Pena di morte: "l'inquietante ondata di decapitazioni" in Arabia Saudita...
Di Luca Lampugnani
Benché in sordina, sorpassata dalle gravi crisi nel Medio Oriente, Riyad è protagonista in questi giorni di una vera e propria "inquietante ondata di decapitazioni". A puntare il dito contro l'Arabia Saudita, su cui si agitano le ombre dell'appoggio e del supporto mai ufficialmente provato all'ISIS durante i primi anni della guerra civile siriana, è l'ONG con sede a New York Human Rights Watch. Stando ad un report di quest'ultima, infatti, solo negli ultimi giorni la monarchia del Golfo ha avallato un gran numero di esecuzioni capitali, mentre altrettante dovrebbero venire nei prossimi mesi.
Entrando nel dettaglio, dal 4 al 20 di agosto sono almeno 19 le persone decapitate a causa delle più svariate condanne, tutte parte di un gruppo di 34 detenuti cui è stata data la massima pena. Un risvolto, questo, che secondo l'ONG è in piena violazione degli "standard internazionali" sulla condanna a morte, la quale dovrebbe essere utilizzata, laddove è ancora in vigore, solo ed esclusivamente in punizione dei "reati più gravi". A Riyad, infatti, la maggior parte dei condannati a morte vengono accusati di traffico di droga, altri invece dell'assurdo reato di "stregoneria".
E la conferma, in questo senso, arriva proprio dalla Saudi Press Agency (SPA), agenzia di stampa statale dell'Arabia Saudita. Secondo quest'ultima, il 18 agosto sono stati giustiziati 4 contrabbandieri fermati con una "grande quantità di hashish", misura estrema che rientra nel pesante giro di vite voluto dal re Abdullah bin Abdulaziz Al Saud nel tentativo di contrastare la piaga saudita degli stupefacenti. Al contrario, solo qualche giorno prima, il 5 agosto, un uomo è stato decapitato con l'accusa di aver praticato la magia nera e la stregoneria.
"Ogni esecuzione è di per se spaventosa", ha commentato il direttore di HRW in Medio Oriente e Nord Africa Sarah Leah Whitson, specificando tuttavia che "le esecuzioni per reati come il contrabbando o la stregoneria, che non portano a morti ed omicidi, sono particolarmente eclatanti". Sempre secondo quest'ultima, inoltre, "non c'è alcuna scusante per l'uso continuato dell'Arabia Saudita del massimo della pena, in particolar modo per tali crimini", aggiungendo che "il rincaro attuale delle decapitazioni nel Paese altro non è che un'ulteriore ombra che si allunga sui diritti umani nel regno".
Nel frattempo, il 25 agosto, è attesa l'esecuzione capitale di Hajras al-Qurey, arrestato insieme al figlio ed entrambi condannati per traffico di droga. La particolarità del caso, tuttavia, risiede nel fatto che l'uomo, afflitto da difficoltà psichiche, avrebbe subito un "ingiusto processo" dove, nonostante la sua presunta innocenza - ha confessato le sue colpe, ma solo dopo aver subito pestaggi e torture, sostengono le organizzazioni umanitarie -, è stato destinato al massimo della pena. Stando a HRW, inoltre, il figlio avrebbe confermato alle autorità come l'unico colpevole del traffico fosse lui, scagionando il padre che, al contrario, sarebbe stato all'oscuro di tutto. Ad ogni modo, come già detto, Hajras al-Qurey è stato condannato a morte, mentre il figlio dovrà passare vent'anni in carcere e subire mille frustate.
Così come per altri Paesi dell'area - si guardi al Qatar -, l'Arabia Saudita ancora una volta si dimostra prima della classe nella violazione, o quanto meno nelle storture, per quanto riguarda i diritti umani. E ancora una volta tutto viene pressoché sottaciuto e fatto passare in secondo piano. Tuttavia, tra le crisi che infiammano il Medio Oriente, puntare il dito contro Riyad per tale questione sarebbe più che corretto, senza dimenticare gli 'schiavi' di Doha e altri risvolti dello scarsissimo rispetto dei diritti nel Golfo. Ad ogni modo, superfluo dirlo, i petroldollari e i buoni rapporti dell'Arabia con molti Paesi occidentali valgono più che un' "inquietante ondata di decapitazioni".
(International Business Times)
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