendo, e l'industria petrolchimica si basa sul flusso di petrolio per rimanere a galla. Pertanto, il flusso di greggio che scorre dai campi petroliferi sauditi e le sue dirette conseguenze sugli equilibri geopolitici globali, sono la ragione per la quale l'Arabia Saudita è il Paese da tenere d'occhio nel 2015.


(International Business Times)

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