Iraq: si è dimesso il premier Nouri al-Maliki...
Di Luca Lampugnani
Dopo mesi di empasse totale della politica irachena, Nouri al-Maliki, premier dal 2006, ha annunciato le sue dimissioni e il suo relativo passo indietro nel tentativo di formare un nuovo governo che gli avrebbe garantito un terzo mandato. Decisione, quest'ultima, per certi versi inaspettata, soprattutto se si tengono a mente le dichiarazioni a caldo dello stesso al-Maliki quando, nei giorni scorsi, la coalizione sciita che guidava gli aveva voltato le spalle per eleggere a nuovo leader Haider al-Abadi, conoscenza di vecchia data nel mondo della politica irachena e vice presidente del Parlamento. Nel giro di qualche ora, poi, il presidente del Paese, il curdo Fuad Masum, aveva nominato al-Abadi primo ministro designato, assegnandogli quindi il compito di formare un governo di unità nazionale, come fortemente richiesto da Stati Uniti e ONU, entro trenta giorni.
"Annuncio oggi, davanti a tutti voi, il ritiro della mia candidatura in favore del fratello Haider al-Abadi, per facilitare la ripresa del processo politico e la formazione di un nuovo governo", ha detto al-Maliki durante un suo discorso alla TV di Stato. Parole a tutti gli effetti di sostanziale e abissale distanza rispetto a quanto affermato nei giorni scorsi dall'ormai ex primo ministro, il quale aveva accusato Masum di aver violato la Costituzione, arrivando a schierare le proprie milizie lealiste nei punti cardine della capitale Baghdad, gesto che ha fatto temere per un imminente, quanto pericoloso, colpo di Stato.
Causa del netto cambio di passo di al-Maliki, con ogni probabilità, è la graduale ma imponente mancanza di appoggio da parte di numerose figure chiave, interne ed esterne, dell'orbita irachena. In primis degli Stati Uniti, che ormai da tempo chiedono le dimissioni di al-Maliki, pressando affinché si arrivi ad un governo inclusivo, non esclusivo. L'ex premier, infatti, è accusato di aver condotto i suoi mandati nel solco del settarismo, atteggiamento che, sul lungo termine, è stato bollato come causa dell'avanzata jihadista da nord, supportata, o quanto meno accettata, da molti gruppi etnici e tribali dell'Iraq. In seguito, come dimostrato dall'elezione a leader della coalizione sciita di al-Abadi, al-Maliki ha perso l'appoggio della sua sfera politica a Baghdad, ricevendo poi il colpo di grazia dall'Iran - uno dei principali sponsor dell'ex primo ministro nella regione -, che ha salutato con favore la nomina del vice presidente del Parlamento.
Nel frattempo, mentre la notizia fa ben sperare più d'un osservatore internazionale, convinti che buona parte dei mali iracheni arrivassero proprio dalla premiership di al-Maliki, il suo probabile successore ha ancora 26 giorni per cercare di mettere insieme un governo di unità, missione che per i più dovrebbe portare a termine senza particolari difficoltà. Tuttavia, benché fosse indubbia la necessità di un passo indietro di al-Maliki, sperare che con le sue dimissioni la crisi dell'Iraq possa sparire nell'immediato è pura utopia. Al contrario, l'eventuale esecutivo di al-Abadi, se manterrà le promesse di voler rappresentare tutto il vasto universo etnico iracheno, potrà essere semplicemente un buon punto di partenza nel cercare di stemperare un clima - soprattutto a livello politico - che giorno dopo giorno si fa sempre più incandescente.
(International Business Times)
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